Dieci anni fa a Milano la morte del grande scrittore siciliano, collaboratore dell’Ora.

Fino al 25 febbraio numerose manifestazioni culturali. Da oggi l’omaggio de L’Ora Edizione Straordinaria con analisi, ricordi, foto, testimonianze. CONSOLO, IL DESTINO DI UN ULISSE SICILIANO
di FRANCO NICASTRO

“Più nessuno mi porterà nel Sud, lamentava Quasimodo. Invece – se m’è concesso il confronto – io nel Sud ritorno sovente”. Così Vincenzo Consolo spiegava il suo ininterrotto rapporto con la terra e la cultura siciliane: “Da Milano, dove risiedo, con un volo di un’ora e mezza, atterro in Sicilia. Dalla costa d’oriente o d’occidente, ogni volta, come per ossessione, vizio, coazione a ripetere, celebrazione d’un rito, percorro l’isola da un capo all’altro, vado per città e paesi, sperduti villaggi, deserte campagne, per monti e per piane, per luoghi visti e rivisti non so quante volte”. L’ultima volta che Consolo era tornato in Sicilia è stato nell’estate del 2010. A Gratteri, sopra l’amata Cefalù, in una limpida serata d’estate si presentava “L’isola in me”, un film documentario di Ludovica Tortora de Falco sulla Sicilia suggestiva e straziante di Consolo. Era un ritratto dello scrittore, dell’uomo e dell’artista attraverso i luoghi, i temi, le suggestioni letterarie della sua vita. Consolo si era assegnato quello che chiamava il “destino d’ogni ulisside di oggi”: quello di “tornare sovente nell’isola del distacco e della memoria e di fuggirne ogni volta, di restarne prigioniero…”. Di questo intenso legame passionale, civile e letterario con la Sicilia Consolo ha sempre dato testimonianza. Dalle profondità del mito ha ricavato una lettura lucida della storia italiana e siciliana dal dopoguerra a oggi. Lo ha fatto attraverso alcuni temi cruciali: l’emigrazione, la vita dei minatori delle zolfare, l’industrializzazione e le devastazioni del territorio, i terremoti e le selvagge ricostruzioni, le stragi mafiose. È una storia che Consolo ha vissuto in prima persona, condividendola con altri scrittori, in primo luogo Leonardo Sciascia a cui era profondamente legato. E proprio Sciascia aveva segnato il suo percorso letterario cominciato nel 1963 con “La ferita dell’aprile”. Prima che nel 1976 pubblicasse il suo secondo romanzo, quello che gli diede la notorietà, “Il sorriso dell’ignoto marinaio”, Consolo si era lasciato tentare (lui diceva “irretire”) da Vittorio Nisticò e da Milano era approdato a Palermo nella redazione del giornale L’Ora. Ma vi era rimasto solo pochi mesi, poi era tornato a Milano da dove ha continuato a tenere un rapporto intenso, e continuamente rinnovato, con la Sicilia. Di questo legame con la storia e la cultura siciliana sono testimonianza, oltre al sodalizio con Sciascia e all’amicizia con Gesualdo Bufalino, anche la sua intensa produzione letteraria, da “Le pietre di Pantalica” a “Retablo”, da “Nottetempo casa per casa” (premio Strega 1992) a “L’olivo e l’olivastro”, da “Lo Spasimo di Palermo” a “Di qua dal faro”. A cui si aggiungono saggi di forte intonazione civile, interventi e una densa raccolta di articoli per il Messaggero e per l’Unità. Aveva scelto di vivere a Milano ma il suo cuore e la sua curiosità intellettuale erano radicati in Sicilia. ”La tentazione di sottrarmi alla Sicilia c’è – diceva – ma il meccanismo memoriale della mia narrativa me lo impedisce fino in fondo, è connaturato a uno stile che ingloba la memoria attraverso il linguaggio”. E proprio al linguaggio dedicava la sua cura sperimentale in una ricerca che lo allontanava sempre più dai canoni correnti. Da qui la sua invettiva contro la deriva di un paese “telestupefatto”, cioè scivolato verso la volgarità del linguaggio che uccide il pensiero critico. ANSA 21 gennaio 2012

-BIOGRAFIA VINCENZO CONSOLO Vincenzo Consolo era nato a Sant’Agata di Militello il 18 febbraio 1933. Sesto di otto figli, negli anni Cinquanta si era trasferito a Milano per frequentare la Cattolica dove si è laureato in giurisprudenza. A Milano è poi tornato, dopo un breve periodo di insegnamento in Sicilia, negli anni Sessanta per seguire una sua aspirazione letteraria sulla scia di Verga, Capuana, De Roberto. A Milano lavora nella struttura di programmazione della Rai ma intreccia un intenso rapporto con il grande giro culturale. Collabora con Einaudi, stringe rapporti intensi con Leonardo Sciascia e il poeta Lucio Piccolo. Nel 1976 viene chiamato a Palermo dal direttore del giornale L’Ora, Vittorio Nisticò, con il quale già collaborava da alcuni anni. Conclusa l’esperienza siciliana, ritorna a Milano mentre esce il romanzo che gli dà una grande notorietà: ”Il sorriso dell’ignoto marinaio”. Nel 1985 pubblica ”Lunaria” e due anni dopo ”Retablo”. Seguiranno ”Le pietre di Pantalica” e ”Nottetempo casa per casa”. Nel 2015 esce postuma la sua opera completa per i Meridiani Mondadori. Il curatore Gianni Turchetta, che a lungo ha lavorato sull’archivio dello scrittore poi rilevato dalla Fondazione Mondadori scrive: “Nel panorama italiano del XX secolo, pochi scrittori possono, come Vincenzo Consolo, mostrare in modo tanto conseguente e radicale che cosa è stato per l’Occidente moderno, per oltre un paio di secoli e che cosa forse si ostina ad essere quella che chiamiamo letteratura”. Per il critico Cesare Segre, “Consolo è stato il maggiore scrittore italiano della sua generazione”. Nei libri ma anche nei saggi e negli articoli per il ”Messaggero” e ”L’Unita”’ Consolo mantiene un intenso rapporto con la Sicilia. Si è sempre sentito un moderno Ulisse che torna nella sua Itaca dalla quale non riesce a staccarsi. Tutte le sue opere hanno infatti la Sicilia come punto di partenza e di approdo. CONSOLO, LE MANIFESTAZIONI Promosso dalla Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, dall’Associazione “Amici di Vincenzo Consolo” fondata per volontà di Caterina Pilenga, moglie dello scrittore, e da Arapán Film Doc Productionm si apre domani il #MESECONSOLO coordinato da Ludovica Tortora de Falco. Alle 15 su RadioTre Fahrenheit ospiterà critici, esperti e giornalisti per analizzare l’eredità di Consolo. Alle 20 Radio Tre Suite dedicherà in diretta dalla Sala di via Asiago a Roma una serata di letture di Consolo e brani musicali. L’evento clou a Sant’Agata di Militello, dove alle 21 al cinema teatro Aurora andrà in scena #Lunaria di Vincenzo Consolo nello storico allestimento dell’omonimo Teatro Lunaria di Genova diretto da Daniela Ardini che ne cura la regia. Interprete Pietro Montandon. Lunaria è la storia del Viceré e della Luna che cade su una remota contrada senza nome. Ancora a Sant’Agata di Militello, il 26 e 27 gennaio, presso il Palauxilium proiezione del film documentario #Lisolainme, in viaggio con Vincenzo Consolo per le classi quinte dei licei del territorio dei Nebrodi.Sempre il 26, a Milano presso il Laboratorio Formentini per l’editoria, via Marco Formentini, 10, Reading . Ricordi di Vincenzo Consolo a cura di Paolo Di Stefano e Gianni Turchetta. Voci recitanti Valerio Bongiorno e Laura Piazza. Il 28 gennaio all’University College Cork, in Irlanda, #MemorialConsolo a cura di Daragh O’Connell, organizzato da Claudio Masetta Milone, il concittadino dello scrittore che da sempre lo ha affiancato e curato nelle sue ricerche, l’amico di una vita, instancabile promotore della Casa letteraria Consolo di Sant’Agata e della serata evento di domani. Temi del convegno: tradurre, curare, studiare, raccontare Consolo con Joseph Farrell, Gianni Turchetta, massimo esperto italiano dello scrittore, curatore del Meridiano Mondadori, Nicolò Messina e Salvatore Maira. Link per i quattro appuntamenti: https://us02web.zoom.us/i/88579217433…. Meeting ID: 88579217433. Password: 060633.L’8 febbraio alle ore 10, a Palermo alla Sala Bianca dei Cantieri Culturali della Zisa a cura di Film Commission regionale, Centro Sperimentale di Cinematografia, Centro Studi Pio La Torre sarà proiettato per gli studenti dei licei il film documentario #InviaggioconVincenzoConsolo, prodotto nel 2008 da Arapán.Il 9 febbraio a Milano presso la Biblioteca Valvassori Peroni (via Valvassori Peroni, 56) serata con letture di testi di Vincenzo Consolo tra la Sicilia e Milano.Evento di particolare importanza l’11 febbraio alle ore 17 a Palermo presso la Biblioteca Centrale della Regione Siciliana, quando la Biblioteca presenterà l’e-book, promosso dal direttore Carlo Pastena e realizzato grazie alla cura di Antonella Bentivegna, che contiene il catalogo del patrimonio bibliografico di e su Vincenzo Consolo custodito presso la Biblioteca stessa. Contiene fotografie di Consolo tratte dall’archivio L’Ora, e i suoi articoli per il giornale di Vittorio Nisticò e per altre testate italiane. Coordinerà il convegno Antonio Calabrò, parteciperanno Salvatore Ferlita, Claudio Masetta Milone, Salvatore Silvano Nigro, Concetto Prestifilippo, Dario Stazzone e Piero ViolanteIl 15 febbraio alle ore 18,30 presso il Cineclub Arsenale di Pisa (vicolo Scaramucci, 2) Per Vincenzo Consolo, mostra fotografica a cura di Francesco La Francesca e Cecco Ragni. Infine il 25 febbraio alle ore 17,30 a Catania, alla Libreria Cavallotto di corso Sicilia, 91, presentazione del libro L’oggetto perduto del desiderio. Archeologie di Vincenzo Consolo di Rosalba Galvagno, Milella editore.

L’Ora Edizione Straordinaria
20 gennaio 2022

L’opera di Vincenzo Consolo e l’identità culturale del Mediterraneo, fra conflitto e integrazione

Gianni Turchetta*
I
ntroduzione

  1. Siciliano e milanese
    Il libro che avete fra le mani nasce da un Convegno internazionale tenutosi a Milano il 6 e 7 marzo 2019, presso l’Università degli Studi di Milano, nella prestigiosa Sala Napoleonica di Palazzo Greppi.
    Tenevo molto alla realizzazione di questo Convegno e ora sono felice di aprire questo volume. Tornerò subito sull’importanza di Consolo scrittore e intellettuale. Ma voglio anzitutto sottolineare fino a che punto il sicilianissimo Vincenzo Consolo, (nato a Sant’Agata di Militello il 18 febbraio 1933), che per tutta la vita ha parlato e scritto quasi solo della Sicilia, avesse messo radici a Milano, dove ha vissuto dal 1° gennaio 1968 (una data singolarmente simbolica) fino alla morte, avvenuta il 21 gennaio 2012. Questo volume esce anche ormai a ridosso del decennale della scomparsa, di cui intende aprire le celebrazioni. Come molti altri scrittori siciliani, Consolo si è trasferito a Milano: e come non pochi altri, Vittorini in testa, c’è rimasto poi fino alla fine. È vero anche però che, in non pochi momenti della sua vita, egli ha meditato seriamente sulla possibilità di andarsene, di tornare in Sicilia, o quanto meno al sud, per vari motivi: per nostalgia, forse per tutta la vita, ma fors’anche mai
    convintamente; perché il sud avrebbe avuto bisogno di una guida intellettuale (soprattutto all’indomani della morte di Sciascia, tra fine anni Ottanta e inizio anni Novanta, anche per le sollecitazioni di Goffredo Fofi, a sua volta tornato da Milano a Napoli); perché deluso da un nord affarista e rapace, traditore della grande tradizione illuminista (si veda Retablo), politicamente sempre più a destra (soprattutto all’indomani dell’elezione di Formentini a Sindaco di Milano, nel 1993), e poco dopo berlusconiano. Eppure, nonostante tutto, Consolo alla fine è rimasto a Milano, per tante altre ragioni. E dunque non si fa certo una forzatura considerandolo, così come tanti altri meridionali diventati milanesi d’adozione (mi ci metto anch’io), non solo siciliano, ma anche milanese. Certamente Milano ha dato molto a Consolo. E d’altro canto Consolo ha ricambiato con una fedeltà profonda, più di quanto potrebbe apparire a prima vista. Era dunque doveroso che Milano, finalmente, gli dedicasse un grande Convegno, e che questo Convegno non restasse solo un
    evento, ma diventasse una tappa importante nella bibliografia critica consoliana, diventata ormai molto ampia e ricchissima di contributi di studiosi non italiani, o trasferiti da molto tempo in sedi estere. Prima di entrare nel merito dell’argomento cui sono dedicati i saggi qui raccolti, voglio ancora fare due osservazioni preliminari. La prima riguarda la necessità di acquisire in pianta stabile Consolo alla percezione diffusa della letteratura italiana contemporanea, a quello che potremmo chiamare il senso comune o, se preferite, il canone. La pubblicazione delle opere di Vincenzo Consolo nei Meridiani Mondadori ne sancisce del resto definitivamente la statura di “classico”, di scrittore destinato a restare. Sfruttando la prestigiosa auctoritas di Cesare Segre: «Consolo è stato il maggiore scrittore italiano della sua generazione»1, quella cioè degli anni Trenta. Segre ha certo ragione, ma noi possiamo allargare anche di più la sua affermazione, ribadendo, senza mezzi termini, che Consolo è tout court uno dei massimi scrittori italiani del Secondo Novecento. La seconda osservazione ha a che vedere con la scelta di inquadrare Consolo in relazione all’identità mediterranea, o piuttosto all’intreccio inestricabile di identità che caratterizza il Mediterraneo. Guardare a Consolo da questa prospettiva significa certo, in prima approssimazione, ribadire la costanza e la profondità dei suoi discorsi sulla Sicilia: ma tenendo sempre presente che per Consolo
    la Sicilia, come vedremo fra poco, è fisicamente centro e simbolicamente luogo esemplare di una realtà più ampia e complessa: quella appunto del Mediterraneo. Lo testimonia, fra, le altre cose, anche l’importante antologia in lingua inglese degli scritti di Consolo, Reading and writing the Mediterranean, curata da Norma Bouchard e Massimo Lollini2. Allo stesso tempo, leggere Consolo
    sub specie Mediterranei ha significato collocarsi in una specola privilegiata, dalla quale egli appare fin dal primo momento in tutta la sua complessità, di scrittore ma anche di intellettuale a tutto tondo, impegnato senza tregua anche sul piano politico-culturale. Sarei quasi tentato di parlare di una sorta di paradosso che governa il lavoro di Vincenzo Consolo: ma credo sia più opportuno parlare di una tensione costitutiva, che fa del resto tutt’uno con la sua straordinarietà. Sperimentalismo e eticità: fra scrittura e militanza La scrittura consoliana nasce certo da una vocazione implacabile, tutta tesa verso un’idea di letteratura come linguaggio speciale, tanto
    denso da sfidare la concretezza stessa del reale. In questa prospettiva, Consolo assegna alla letteratura una missione insieme impossibile e necessaria, che ha una profonda valenza etica e politica. Dopo la fine della stagione dell’engagement, Consolo chiede alla letteratura di essere pienamente, ferocemente letteratura, di distinguersi sempre dalle altre forme di comunicazione: comprese quella della quotidiana battaglia politico-culturale, condotta soprattutto sui quotidiani e in genere sui periodici a larga diffusione.
    Questa duplicità gli consente di affiancare due operazioni molto diverse, se non antitetiche: denunciare le ingiustizie del mondo, da un lato, producendo parole che potrebbero, nonostante tutto, contribuire a cambiarlo; ma anche, da un altro lato, valorizzare senza sosta la bellezza e la ricchezza della vita. Non è certo un caso che questa duplicità permei in profondità proprio la rappresentazione della Sicilia, come mostra esemplarmente, fra gli altri, un romanzoromanzo
    come Retablo.
    Se la scrittura propriamente letteraria è protesa verso la mission impossibile di sfidare la densità delle cose e della realtà, d’altro canto Consolo non smette di praticare senza sosta un’idea
    fortemente militante del lavoro intellettuale, mediante il quale lo scrittore, pur consapevole dei propri limiti, si batte per denunciare le ingiustizie del mondo, intervenendo senza soluzione di continuità nel dibattito culturale, in tutte le sedi disponibili. A fianco alla produzione propriamente letteraria, Consolo ha così realizzato un’immensa produzione saggistica e giornalistica, ancora pochissimo studiata, e che è necessario indagare. Egli ha infatti collaborato per decenni (dal 1966 al 2010) con numerosissime testate, fra le quali «L’Ora», «Il Messaggero», «La Stampa», il «Corriere della Sera», «l’Unità», «il Manifesto», «Repubblica», «L’Espresso». Solo una piccola parte di questa produzione è stata raccolta e ripubblicata in volume: il che equivale a dire che fra i lavori da fare ci sono non poche possibili nuove edizioni. Per ora in volume troviamo anzitutto i magnifici saggi, di impianto prevalentemente storico e letterario, raccolti in Di qua dal faro3, un libro che a sua volta riprende altri più piccoli volumi precedenti. Già questo volume affronta la storia, la cultura e la
    letteratura siciliane in una prospettiva che si apre verso il Mediterraneo tutto, anticipando prospettive di studio oggi molto frequentate e ai quali certo il presente volume intende ricollegarsi.
    Ma Di qua dal faro raccoglie solo una piccola parte della vasta produzione saggistica di Consolo. Sul versante giornalistico, possiamo leggere in volume anche un’antologia degli articoli pubblicati sul quotidiano di Palermo «L’Ora» tra la fine degli anni Sessanta e la metà degli anni Settanta4, durante la stagione straordinaria della direzione di Vittorio Nisticò5. È poi disponibile una scelta quasi completa dei suoi scritti sulla mafia6: dove, di nuovo, emergono l’urgenza e la drammaticità di tematiche legate alla Sicilia e al Meridione d’Italia, nella loro peculiarità ma anche nel loro più
    ampio rapporto con i processi di modernizzazione della penisola. La maggior parte degli scritti saggistici e militanti di Consolo resta però sparpagliata nelle diverse sedi in cui è uscita e in una piccola galassia di libretti di pressoché impossibile reperibilità. Consolo ha svolto un’attività giornalistica di ampiezza e intensità davvero straordinarie: mi permetto di rimandare, a questo proposito, alla bibliografia da me curata per il Meridiano7, che nella sua (quasi) esaustività consente di farsi un’idea precisa e fondata. E pensare che alcuni critici hanno detto che Consolo era “pigro”: bibliografia alla mano, pare proprio difficile sostenerlo! È vero solo, semmai, che egli ha scritto un numero relativamente limitato di libri propriamente di letteratura: questo è avvenuto proprio perché, quando scriveva «letteratura», costruiva delle macchine semiotiche ed espressive di natura assai diversa da quelle realizzate negli articoli e nei saggi, macchine che chiedevano una costruzione lentissima, sviluppata nel corso di anni interi. D’altro canto, per tutta la vita, o per lo meno dagli
    anni immediatamente successivi all’esordio con La ferita dell’aprile 8, la scrittura letteraria è stata sempre affiancata da quella lato sensu giornalistica. Già i volumi a nostra disposizione ci consentono di cogliere fino a che punto Consolo fosse presente con grande costanza nella vita pubblica e nella vita politica, sempre ben salvaguardando la sua specificità di intellettuale, secondo un modello che deriva dalla cultura francese, da Émile Zola e dallo stesso Jean-Paul Sartre (entrambi citati più volte nei suoi scritti militanti). Consolo era, insomma, un intellettuale sempre pronto a parlare della realtà, del presente, della quotidianità, spesso toccando temi caldi e problematici, con un coraggio e una spregiudicatezza mai disponibili al compromesso, segnati da un’eticità rigorosissima, senza incrinature. Per dirla in modo un po’ colloquiale: Consolo non le mandava mai a dire, e questo, non lo si dimentichi, gli ha procurato non poche ostilità, delle quali si curava poco o nulla. Anche da questo punto di vista il suo esempio è davvero ammirevole. Vorrei persino dire che, pur rifiutando sempre le non poche sollecitazioni a scendere in politica9, a suo modo Consolo ha sempre fatto politica, per quanto in maniera molto diversa e lontana da quella dei politici professionali.
  2. “Io non so che voglia sia questa”: l’ossessione della Sicilia Cominciamo a dirlo con le sue parole:
    Io non so che voglia sia questa, ogni volta che torno in Sicilia, di volerla girare e girare, di percorrere ogni lato, ogni capo della costa, inoltrarmi all’interno, sostare in città e paesi, in villaggi e luoghi sperduti, rivedere vecchie persone, conoscerne nuove. Una voglia, una smania che non mi lascia star fermo in un posto. Non so. Ma sospetto sia questo una sorta d’addio, un volerla vedere e toccare prima che uno dei due sparisca.10
    Consolo ha sempre in mente la Sicilia, ne parla sempre. Un po’ la vuole, e un po’ però è lui il primo a non volerci tornare: la ama e non la sopporta, la desidera e gli ripugna. Rappresentare la Sicilia da
    lontano ha significato per lui anche vivere l’ossessione della Sicilia nei termini, consapevolmente contraddittori di necessità del ritorno, ma anche di impossibilità del ritorno. Significativamente, egli ha reinventato il mito di Ulisse alla sua maniera, parlandoci di un Ulisse che non ha più un’Itaca dove tornare, della quête ormai impossibile di una patria e di un’origine che ormai non esistono più. Consolo è ossessionato da questa sua patria che non è più quella di prima, che non è più patria: ma parlando della Sicilia parla con ogni evidenza di tutto un mondo dove la perdita delle radici è la regola, dove non è più possibile affidarsi a un’appartenenza originaria, che rischia di essere mistificata e mistificatoria. Ma che Sicilia è la Sicilia di Consolo? Ancora una volta la contraddizione è vitale: da un lato è una Sicilia costruita con un’attenzione documentaria rigorosa. Da questo punto di vista, Consolo si comporta in molti casi quasi come uno specialista, uno storiografo di professione. Frequentando a lungo le sue carte ho potuto vedere bene in che modo egli arrivasse a costruire i suoi testi letterari, quasi sempre raccogliendo documenti e materiali vari per anni. Nel caso del Sorriso dell’ignoto marinaio (la cui costruzione ha richiesto tredici anni di lavoro) Consolo narra della cruenta rivolta contadina di Alcàra Li Fusi, del maggio 1860, poi repressa con violenza. Per ricostruirla non solo studia libri di storia, ma va in archivio, cercando le carte di quella vicenda: si procura, per
    esempio, i certificati di morte dei rivoltosi condannati alla fucilazione. Quando infatti, alla fine del Sorriso, leggiamo proprio un certificato di morte, quello del bracciante Peppe Sirna, non siamo davanti a un’invenzione, ma a un documento autentico, che certo ha anche la funzione simbolica di farci percepire il contrasto terribile fra la nuda povertà di un certificato di morte, delle sue poche, gelide, burocratiche parole, che sono un quasi-nulla, e la vigorosa intensità della vita in corso, in particolare quella che avevamo percepito nel cap. V, dove la rappresentazione passa proprio attraverso il punto di vista di Peppe Sirna, messo in scena nelle sue fatiche, nelle sue percezioni e nei suoi pensieri. Consolo lavora così in molte occasioni: raccoglie i materiali come uno storiografo e si confronta con la documentazione, nella sua oggettività. Ma al tempo stesso non smette di mostrarci la soggettività di ogni punto di vista e la prospetticità di ogni visione del mondo. La Sicilia che egli rappresenta è del resto sì concretissima, ma può essere anche sottoposta a una torsione mitizzante che la rende persino fiabesca, come accade soprattutto in Lunaria, ma anche in Retablo. In ogni caso, la sua Sicilia è, come dire?, una Sicilia-Sicilia, fedele alla propria identità, ma al tempo stesso non
    cessa di essere anche “altro”, di funzionare come una metafora ad alta densità, dotata di una energica tensione generalizzante. Anche la Sicilia di Consolo, com’era accaduto alla Lucania di Carlo Levi, si fa intensa rappresentazione del Sud del mondo e dei processi di modernizzazione che distruggono il mondo contadino: li vediamo all’opera in Italia, ma anche in tante altre nazioni, soprattutto extraeuropee. Anche se ci parla di come i processi di modernizzazione stiano distruggendo molte civiltà, in Consolo non c’è mai un atteggiamento nostalgico, la facile retorica sui bei tempi andati. È necessario ricordare, a questo proposito, come lo stesso plurilinguismo consoliano nasca dall’intenzione di conservare, attraverso la letteratura, parole che rischiano di perdersi, e, attraverso le parole, le culture, i punti di vista sul mondo, i modi di vita che esse portano
    in sé. Nella scrittura di Consolo vi è insomma una grande preoccupazione antropologica, oltre che storica, coerentemente con la sua costante attenzione alla longue durée. Parlando della Sicilia Consolo ci racconta una storia drammatica, anche perché molte volte i cambiamenti sono parsi offrire delle possibilità di rinnovamento, di liberazione, che poi però sono andate perdute e hanno deluso. Al di qua e al di là della Storia, per Consolo la Sicilia è però anche una densa metafora dell’ambivalenza della vita. In fondo in Sicilia c’è tutto quello che si potrebbe desiderare per
    essere felici: una cultura millenaria, con straordinari monumenti, dalla protostoria alla Magna Grecia, dalla romanità al Medioevo, al Barocco, al Liberty; una natura rigogliosa e varia; una cultura stratificata e ricchissima; anche, perché no?, una cucina tra le più raffinate del mondo. Detto in due parole, la Sicilia potrebbe forse essere il migliore dei mondi possibili. Eppure per molti versi è quasi il
    contrario: è un mondo tragicamente violento e corrotto, pieno di orrori, tanto da rendersi persino proverbiale, visto che nel mondo intero è proprio una parola siciliana, mafia, a indicare tutte le forme
    di criminalità organizzata. Rispetto alla rappresentazione dell’ambivalenza della Sicilia, Retablo11 è un testo esemplare: vi troviamo deliziosi incontri tra amici e nuove amicizie che nascono; ma al tempo stesso assistiamo alla rappresentazione di un orrore innominabile, senza fine. Si pensi, fra le altre, alla scena delle prostitute a cui per punizione viene tagliato il naso12. Una violenza atroce, quella delle mutilazioni come pena legale, che si praticava nel mondo passato, certo (e dunque… come idealizzarlo?): ma che continua ad accadere ancora oggi in non poche parti del mondo…
    La Sicilia appare dunque in Consolo come un luogo in cui vi è tutto il male e tutto il bene, ed è di conseguenza anche per questo un’immagine della vita tutta, un luogo «bellissimo e tremendo», per
    riprendere un’espressione di Consolo stesso13. La Sicilia si fa insomma metafora della vita, della sua bellezza straordinaria e della sua terribile violenza, che convivono. D’altro canto, Consolo non
    cade mai in un vizio tipico dei letterati: quello di collocare tutto in «un tempo senza tempo», di parlare di ogni violenza e di ogni tristezza come di qualcosa di eterno, segno di un destino immodificabile e senza scampo. Non a caso del resto Consolo polemizza duramente con chi, come Tomasi di Lampedusa, pensa che la Storia sia inesorabilmente uguale a se stessa, che in essa «cambia tutto» perché «non cambi niente». Tutt’al contrario, Consolo ci ricorda in continuazione che i cambiamenti sono storicamente determinati: e che quindi bisogna continuare a combattere per provare a cambiare. “Non un paesaggio ma innumerevoli paesaggi”: il mosaico Mediterraneo
    Se la Sicilia funziona come chiave per la lettura del mondo tutto, questo avviene anche e proprio perché la Sicilia è per Consolo una sorta di sintesi del Mediterraneo, cioè di un’area talmente ricca sul piano storico e culturale da poter valere come equivalente del mondo tutto: Perché è da qui che vogliamo partire, per un nostro viaggio, per una nostra ricognizione della Sicilia, per inventarci, liberi come siamo da confini di geografia, da limiti d’epoca storica o da barriere tematiche, un modo, tra infiniti altri, per conoscere quest’isola al centro del Mediterraneo, questo luogo d’incrocio d’ogni
    vento e assalto, d’ogni dominio e d’ogni civilizzazione.14 L’ambiguità sintattica, che permette di interpretare sia la Sicilia sia il Mediterraneo come il “luogo d’incrocio d’ogni vento e assalto, d’ogni dominio e d’ogni civilizzazione” finisce per ribadire sul piano semantico la possibilità che la Sicilia sia una sorta di equivalente del Mediterraneo tutto, con le sue caratteristiche di molteplicità e, di più,
    di totalità. Già i saggi contenuti in Di qua dal faro15 vanno del resto, fin dal titolo, in una direzione apertamente mediterranea. Il titolo infatti evoca polemicamente un modo di dire dei Borboni, che con l’espressione «Di là dal faro» designavano appunto la Sicilia, vista dal continente, e più specificamente da Napoli, come la parte del loro regno collocata al di là del faro di Messina: una regione a cui guardavano evidentemente con sufficienza e distacco. La prospettiva opposta, quella «di qua dal faro», implica invece uno sguardo partecipe, ma al tempo stesso, mentre sottolinea la
    centralità della Sicilia, intende sottolineare proprio la necessaria apertura verso il Mediterraneo tutto: la Sicilia, dunque, come mondo “altro”, ma emblematico di un mondo più vasto. Quanto ricco sia il
    Mediterraneo di Consolo verrà mostrato con ampiezza e profondità dai saggi qui raccolti. E voglio ricordare anche la recente uscita di un’importante monografia di Ada Bellanova su La rappresentazione degli spazi nell’opera di Vincenzo Consolo, un volume che indaga ampiamente la mediterraneità di Consolo16. La dimensione mediterranea dell’opera di Consolo chiama in causa, come accennato poco sopra, un’identità che va declinata su una profondità storica straordinaria, plurimillenaria, di longue durée. In questa chiave, la storia si fa antropologia, anche perché chiama in
    causa gesti antichi, azioni che fondano le comunità umane: la raccolta e la produzione dei cibi, la produzione di oggetti, l’acquisizione delle risorse, e, in generale, quelle che potremmo chiamare le azioni del lavoro umano. Non a caso, in Di qua dal faro si trovano tante “storie” (straordinarie) che ci parlano direttamente di queste azioni, di questi gesti: si pensi alle ricostruzioni della storia dell’estrazione dello zolfo, una grande vicenda economica e antropologica della storia italiana, o della pesca del tonno17. Certo il Mediterraneo è uno spazio fortemente identitario. Ma si tratta di
    un’identità caratteristicamente plurale, perché composta da un mosaico complessissimo di tempi lingue culture etnie. Il Mediterraneo è un piccolo mare, certo, ma che tocca in un piccolo spazio tre continenti, in un’area segnata da una storia tanto antica da configurarsi per molti aspetti come la culla non di una, ma di molte civiltà. Ce lo ricordano, fra molte altre, le parole di uno dei più
    grandi esperti di tutti i tempi della storia mediterranea, Fernand Braudel: Che cos’è il Mediterraneo? Mille cose insieme. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma una serie di civiltà accatastate le une sulle altre. Viaggiare nel Mediterraneo significa incontrare il mondo romano in Libano, la preistoria in Sardegna, le città
    greche in Sicilia, la presenza araba in Spagna, l’Islam turco in Iugoslavia. Significa profondare nell’abisso di secoli, fino alle costruzioni megalitiche di Malta o alle piramidi d’Egitto. Significa incontrare realtà antichissime, ancora vive, a fianco dell’ultramoderno: accanto a Venezia, nella sua falsa immobilità, l’imponente agglomerato industriale di Mestre; accanto alla barca del pescatore, che è ancora quella di Ulisse, il peschereccio devastatore dei fondi marini o le enormi petroliere.
    Significa immergersi nell’arcaismo dei mondi insulari e nello stesso tempo stupire di fronte all’estrema giovinezza di città molto antiche, aperte a tutti i venti della cultura e del profitto, e che da secoli sorvegliano e consumano il mare.18 Lettore attento di Braudel, con ogni evidenza anche Consolo colloca il Mediterraneo sotto il segno della pluralità, che ritroviamo in tutti gli studi più autorevoli sul mare nostrum. Mi verrebbe persino da dire che la stessa scrittura consoliana, così programmaticamente plurale, intende in qualche modo echeggiare proprio quella pluralità.
    Spazio millenario di intensi scambi e di ricchissima produzione culturale, nel Mediterraneo culture diversissime si sono mescolate, integrandosi prodigiosamente (si pensi alla civiltà arabo-sicula, o a
    un fenomeno linguistico come il sabir, la lingua franca dei porti del Mediterraneo, che mescola lingue romanze e lingue semitiche) o tragicamente scontrandosi e combattendosi. Le scritture di Consolo evocano continuamente lo spessore storico delle vicende che hanno attraversato il Mediterraneo, proiettandole in modo sistematico sull’attualità, e mostrando come la straordinaria ricchezza multilinguistica e multi-culturale del Mediterraneo possa costituire un punto di riferimento per l’interpretazione della realtà contemporanea e per l’individuazione di strategie di integrazione.
    La forza del riferimento all’identità mediterranea sta anche nel fatto che lo spazio del Mediterraneo rende problematiche molte opposizioni che siamo soliti dare per scontate, a cominciare da quelle, insieme geografiche e metaforiche, di nord vs sud e est vs ovest. Ragionare in termini di mediterraneità significa così, di necessità, fare sempre riferimento a un’identità composita, che nega
    ogni semplificazione identitaria: proprio quel tipo di semplificazione da cui derivano le elementari, forzatissime e opportunistiche narrazioni sovraniste e populiste. Per sua stessa costituzione,
    proprio l’identità mediterranea ci chiede continuamente di essere di nuovo decifrata, ci impone di non smettere mai di fare i conti con qualcosa che è sempre stata problematica, e che, per sovrapprezzo, gli ultimi anni hanno, drammaticamente, reso ancora più problematica e conflittuale. A questo proposito, è difficile trovare parole più esatte di quelle di un altro gigante degli studi mediterranei, Predrag Matvejević: l’Europa, il Magreb e il Levante; il giudaismo, il cristianesimo e l’Islam; il Talmud, la Bibbia e il Corano; Gerusalemme, Atene e Roma; Alessandria, Costantinopoli,
    Venezia; la dialettica greca, l’arte, la democrazia; il diritto romano, il foro e la repubblica; la scienza araba; il Rinascimento in Italia, la Spagna delle varie epoche, celebri e atroci; gli Slavi del sud sull’Adriatico e molte altre cose ancora. Qui popoli e razze per secoli hanno continuato a mescolarsi, fondersi e contrapporsi gli uni negli altri, come forse in nessuna ragione di questo pianeta. Si
    esagera evidenziando le loro convergenze e somiglianze, e trascurando invece i loro antagonismi e le differenze.19 Fra conflitto e integrazione, appunto, come nel nostro titolo. Parlare di Mediterraneo, non a caso, significa così anche denunciare la violenza che in questo spazio è stata e continua a essere esercitata. Ce lo ricorda ancora Braudel, in un passo che Consolo ha non a caso citato più di una volta: “In tutto il Mediterraneo l’uomo è cacciato, rinchiuso, venduto, torturato, e vi conosce tutte le miserie, gli orrori e le santità degli universi concentrazionari”20. Consolo è stato, non per caso, uno dei più lucidi e tempestivi nel cogliere le nuove direzioni della violenza nel Mediterraneo, a cominciare da quella esercitata sui migranti, su cui torneremo fra pochissimo. Pochi come lui hanno capito subito, fin dagli anni Ottanta, che Il Mediterraneo oggi, forse per la prima volta nella propria storia millenaria vede intaccato il mito che costantemente lo ha accompagnato, quello della culla delle culture, delle civiltà, delle tre grandi religioni monoteistiche, per vederlo sostituire da un mito sommario, cumulativo, a grappolo, quasi, ed è quello che presenta il Mediterraneo come un mare pericoloso 21 La vibrata, lucida polemica di Andrea Gialloreto, Srećko Jurišić, Eliana Moscarda Mirković ci riporta, dolorosamente, a un contesto odierno dove purtroppo il confitto sembra prevalere sull’integrazione. Non sono pochi gli scenari in cui il peggioramento e il degrado sono
    tragicamente evidenti, è fin troppo facile ricordarli: a cominciare dalla Siria, per proseguire con l’Algeria, la Libia, l’Egitto. Caterina Consolo ricordava con rimpianto gli anni in cui lei e Vincenzo potevano viaggiare da soli in vari paesi del Magreb, semplicemente noleggiando una macchina e girando in tutta tranquillità. Difficile immaginare oggi qualcosa di simile. Certo, il degrado dell’oggi
    rimanda a tanti altri momenti e luoghi in cui sono prevalse la violenza e la conflittualità. A questo proposito, è opportuno ricordare che la tesi di laurea in Giurisprudenza di Consolo, discussa il 18 giugno 1960, si intitolava La crisi attuale dei diritti delle persone 22. Una volta di più, la prospettiva consoliana si mostra acutissima, sempre lucida davanti alla realtà presente. Per vari aspetti risulta impressionante, per la sua tempestività, l’insistenza di Consolo nel segnalare il dramma dei migranti africani e la frequenza delle tragedie in mare legate ai loro flussi attraverso il Mediterraneo, fin dagli anni Ottanta: si pensi a un racconto come il Memoriale di Basilio Archita 23, scritto addirittura nel 1984, una data incredibilmente precoce. Già allora, Consolo intuiva quanto Ian Chambers oggi può affermare senza incertezze: Il migrante moderno è colui che più intensamente delinea questa costellazione [attuale dell’ordine planetario]. Sospeso nell’intersecarsi di un’espropriazione
    economica, politica e culturale, è colui/colei che porta le frontiere dentro di sé. […] Il/la migrante non è puramente un sintomo storico della modernità; piuttosto è l’interrogazione condensata dell’identità vera e propria del soggetto politico moderno.24 Va aggiunto peraltro che Consolo ha dato anche costante attenzione alla pluri-direzionalità e periodicità dei flussi migratori. Si pensi, in particolare, ai suoi ripetuti riferimenti all’emigrazione dei siciliani in Tunisia: ancora oggi un quartiere di Tunisi si chiama “Petite Sicile”. Proprio in Tunisia emigra, fra gli altri, il protagonista Petro Marano al termine di Nottetempo, casa per casa25. Vi proporrò ora, per avviarmi al termine del mio percorso, un esempio molto caratteristico della capacità di Consolo di leggere lucidamente, criticamente la realtà, e insieme però di fondere la lettura del presente con la possibilità di attribuirgli, tramite la tensione espressiva e la forza mitizzante della letteratura, una più ampia dimensione simbolica: così da far convivere metafora e storia, sperimentazione e tensione etica, poesia e politica, in una miscela che non smette di essere rarissima. Certo, oggi abbiamo tutti
    presente ciò che sta succedendo in Europa e nel mondo: dove migliaia, centinaia di migliaia, milioni di persone migrano, si spostano e spesso muoiono nel tentativo di emigrare. Moltissimi, lo sappiamo, soccombono tragicamente nel canale di Sicilia e al largo delle coste dell’Egeo, uccisi “dall’acqua”. In tempi molto lontani Consolo ha cominciato a cogliere questo movimento che oggi è sotto gli occhi di tutti e che ha preso proporzioni così ampie da diventare uno degli argomenti centrali in discussione nell’agenda politica dell’Unione Europea. Se ne parla tutti i giorni, e ci si scontra su questo: i muri, le quote, i soldi alla Turchia e i ricatti di Erdogan, gli imbarazzi politici
    della Merkel e di Macron, le polemiche di Salvini e di Meloni. Come abbiamo visto, Consolo ha capito prestissimo la rilevanza del fenomeno. È chiaro: egli guarda al presente, alla storia, al Meridione nostro e al Meridione del mondo, cogliendo il suo e nostro presente con rara tempestività e profondità, prima di tanti altri. Ma se consideriamo questa sua percezione da un altro lato, ci
    accorgeremo che, ben da molto prima, Consolo dà corpo anche a un’ossessione letteraria, ben più antica, che lo rincorre fin dai primissimi racconti (si veda Un sacco di magnolie, 195726) e poi
    ricorrerà per tutta la sua carriera di scrittore: l’immagine del morto in acqua e “per acqua”. Ben prima che le migrazioni nel Mediterraneo diventassero cronaca quotidiana, Consolo riprende infatti più e più volte l’immagine della Death by water della Waste Land di Thomas Stearns Eliot, sezione IV, con la figura di Phlebas il fenicio, morto nell’affondamento della sua nave. La forza mitizzante di lungo
    periodo della letteratura diventa così a sua volta uno strumento privilegiato per cogliere la realtà presente. Una volta di più, metafora e storia si incontrano: così che l’ossessione letteraria fa tutt’uno con la profondità e la lucidità nello scandaglio del reale. La grandezza di Consolo sta anche qui.
    I saggi raccolti nel presente volume concentrano l’attenzione su un amplissimo ventaglio tematico relativo all’emergere, in molteplici forme, delle questioni mediterranee in tutta l’opera di Consolo, sia
    nelle opere propriamente letterarie, sia nelle prose saggistiche e giornalistiche. Ma è noto che uno dei tratti caratteristici della scrittura di Consolo sta anche nel rimescolare generi e stili. La ricchezza
    della proposta interpretativa qui proposta vuole rispondere anche e proprio sia alla pluralità così caratteristica della dimensione mediterranea, sia alla pluralità che caratterizza costitutivamente la
    scrittura di Consolo, e anche, più largamente, la sua fisionomia intellettuale e umana. In pochi rapidi cenni, ricorderò ora che Dominique Budor (Université Sorbonne Nouvelle), con “Gli inverni della storia” e le patrie immaginarie, approfondisce il ruolo dell’immagine di Milano, “patria immaginaria”, da un lato, e della Francia da un altro. Sebastiano Burgaretta, con L’illusione di Consolo tra metafora e realtà, mette a fuoco soprattutto la produzione saggistica di Consolo dedicata alla Sicilia (includendovi anche un testo peculiare per genere e per tono come La Sicilia passeggiata), nell’ottica privilegiata del discorso sul Mediterraneo di cui la Sicilia è centro e crocevia. Miguel Ángel Cuevas (Universidad de Sevilla), in Della natura equorea dello Scill’e Cariddi: testimonianze consoliane inedite su Stefano D’Arrigo, ripercorre il rapporto profondo e per certi aspetti portante fra Consolo e l’autore di Hocynus Orca, indagandone diramazioni letterarie e linguistiche. Rosalba Galvagno (Università degli Sudi di Catania), con Il «mondo delle meraviglie e del contrasto». Il Mediterraneo di Vincenzo Consolo, delinea un denso e intenso ritratto del Mediterraneo consoliano, che diventa una chiave privilegiata per delineare “il destino, cioè il senso” della sua scrittura. Salvatore Maira, in Parole allo specchio, ci regala un intenso, vivo ricordo, legato soprattutto alla scrittura condivisa della sceneggiatura cinematografica derivata da Il sorriso dell’ignoto marinaio: vicenda che diventa la specola per guardare a Consolo da un punto di vista originale. Nicolò Messina (Universitat de València) costruisce un’attenta Cartografia delle migrazioni in Consolo: una questione cruciale, come abbiamo visto, che Messina indaga a partire da un censimento pressoché completo delle occorrenze della parola Mediterraneo e dei suoi derivati. Facendo perno sull’antitesi fra conflitto e integrazione, Messina mette a fuoco appunto “l’idea di un’identità del Mediterraneo, esaltata proprio dalle migrazioni e dai suoi attori”27. Daragh O’Connell (University College Cork), in La notte della ragione:
    Nottetempo, casa per casa fra poetica e politica, studia nel dettaglio, nella chiave qui proposta, il ruolo del secondo romanzo storico consoliano, strategico anche perché, come ebbe a dire l’autore, nato da “un sentimento nuovo di responsabilità all’indomani del vuoto lasciato da Sciascia nel panorama della letteratura europea e italiana”28. Marina Paino (Università degli Sudi di Catania), in La scrittura e l’isola, indaga in profondità soprattutto le relazioni fra la scrittura di Consolo, “i miti mediterranei del nostos e dell’isola” e “la scrittura o meglio gli autori siciliani”29. Carla Riccardi (Università degli Studi di Pavia), con Da Lunaria a Pantalica: fuga e ritorno alla storia?, costruisce un denso percorso fra alcune opere consoliane, lette come una “ricerca su come afferrare la realtà, la storia con tutta la strumentazione che si vale di parole”30, in una fascinosa varietà di generi e stili. Irene Romera Pintor (Universitat de València), in All’ombra di Vincenzo Consolo: esperienze a confronto, rende conto felicemente delle molte sfide poste dalla traduzione in spagnolo di
    Consolo, nella consapevolezza dell’importanza delle traduzioni per comunicare al pubblico del presente e del futuro l’“immensa ricchezza culturale, linguistica e umana”31 della Sicilia, e del mondo, che lo scrittore santagatese ha voluto trasmettere. Corrado Stajano, con Un grande amico, ci offre un lucido e insieme toccante ricordo delle tappe cruciali di una grande, profonda, amicizia, durata tutta una vita, nelle sue complesse vicissitudini. Infine Giuseppe Traina (Università degli Sudi di Catania), in Per un Consolo arabomediterraneo, interpreta in modo articolato e persuasivo i diversi
    modi, fra loro intrecciati, in cui Consolo ci parla della presenza araba: quello “memoriale, di marca geografico-artistica”32; quello storico-sociologico; quello più marcatamente letterario; quello politico. Per finire, il quadro che emerge ci mostra, se ce ne fosse stato ancora bisogno, fino a che punto la scrittura di Consolo continui a interrogare il nostro presente. Nei suoi testi balena del resto, con grande forza, una percezione della Storia molto vicina a quella di un altro autore a lui molto caro, Walter Benjamin: “La storia è oggetto di una costruzione il cui luogo non è il tempo omogeneo e vuoto, ma quello pieno di «attualità»”33. Che scriva romanzi storico-metaforici, testi dalla problematica identità di genere (come Lunaria o L’olivo e l’olivastro), saggi o articoli di quotidiano, Consolo continua comunque a mettere in questione il nostro presente, e a ricordarci che la Storia è sempre adesso.

    Ringraziamenti
    Grazie all’Università degli Studi di Milano, che ha ospitato il
    Convegno, e concesso i fondi di ricerca che hanno consentito la
    pubblicazione del presente volume. Grazie al Rettore Elio Franzini,
    ai colleghi Paola Catenaccio e Dino Gavinelli, che sono intervenuti
    all’apertura del Convegno. Un ringraziamento speciale all’amico
    Stefano Raimondi, che ha voluto con forza la collana in cui il volume
    esce, e a Francesca Adamo, che con la consueta perizia ne ha
    curato la redazione. Grazie di cuore a tutti i relatori, e anche ai non
    pochi colleghi che avrebbero voluto partecipare al Convegno: non
    era possibile invitare tutti, ma anche il desiderio di esserci è una
    bella testimonianza dell’ammirazione e della passione che
    circondano Consolo, in Sicilia, a Milano, e in molti altri paesi.
  • Università degli Studi di Milano
    1 C. SEGRE, Un profilo di Vincenzo Consolo, in V. CONSOLO, L’opera completa,
    a cura e con un saggio introduttivo di G. Turchetta e uno scritto di C. Segre,
    Mondadori, Milano 2015, p. XI.
    2 V. Consolo, Reading and writing the Mediterranean. Essays by Vincenzo
    Consolo, a cura di N. Bouchard e M. Lollini, University of Toronto Press,
    Toronto-Buffalo-London 2006.
    3 V. Consolo, Di qua dal faro, Milano, Mondadori, 1999; ora in Id., L’opera
    completa, cit., pp. 977-1260.
    4 V. Consolo, Esercizi di cronaca, a cura di S. Grassia, Prefazione di S.S.
    Nigro, Sellerio, Palermo 2013.
    5 Di cui possiamo leggere il lucido e appassionato racconto in V. Nisticò,
    Accadeva in Sicilia. Gli anni ruggenti dell’«Ora» di Palermo, Sellerio, Palermo
    2001.
    6 V. Consolo, Cosa loro, a cura di N. Messina, Bompiani, Milano 2017.
    7 Bibliografia, Opere di Vincenzo Consolo, in V. Consolo, L’opera completa,
    cit., pp. 1481-1517.
    8 La ferita dell’aprile, Milano, Mondadori, 1963; poi Torino, Einaudi, 19772; poi
    Milano, Mondadori 19893 (con introduzione di G. C. Ferretti); ora in Consolo,
    V., L’opera completa, cit., pp. 3-122.
    9 In particolare nel 1988-1989, quando Consolo venne sollecitato a candidarsi
    come indipendente nelle liste del PCI per le elezioni europee da Aurelio
    Grimaldi prima, e poi dallo stesso Segretario del Partito Achille Occhetto; cfr.
    G. Turchetta, Cronologia, in V. Consolo, L’opera completa, cit., p. CXXXIII.
    10 V. Consolo, Comiso, in Le pietre di Pantalica, Milano, Mondadori, 1988;
    19902 (a cura e con introduzione di G. Turchetta, G.); ora in V. CONSOLO,
    L’opera completa, cit., p. 632.
    11 V. Consolo, Retablo, Palermo, Sellerio, 1987; ora a in V. CONSOLO, L’opera
    completa, cit., pp. 365-475.
    12 Ivi, p. 400.
    13 V. Consolo, Viaggio in Sicilia, in Id., Di qua dal faro, Milano, Mondadori,
    1999; poi in Id., L’opera completa, cit., p. 1224.
    14 V. Consolo, La Sicilia passeggiata, ERI, Torino, 1991; poi con Prefazione di
    G. Turchetta, Mimesis, Sesto San Giovanni (MI) 2021, p. 18.
    15 Id. Di qua dal faro, Milano, Mondadori, 1999; ora in V. CONSOLO, L’opera
    completa, cit., pp. 987-1260.
    16 A. Bellanova, Un eccezionale Baedeker. La rappresentazione degli spazi
    nell’opera di Vincenzo Consolo, Mimesis, Sesto San Giovanni (MI) 2021.
    17 Un uomo di alta dignità, Introduzione a ‘Nfernu veru. Uomini & immagini dei
    paesi dello zolfo, a cura di A. Grimaldi, Edizioni Lavoro, Roma 1985, pp. 9-
    32, poi col titolo Uomini e paesi dello zolfo, in Di qua dal faro, cit., pp. 981-
    1006; La pesca del tonno in Sicilia, in La pesca del tonno in Sicilia, con saggi
    di R. Lentini, F. Terranova ed E. Guggino; schede di S. Scimè; glossario di M.
    Giacomarra, Sellerio, Palermo 1986, pp. 13-30; poi in Di qua dal faro, cit., pp.
    1007-1039.
    18 F. Braudel, Il Mediterraneo. Lo spazio, la storia, gli uomini, le tradizioni
    (1985), trad. it. di E. De Angeli, Bompiani, Milano 1987, 20193, pp. 5-6.
    19 P. Matvejević, Breviario mediterraneo (1987), trad. ital. di S. Ferrari,
    Garzanti, Milano 1991, 20062, pp. 18-19.
    20 F. Braudel, Civiltà e Imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II (1949), trad.
    it. di C. Pischedda, Einaudi, Torino 1976, vol. I, pp. 921-922.
    21 A. Gialloreto, S. Jurišić, E. Moscarda Mirković, Introduzione, in Oceano
    Mediterraneo. Naufragi, esili, derive, approdi, migrazione e isole lungo le rotte
    mediterranee della letteratura italiana, a cura di Id., Franco Cesati, Firenze
    2020, p. 9.
    22 Per ulteriori dettagli si veda G. Turchetta, Cronologia, in V. Consolo, L’opera
    completa, cit., p. CV.
    23 Uscito per la prima volta con il titolo Il capitano ordinò “buttateli agli squali”,
    «L’Espresso», 3 giugno 1984, pp. 55-64, venne poi inserito con il titolo
    Memoriale di Basilio Archita in Le pietre di Pantalica, cit., pp. 639-646. Per
    ulteriori dettagli si veda G. Turchetta, Note e notizie sui testi, in V. Consolo,
    L’opera completa, cit., pp. 1371-1372 e 1383.
    24 I. Chambers, Mediterranean Crossings. The Politics of an Interrupted
    Modernity (2007), trad. ital. di S. Marinelli, Le molte voci del Mediterraneo,
    Raffaello Cortina Editore, Milano 2007, p. 7.
    25 V. Consolo, Nottetempo, casa per casa, Milano, Mondadori, 1992; ora in V.
    CONSOLO, L’opera completa, cit., p. 755.
    26 Ora in V. Consolo, La mia isola è Las Vegas, a cura di N. Messina,
    Mondadori, Milano 2012, pp. 7-10.
    27 Cfr. infra, p. 109.
    28 Cfr. infra, p. 134.
    29 Cfr. infra, p. 156.
    30 Cfr. infra, p. 167.
    31 Cfr. infra, p. 197.
    32 Cfr. infra, p. 209.
    33 W. Benjamin, Tesi di filosofia della Storia (1940), Tesi n. 14, in Id., Angelus
    Novus. Saggi e frammenti (1955), trad. e introduzione di R. Solmi, Einaudi,
    Torino, 1962, 19813, p. 83
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Cosa Loro. Mafie fra cronaca e riflessione, Vincenzo Consolo

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Vincenzo Consolo, Cosa Loro. Mafie fra cronaca e riflessione. 1970-2010,
a c. di Nicolò Messina, Milano, Bompiani, 2017, pp. 315. Nel mantenere la visibilità di Vincenzo Consolo dopo la sua morte avvenuta nel 2012, il curatore del presente volume, Nicolò Messina, ha avuto un ruolo importante, anche grazie a La mia isola è Las Vegas (Milano, Mondadori, 2012), organica sistemazione di brevi scritti, racconti li chiamava lo scrittore (tra cui alcuni preziosi inediti), che coprono un arco di più di cinquant’anni. Un rapido censimento dei testi consoliani, pubblicati dopo il 2012, non può naturalmente prescindere dal Meridiano (L’opera completa, Milano, Mondadori, 2015) curato da Gianni Turchetta e con uno scritto di Cesare Segre. Ma vanno comunque citati anche gli Esercizi di cronaca, una raccolta di articoli pubblicati su L’Ora di Palermo, a cura di Salvatore Grassia, con prefazione di Salvatore Silvano Nigro (Palermo, Sellerio, 2013); gli Accordi, versi inediti, a cura di Claudio Masetta Milone  (Sant’Agata di Militello, Zuccarello, 2015) e sempre in ambito poetico le 4 liriche, 77 esemplari numerati con acquaforte originale di Luciano Ragozzino (Milano, “Il ragazzo innocuo”, 2017). Oltre ad alcune interessanti conversazioni”: Conversazione a Siviglia a cura di Miguel Ángel Cuevas (Caltagirone, Lettere da Qalat, 2016) che rimanda a Conversación en Sevilla, sempre a cura dello stesso (Sevilla, La Carbonería, 2014) e Autobiografia della lingua. Conversazione con Irene Romera Pintor (Bologna, “Ogni uomo è tutti gli uomini”, 2016). Per finire, le prose brevi di Mediterraneo. Viaggiatori e migranti (Roma, Edizioni dell’Asino, 2016). Cosa loro consta di sessantaquattro articoli scritti tra il 1970 ed il 2010, due anni prima della morte, pubblicati su diverse testate giornalistiche (L’Unità, Il Messaggero, Il Corriere della Sera, L’Ora, L’avvenire), su riviste (Linea d’Ombra, Euros) e su pubblicazioni di diversa natura, libri collettanei, ecc. Chiude il libro un’appendice
nella quale il curatore dell’edizione, Nicolò Messina, fornisce utilissime informazioni storiche e filologiche sui diversi pezzi, alcuni dei quali ha potuto collazionare con gli originali, dattiloscritti o manoscritti. Il titolo, Cosa loro, intende apportare, mediante lo scambio del possessivo, una modifica, di certo non solo grammaticale, alla definizione vulgata di “Cosa nostra”, per segnalare, si legge in una nota introduttiva, «un sistema da cui prendere senza compromessi le distanze e da contrastare indefettibilmente ». Consolo lo ha fatto nel corso di tutta la sua vita in quanto, ammetteva, «non si nasce in un luogo impunemente. Non si nasce, intendo, in un luogo senza essere subito segnati, nella carne, nell’anima da questo stesso luogo» («Memorie», ora in La mia isola…). In un articolo apparso su L’Ora nel 1982 («I nemici tra di noi», Cosa loro) proclama infatti che «la lotta alla mafia ha bisogno di noi, di ognuno di noi, nella nostra limpida coscienza civile, della nostra ferma determinazione; che è lotta politica, lotta per la nostra civiltà». Così Consolo “impugna” la scrittura per fare la sua parte. Scrive, come dice in «Un giorno come gli altri» (La mia isola…) perché la
scrittura «può forse cambiare il mondo». Con il narrare, invece, che è l’altro versante della sua ispirazione, il mondo non lo si cambia, lo si descrive soltanto. Negli articoli ora riuniti in Cosa loro, Consolo adotta quindi una “scrittura di presenza”, ossia una prosa militante che vibra fino ad innalzarsi alla liturgia indignata della riscrittura di un Dies irae da Requiem eseguito il 27 marzo 1993 nella cattedrale di Palermo per ricordare le stragi in cui persero la vita i giudici Falcone, Borsellino («soldati in prima linea » come li definisce), le loro scorte ed i congiunti («Dies irae a Palermo»). La “scrittura di presenza” assume, in certi scritti, la connotazione fisica dell’inviato speciale che segue “in diretta” le vicende che descrive: così ritroviamo lo scrittore al processo di Milano contro Michele Pantaleone nel 1975, querelato ma poi assolto, per aver denunciato un soggetto mafioso o a Comiso («Ero anch’io là, quella primavera del 1982, là a Comiso» – proclama con orgoglio – per protestare contro l’installazione di missili Cruise nella base della Nato. Ma l’intervento più solenne per un inviato speciale mandato in prima linea è quello al “maxiprocesso” del 1986: 475 mafiosi in gabbia. «Anch’io, in quel piovoso mattino del 10 febbraio del 1986, ero nella famosa, avveniristica, metafisica aula-bunker», afferma lo scrittore con
l’orgoglio di chi assiste, sono ancora parole sue, «al più grande psicodramma della storia siciliana, della storia nazionale». A cui seguirà purtroppo la tragica sequela di Capaci e di Via Amelio, nel 1992. Di Giovanni Falcone, a cui sono dedicati diversi articoli ed uno straziante necrologio, Consolo ha un ricordo personale: si conoscono ad una cena in casa di amici comuni e lo scrittore non può fare a meno di notare la tragica solitudine di quel commensale taciturno con «quell’aria triste di uomo “con toda su muerte a cuestas”», dice citando Federico García Lorca. Anche Falcone, come Ignacio Sánchez Mejía, era già avviato verso l’irreparabile destino. Consolo traccia la linea genealogica degli scrittori «siciliani e no» militanti: a cominciare dall’archetipo ottocentesco, Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino, i primi che denunciarono, nella famosa inchiesta del 1870, l’esistenza della mafia e l’arretratezza della Sicilia. Seguono, più vicino a noi, il già citato Michele Pantaleone che passò dalla scrittura all’azione, raggiungendo il record di quaranta querele mossegli da presunti mafiosi, Danilo Dolci, con i suoi scritti e le sue inchieste e soprattutto Leonardo Sciascia che «come Sherlock Holmes – è il titolo di un articolo del 1994 – scende nei sotterranei del potere di Cosa nostra». Leonardo Sciascia è inevitabilmente per il nostro scrittore una sorta di nume tutelare. Ma anche per «quel grande illustratore dell’Italia di ieri e di sempre» che risponde al nome di Alessandro Manzoni, Consolo dice di nutrire una grande ammirazione. Del tutto diversi i giudizi di Consolo su alcuni  prestigiosi scrittori siciliani; quali Luigi Capuana, Giovanni Verga, e soprattutto Giuseppe Tomasi di Lampedusa. All’autore de Il sorriso dell’ignoto marinaio non poteva naturalmente andare a genio l’affresco storico de Il Gattopardo, definito peraltro come un «sentenzioso romanzo» che cerca di occultare con l’enfasi delle famose parole pronunciate da Fabrizio Salina, («Noi fummo i Gattopardi
e i Leoni; quelli che ci sostituiranno […]» eccetera eccetera..), le complicità
dell’aristocrazia siciliana nell’avvento delle iene in futuro odore di mafia. Ma il
«principe di Salina – si legge ne I nostri eroi di Sicilia del 2007 – ignorava o voleva
ignorare che le iene e gli sciacalli, i don Calogero Sedara, erano nati e cresciuti, si
erano ingrassati nelle terre, nei feudi dei suoi pari, dei nobili, mentre loro, i feudatari, se ne stavano nei loro palazzi di Palermo a passare il tempo tra feste e balli. Vogliamo dire che la mafia dei gabellotti, dei soprastanti e dei picciotti, mafia che sfruttava e opprimeva i braccianti, era nata là, nel latifondo, nel feudo, in quel sistema economico che durava da più di mille anni. Tomasi di Lampedusa, l’autore del Gattopardo, ignorava questo?».  Sotto la “scrittura di presenza” che cerca di «cambiare il mondo», circolano, nei diversi capitoli di Cosa loro, frammenti dell’altra vena, narrativa, dello scrittore, che il curatore del libro, profondo conoscitore dell’opera di Consolo, individua puntualmente nell’appendice. Il frammento più solido è, a mio avviso, quello relativo ad un episodio che prende forma in un articolo del 1991 per raggiungere poi l’elaborazione definitiva nel racconto «Le lenticchie di Villalba» del 2000 ( La mia isola…) e rientrare successivamente nella “scrittura di presenza” nel 2004 con il titolo significativo di «Prima educazione alla legalità». Nell’articolo apparso su Linea d’ombra nel 1991, troviamo infatti l’embrione del futuro racconto di un episodio che Consolo dice di narrare per la prima volta, «risalente –precisa – a poco meno di cinquant’anni or sono […]». C’è una colpa, confessa ironicamente lo scrittore, da cui intendo liberarmi: «io
sono stato in casa a Villalba, del famoso capomafia don Calogero Vizzini, [non solo] ho avuto in dono, dallo squisito personaggio, un torroncino di sesamo e un buffetto sulla guancia». «Racconto com’è andata», precisa, quasi per avvertire che dalla scrittura militante sta scivolando in quella narrativa della memoria. «Era l’estate del ‘43», così ha inizio l’episodio. Consolo, a quell’epoca aveva dieci anni, viaggiava in camion con il padre, commerciante di cereali, per racimolare generi alimentari che scarseggiavano. A Villalba, in provincia di Caltanisetta, riescono a rifornirsi di derrate tra cui le lenticchie per cui era famosa la cittadina. Dopo aver caricato il camion, stanno per partire ma vengono bloccati da un maresciallo dei carabinieri che proibisce loro di trasportare la merce. Gli consigliano di ricorrere a don Calò che in effetti sblocca la situazione, li fa partire ed in più regala il torroncino al piccolo Vincenzo. Seguendo la cronologia delle lenticchie arriviamo al racconto del 2000 che ha un finale da un punto di vista etico, più pertinente: niente dolci e buffetti sulle guance del bambino e soprattutto c’è il padre che rifiuta la protezione mafiosa di don Calò, fa scaricare il camion e durante il viaggio di ritorno fa notare al figlio che «in questi paesi ci sono persone che comandano più dei marescialli». E lo invita a raccontare l’episodio «in un bel copiato» che Consolo metterà per iscritto quasi sessant’anni dopo. Nell’articolo del 2004, intitolato, come si è appena detto, «Prima educazione alla legalità», l’episodio non può che riconfermare il finale sancito nel racconto del 2000, con una messa a fuoco piu ravvicinata del losco personaggio che il padre definisce senza mezzi termini “capomafia” ed ancora l’invito, quasi un lascito morale al figlio, a raccontarlo a scuola in un “copiato”. Una curiosità lessicale: il ritratto di don Calò attraversa diverse varianti iconografiche: nel 1991 («Mafia e media») è descritto come un «vecchio, imperioso, compassato»; nel 2000 («Le lenticchie…»), è semplicemente «un vecchio con gli occhiali e il bastone» mentre nel 2004 («Prima educazione alla legalità ») viene bollato definitivamente come «un vecchio laido e bavoso». In altre circostanze lo scambio tra scrittura e narrazione (anche di taglio saggistico) procede all’inverso, nel senso che è questa a fornire alla prosa militante, atmosfere, spunti o addirittura interi brani contenuti nei romanzi. Così l’«Invettiva» del 1992 nei giorni successivi all’assassinio di Giovanni Falcone («Adesso odio il paese,
l’isola, odio questa nazione disonorata, il governo criminale, la gentaglia che lo vuole… Odio finanche la lingua che si parla…»), è una citazione – è lo stesso Consolo a confermarlo – del coevo romanzo Nottetempo, casa per casa. Continuando questo rapido inventario, sempre sotto la guida attenta del curatore del volume, troviamo Al di qua dal faro come fonte ispiratrice dell’articolo «Sciascia come Sherlok Holmes nei sotterranei del potere di Cosa nostra». Per quanto riguarda la città di Palermo (in «I fantasmi di Palermo») essa è bersaglio di invettive, «Palermo è fetida» e «Questa città  è diventata un campo di battaglia», che provengono rispettivamente da Le pietre di Pantalica e Lo spasimo di Palermo. Attraverso gli articoli di Consolo ripercorriamo quarant’anni di una tragedia nazionale di corruzione e di morti ammazzati che ha il suo apice con l’attentato a Falcone ed a Borsellino: dopo la loro morte, possiamo dire con lo scrittore che «non siamo stati più gli stessi». Ai registri usati da Consolo nei diversi capitoli del suo lungo “copiato”, si deve aggiungere anche quello comico-grottesco in cui agiscono personaggi come Salvatore (Totò) Cuffaro (governatore della regione siciliana), il suo successore, Raffaele Lombardo, e dulcis in fundo Silvio Berlusconi. I primi due sembrano maschere della commedia dell’Arte. A Cuffaro (rinviato a giudizio per «rivelazione di notizie riservate e favoreggiamento» che, sia detto per inciso, approfittò della reclusione per scrivere una tesi di laurea sul sovraffollamento delle carceri) Consolo attribuisce una illustre ascendenza, nientemeno che Sancho Panza: come il personaggio di Cervantes è, afferma lo scrittore, governatore dell’Isola di Baratteria e come lui potrà affermare, alla fine del suo mandato: «nudo son nato e nudo mi ritrovo». L’elemento farsesco è suggerito dalla sua ghiottoneria: nei diversi “cammeo” che gli sono dedicati nel volume, da «Totò il buono» (2004) fino a «Totò se n’è juto» (2008), è raffigurato come un cicciottello in estasi «davanti a una enorme cassata siciliana». Il menù della sua voracità comprende anche altre leccornie come «cannoli, cassate e mammelle di vergine». Anche il suo successore Raffaele Lombardo eredita il debole per la pasticceria ed in effetti, dice Consolo, scivola pure lui «su un vassoio di cannoli» e sull’accusa di concorso in associazione mafiosa. Lombardo inoltre si è fatto portavoce dell’annoso assioma
secondo il quale a parlare della mafia si infanga la Sicilia. E se la prende pure
con chi a suo avviso l’ha denigrata: la lista include persino Omero, per aver rappresentato lo stretto di Messina nelle fogge mostruose di Scilla e Cariddi, poi Garibaldi, Verga, De Roberto, Pirandello, Tomasi di Lampedusa. Si salvano invece Camilleri e curiosamente lo stesso Consolo verso cui Lombardo manifesta una grande ammirazione. Al che lo scrittore in persona prende divertito la parola per esprimere la propria sorpresa: «Ohibò! […] se il Lombardo avesse letto qualche libro di Consolo, se ne sarebbe accorto che razza di denigratore della Sicilia è questo scrittore!». Il cast del grottesco si chiude con Silvio Berlusconi, «l’anziano uomo truccato, quello che secondo Pirandello susciterebbe, come la vecchia signora “goffamente imbellettata”, l’avvertimento del contrario il quale crea a sua volta la comicità». In un contributo ad un libro su don Pino Puglisi, sacerdote assassinato dalla mafia nel 1993, intitolato «La luce di don Puglisi nelle tenebre di Brancaccio», lo scrittore si chiede se la Sicilia e l’intero paese siano, per usare un’espressione di Sciascia, «irredimibili». La risposta è lui stesso a formularla in un intervento successivo in cui si sofferma, a mio avviso, in modo enigmatico sulla soglia della parola “utopia”: «Sì –risponde all’intervistatore che gli chiede un messaggio di speranza – come scrittore, devo dare speranza. E la do, credo la speranza, come gli altri, con la scrittura. Il grande critico letterario russo Michail Bachtin affermava che il romanzo critico nei confronti del contesto storico-sociale è romanzo utopico: vale a dire che esso, narrando il male sociale, fa immaginare il bene, indica la società ideale».

Cuadernos de Filología Italiana
Giovanni Albertocchi
Universitat de Girona

Le parole (non) sono pietre: la scrittura plurale di Vincenzo Consolo, fra sperimentalismo e meridionalismo

Foto di Giovanna Borgese

Le parole (non) sono pietre: la scrittura plurale di Vincenzo Consolo, fra sperimentalismo e meridionalismo Sperimentalismo ed eticità: l’(in)attualità di Consolo Può destare sorpresa, vista la loro estrema complessità linguistica, ma i libri di Vincenzo Consolo sono stati tradotti in molte lingue: francese, inglese, tedesco, olandese, polacco, portoghese, spagnolo, catalano. In spagnolo addirittura alcune opere sono state tradotte due volte: in castellano continentale e nello spagnolo dell’America Latina; lo stesso è accaduto per il portoghese, con una seconda traduzione in portoghese brasiliano. Il sorriso dell’ignoto marinaio 1 è stato tradotto persino in arabo. Consolo è insomma scrittore di indubbia caratura internazionale, conosciuto in molti paesi. Per avviare il discorso su di lui, mi appoggerò all’auctoritas di Cesare Segre, autore di Un profilo di Vincenzo Consolo che precede l’edizione dei Meridiani Mondadori da me curata: un profilo che è stata l’ultima fatica del grande critico e filologo saluzzese, scomparso nel 2014. Scrive Segre: « Consolo è stato il maggiore scrittore italiano della sua generazione » 2 , quella degli anni Trenta (Consolo è nato nel 1933 ed è scomparso pochi anni fa, nel 2012). Non voglio contraddire ciò che dice Segre, che ha certo ragione, ma dire che « Consolo è lo scrittore più grande della generazione degli anni Trenta » soltanto rischia di essere un po’ riduttivo. Diciamo allora, senza mezzi termini, che Consolo è, in assoluto, uno dei massimi scrittori italiani del Secondo Novecento. Proviamo a restare ancora un poco sulle generali. Consolo è anzitutto un autore di altissima qualità artistica. Il suo stile, di straordinario spessore, ha un’immediata riconoscibilità, un inconfondibile marchio di fabbrica, ed è dotato di una densità, complessità e originalità straordinarie. Spesso Consolo ha parlato di una lingua in qualche modo « inventata », e addirittura di una sua ferma intenzione di «non scrivere in italiano», di allontanarsi dalla piattezza della lingua comunemente parlata, mescidando lingue, registri e sottocodici, in un amalgama che si distende lungo una gamma amplissima di varianti diacroniche e diatopiche. Nel racconto autobiografico I linguaggi del bosco 3 , tratto da Le pietre di Pantalica, Consolo racconta di quando, a cinque anni, per leggeri problemi di salute – era infatti troppo magro e un po’ malaticcio – era stato portato per qualche mese in montagna, nella casa di famiglia al bosco della Miraglia. Qui egli vive un’amicizia, che è quasi una infantile ma serissima storia d’amore, con Amalia, una ragazzina dodicenne del posto: non si può certo parlare di amore in senso stretto, però i due si piacciono, e, per farla breve, sono sempre in giro insieme. Consolo racconta di come Amalia gli rivelasse il bosco, facendogli scoprire un mondo variegato e coloratissimo, fatto di cose, ma anche di parole: gli insegna come si chiamano gli alberi, gli arbusti, le erbe, i fiori, gli animali, e glielo insegna, fatto molto importante, non solo in siciliano, ma anche in sanfratellano, una lingua provenzale parlata in alcuni paesi del nord della Sicilia,
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1 V. CONSOLO, Il sorriso dell’ignoto marinaio, Torino, Einaudi, 1976 (1a ed.); Milano, Mondadori, 1987 (2a ed., introduzione di C. Segre); ora in V. CONSOLO, L’opera completa, a cura e con un saggio introduttivo di G. TURCHETTA e uno scritto di C. SEGRE, Milano, Mondadori (I Meridiani), 2015, pp. 123-260. 2 C. SEGRE, Un profilo di Vincenzo Consolo, in V. CONSOLO, L’opera completa, cit., p. XI. 3 V. CONSOLO, I linguaggi del bosco, in V. CONSOLO, Le pietre di Pantalica, Milano, Mondadori, 1988 (1a ed.); 1990 (2a ed. Oscar , a cura e con introduzione di G. TURCHETTA) ; ora in in V. CONSOLO, L’opera completa, cit., pp. 606-612. 2
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nella zona dei monti Nebrodi, subito a ridosso della costa di Sant’Agata di Militello, dove Consolo è nato. In molti casi, però, Amalia inventava le parole, costruendo un proprio personale linguaggio: Dietro i porci e le capre al pascolo, fu lei a rivelarmi il bosco, il bosco più intricato e segreto. Mi rivelava i nomi di ogni cosa, alberi, arbusti, erbe, fiori, quadrupedi, rettili, uccelli, insetti… E appena li nominava, sembrava che da quel momento esistessero. Nominava in una lingua di sua invenzione, una lingua unica e personale, che ora a poco a poco insegnava a me e con la quale per la prima volta comunicava. Ma Amalia poi conosceva altri linguaggi: quello sonoro, contratto, allitterato con cui parlava alle bestie; conosceva il sampieroto, col quale comunicava con la famiglia; conosceva il sanfratellano e il siciliano coi quali comunicava cogli estranei. In quella sua lingua d’invenzione, che s’era forgiata nelle lunghe ore del pascolo, nella solitudine del bosco, chiamava per esempio sossi i maiali, beli le capre, scipe le serpi, aleppi i cavalli, fràuni gli alberi, golli le ghiande, cici gli uccelli, fèibe le volpi, zimpi le lepri e i conigli, lammi le mucche…4 In questo modo Consolo delinea evidentemente una sorta di mise en abyme della propria poetica e della propria scrittura, mostrandoci appunto la costruzione di un linguaggio altro, analogo in qualche modo al suo: come Amalia dava alle cose “altri” nomi, anche Consolo costruisce una lingua che « chiama » sempre le cose in modo diverso da come le « chiamiamo » nella lingua di tutti i giorni. Prima di tornare a parlare del suo stile e della sua scrittura, voglio sottolineare che Consolo è molto importante anche perché ha un eccezionale spessore intellettuale. Si rileggano per esempio i saggi del suo volume Di qua dal faro 5 , che chiude il Meridiano. Il titolo evoca polemicamente un modo di dire dei Borboni, che con l’espressione «Di là dal faro» designavano appunto la Sicilia, vista dal continente, e più specificamente da Napoli, come la parte del loro regno collocata al di là del faro di Messina: una regione a cui guardavano evidentemente con sufficienza e distacco. La prospettiva «di qua dal faro» implica invece uno sguardo partecipe, ma al tempo stesso, mentre sottolinea la centralità della Sicilia, intende sottolineare anche la necessaria apertura verso il Mediterraneo tutto: la Sicilia, dunque, in qualche modo come mondo “altro” e però anche emblematica di un mondo più vasto. Si tratta di un libro di saggi dove si trovano anche tante “storie” straordinarie: come per esempio la ricostruzione della storia dell’estrazione dello zolfo, una grande vicenda economica e antropologica della storia italiana, o quella della pesca del tonno. Ma questo libro è solo una piccolissima parte della vasta produzione del Consolo saggista, poiché ci sono ancora decine di saggi che non sono stati mai raccolti in volume: nel prossimo futuro mi piacerebbe lavorare a un’edizione degli altri scritti saggistici di Consolo. Pensiamo per esempio ai numerosi saggi dedicati alla storia dell’arte, di cui era un grande conoscitore: a Antonello da Messina, a Caravaggio, ma anche a innumerevoli artisti contemporanei, per i quali in numerosi casi ha scritto prefazioni per i cataloghi delle loro mostre. Consolo, grande intellettuale, ha avuto anche un’attività giornalistica di straordinaria ampiezza e intensità: rimando per questo alla bibliografia da me
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4 V. CONSOLO, I linguaggi del bosco, cit., p. 610. Corsivi nel testo. 5 ID. Di qua dal faro, Milano, Mondadori, 1999; ora in V. CONSOLO, L’opera completa, cit., pp. 987-1260. 3 curata per il Meridiano 6 .
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E pensare che alcuni critici hanno scritto che Consolo era “pigro”: una insostenibile falsità! È vero solo, semmai, che egli ha scritto un numero relativamente limitato di libri propriamente di letteratura: ma questo è avvenuto proprio perché, quando scriveva « letteratura » impiegava anni a costruire quelle prodigiose macchine espressive, che chiameremo ora, assai provvisoriamente, i suoi “romanzi”. Ma mentre si dedicava alle scritture letterarie, egli scriveva anche pezzi giornalistici, a un ritmo che ha dell’incredibile. Nella bibliografia del Meridiano Mondadori ho cercato di fare un censimento (quasi) totale di tutti i suoi scritti, anche « militanti » e d’occasione: le bibliografie, si sa, non sono mai complete, ma spero di essermi avvicinato abbastanza all’ esaustività. Ma che cosa si vede da quest’attività? Si guardi per esempio al volumetto pubblicato da Sellerio, Esercizi di cronaca 7 , che raccoglie solo una selezione degli articoli pubblicati sul quotidiano di Palermo « L’Ora » . Possiamo cogliere già come Consolo fosse costantemente presente nella vita pubblica e nella vita politica, ma ben salvaguardando la sua specificità di intellettuale, secondo un modello che, a ben vedere, deriva proprio dalla cultura francese: pensiamo per esempio a Émile Zola o allo stesso Jean-Paul Sartre. Consolo era un intellettuale sempre pronto a parlare della realtà, del presente, della quotidianità. Vorrei fra l’altro segnalare che nel 2017 uscirà presso Bompiani, per le cure di Nicolò Messina, un volume che raccoglie un’ampia selezione degli scritti di Consolo sulla mafia: per un siciliano, certo, scrivere sulla mafia è un grande dovere morale. In questo grande scrittore c’è quindi sempre una straordinaria tensione etica, che è anche, dato senso, a una tensione politica. A suo modo Consolo ha sempre fatto politica, per quanto in maniera molto diversa e lontana da quella dai politici… Il suo eccezionale spessore artistico e intellettuale rende sempre più necessaria sua una più stabile e più percepibile «canonizzazione» – per usare un termine classico della storiografia e della teoria letteraria -, che gli consenta di diventare parte integrante e ben riconosciuta del senso comune della letteratura. Anche per questo era necessaria un’edizione come quella dei Meridiani Mondadori, che, oltre a raccogliere tutti i suoi libri principali, fosse corredata di ampie note e di apparati critici capaci di aiutare nella comprensione dei testi. Ma degli apparati parleremo più avanti. In prima approssimazione vorrei dire che Consolo è, un po’ paradossalmente, uno scrittore « attuale » anche e proprio per la sua « inattualità », e che questa sua (in)attualità ha a che vedere con la sua idea di letteratura. Consolo è ossessionato, da un lato, dalla necessità di dire la storia – perché per lui bisogna parlare della storia, del passato, del presente, della storia tutta -, ma dall’altro mostra anche la fine della fiducia nell’engagement, cioè proprio di un modo di essere intellettuale che Sartre ha reso poco meno che proverbiale. Anche questo è un paradosso, e apparentemente una contraddizione; ma nella scrittura di Consolo le contraddizioni sono vitali, e prendono avvio da un’irriducibile contraddizione di partenza: bisogna parlare, ma sapendo che le parole hanno limiti così severi che diventa quasi avere la tentazione di tacere. Proprio su questa irrisolvibile duplicità Consolo costruisce quella sua originalissima unione di sperimentalismo ed eticità che ne rappresenta la più acuta e flagrante specificità. Vi sono tanti scrittori sperimentali e tanti scrittori etici – per dirla in un modo un po’ rapido e sommario – ma è quasi impossibile, trovare una così stretta congiunzione tra due atteggiamenti
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– 6 In V. CONSOLO, L’opera completa, cit., pp. 1481-1517. 7 V. CONSOLO, Esercizi di cronaca, a cura di S. GRASSIA, Prefazione di S. S. NIGRO, Palermo, Sellerio, 2013. 4
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che non vanno molto d’accordo. Detto in modo ancora molto sommario: di solito lo sperimentatore sembra sempre proiettato soprattutto verso le forme, laddove lo scrittore etico, e tanto più lo scrittore « politico », verso i contenuti. Spesso Consolo è stato accusato di “formalismo”: un’accusa veramente ingiusta e poco fondata. Come si evince anche dal sottotitolo di questo intervento, Consolo è, da un lato, uno scrittore che attinge alla tradizione meridionalistica, cioè agli scrittori, ai saggisti e agli studiosi, a volte anche ai politici, che hanno scritto del Meridione d’Italia, della sua storia, della sua miseria, dell’oppressione, della distanza tra l’Italia del Sud e le altre parti più ricche d’Italia; ma al tempo stesso è uno scrittore molto vicino a quello che possiamo chiamare il “modernismo”, cioè, in tre parole, allo sperimentalismo non avanguardistico: questo è un altro suo tratto forte, che serve anche a ricordarci quanto egli sia stato, nonostante la convergenza di date (il suo romanzo d’esordio, La ferita dell’aprile, è del 1963), lontano dalla Neoavanguardia, con cui anzi polemizzava aspramente, in riconoscibile sintonia con le critiche ad essa rivolte da Pier Paolo Pasolini. Vi proporrò ora un esempio molto caratteristico della forza di Consolo, della sua originalità e della sua irriducibile, e produttiva, duplicità. Tutti abbiamo presente ciò che sta succedendo in Europa e nel mondo: dove migliaia, centinaia di migliaia, milioni di persone migrano, si spostano e spesso muoiono nel tentativo di emigrare. Moltissimi, tragicamente, soccombono nel canale di Sicilia e al largo delle coste dell’Egeo, uccisi “dall’acqua”. Ecco, Consolo, in tempi molto lontani, ha cominciato a cogliere questo movimento che oggi è sotto gli occhi di tutti e che ha preso proporzioni così ampie da diventare uno degli argomenti centrali in discussione nell’agenda politica dell’Unione Europea. Se ne parla tutti i giorni, e ci si scontra su questo: i muri, le quote, i soldi alla Turchia e ricatti di Erdogan, gli imbarazzi politici della Merkel. Consolo ha capito prestissimo la rilevanza assoluta del fenomeno incombente delle migrazioni nella tarda modernità, anche e proprio nell’area mediterranea: già negli anni Ottanta ha scritto infatti spesso di migranti che morivano in acqua, specie nord-africani. Ecco così che possiamo ben percepire il Consolo che guarda al presente, alla storia, al Meridione nostro e al Meridione del mondo, cogliendo con eccezionale profondità quello che sta succedendo, prima di tanti altri. Ma se guardiamo a questa sua percezione da un altro lato, ci accorgeremo che Consolo ha anche un’ossessione letteraria, che lo rincorre fin dai primissimi racconti (si veda Un sacco di magnolie, 19578 ) e poi ricorrerà per tutta la sua carriera di scrittore: l’immagine del morto in acqua e “per acqua”, non solo perché ha davanti una certa realtà, ma anche perché ha sempre in mente l’immagine della Death by water della Waste Land di Thomas Stearns Eliot, sezione IV, con la figura di Phlebas il fenicio, morto nell’affondamento della sua nave. L’ossessione letteraria (formale, se volete), fa insomma tutt’ uno con la profondità e la lucidità nello scandaglio del reale (dei “contenuti”): Consolo è anche questo, con un’intensità che ben pochi possono vantare. E ci sarebbe peraltro da insistere – la critica non l’ha fatto abbastanza – sulle radici propriamente modernistiche, in senso letterario, di Consolo, e quindi non solo su quelle meridionali, di cui si parla più spesso. Vorrei ricordare, ad esempio, che il suo primo romanzo, un
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8 Ora in V. CONSOLO, La mia isola è Las Vegas, a cura di N. MESSINA, Mondadori, Milano 2012, pp. 7-10. 5
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romanzo di formazione, La ferita dell’aprile 9 , parla di un ragazzo che cresce in una scuola di preti del Nord della Sicilia, in un luogo mai nominato ma che assomiglia molto alla Barcellona Pozza di Gotto dove Consolo effettivamente frequentò le scuole medie, e in un mondo che parla una lingua che non gli appartiene. Il protagonista viene infatti da San Fratello, e ha come lingua madre il già citato sanfratellano: egli impara il dialetto siciliano, l’italiano e anche un po’ di francese, che studia a scuola. Intravediamo quindi una questione della lingua, in cui prende corpo una questione d’identità. Ma anche, e questo certo non è stato sottolineato abbastanza dalla critica, in La ferita dell’aprile è evidente ancora una volta il richiamo alla letteratura modernista: non solo nel vistoso richiamo ancora ad Eliot, al suo April is the cruellest month (celeberrimo attacco di The burial of the dead, sezione I di The Waste Land), attraverso la mediazione di Basilio Reale, ma anche e soprattutto a Joyce, il cui A portrait of the artist as a young men presenta non poche analogie tematiche e narrative, a cominciare proprio dal tema principale, l’educazione di un giovane in una scuola di preti. D’altra parte, già in questo primo Consolo c’è molto dialetto, e, per farla breve, non è per lui possibile rinunciare a nessuna delle due componenti, ovvero il Meridione e la grande letteratura modernista europea, o limitarne il peso. Resta inoltre tutta da studiare un’altra interessante questione, ovvero il ruolo di Pavese nella formazione di Consolo. Pavese, significativamente citato nell’ epigrafe del capitolo finale, poi espunto, di La ferita dell’aprile 10 , fa da mediatore, come traduttore e non solo, per molti scrittori italiani verso la letteratura di lingua inglese e americana. Sicuramente, ad esempio, ha un peso importante nell’avvicinare Consolo e tanti altri scrittori italiani a William Faulkner. Sono ancora tutti da approfondire i rapporti tra Faulkner e la letteratura italiana (ma anche di altre nazioni, a cominciare da quella Sudamericana: si pensi per esempio a quanto di Faulkner arriva a Garcia Marquez). Tutto ciò conferma l’eccezionalità della congiunzione, in Consolo, tra la dimensione meridionale costante, ossessiva, e una non meno costante, rigorosa prospettiva di sperimentalismo modernista, non avanguardistico. Fatte queste premesse, nel mio discorso seguirò quattro piccole tappe: la Sicilia; la poetica di Consolo – perché nella sua poetica risiedono le radici e le ragioni della sua grandezza -; alcuni aspetti formali della sua scrittura, delle strutture dei suoi testi e della lingua; infine spiegherò a grandi linee com’è articolata l’edizione delle sue opere da me curata per i Meridiani Mondadori. L’ossessione della Sicilia Consolo ha sempre in mente la Sicilia, ne parla sempre. Ma che Sicilia è? Ancora una volta la contraddizione è vitale: da un lato è una Sicilia costruita con un’attenzione documentaria, storica, e una cura di una severità rara: possiamo dire, da questo punto di vista, che Consolo è un vero storiografo. Frequentando per tanto tempo le sue carte ho potuto vedere bene in che modo arrivava ad ogni sua scrittura letteraria, raccogliendo documenti e materiali vari per anni. Per esempio nel Sorriso dell’ignoto marinaio (la cui costruzione ha richiesto tredici anni
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9 V. CONSOLO, La ferita dell’aprile, Milano, Mondadori, 1963 (1a ed.); Torino, Einaudi, 1977 (2a ed.); Milano, Mondadori 1989 (3a ed., con introduzione di G.C. Ferretti).; ora in V. CONSOLO, L’opera completa, cit., pp. 3- 122. 10 Cfr. G. TURCHETTA, Da un luogo bellissimo e tremendo, introduzione a V. CONSOLO, L’opera completa, cit., p. XXXVIII, e Id., Note e notizie sui testi, ivi, p. 1293. 6 di lavoro)
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si parla della rivolta contadina di Alcàra Li Fusi, del maggio 1860, repressa poi nel sangue, ma a sua volta assai cruenta. Consolo l’ha ricostruita non solo studiando i libri di storia, ma andando in archivio, ritrovando tutte le carte di quella vicenda: tant’è vero che, per fare un esempio concreto, si è procurato tutti i certificati di morte di coloro che furono fucilati alla fine della prima parte del processo contro i rivoltosi. Alla fine del Sorriso dell’ignoto marinaio troviamo infatti proprio un certificato di morte, quello del bracciante Peppe Sirna: è anzitutto un documento autentico, ma certo ha anche la funzione simbolica di farci percepire il contrasto terribile fra la nuda povertà di un certificato di morte, che è quasi un nulla, e la vigorosa intensità della vita in corso, che abbiamo percepito quando, nel cap. V, la rappresentazione passa proprio attraverso la focalizzazione interna su Peppe Sirna. Consolo lavora così sempre: da un lato lavora come un vero storico, che mette insieme i documenti con un’attenzione ligia al rigore della ricostruzione; dall’altro, la Sicilia che egli rappresenta è sempre “altro”, nel senso che è una metafora dotata di una profonda forza di generalizzazione. Secondo me, si potrebbe dire della Sicilia di Consolo qualcosa di simile a ciò che è stato detto da Italo Calvino a proposito della Lucania rappresentata in Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi, un libro peraltro fondamentale per la formazione di Consolo. Nel romanzo di Levi si parla della miseria, dell’oppressione dei più deboli e della rabbia contadina che a volte esplode in rivolte selvagge e sanguinose. Calvino sostiene che la Lucania di Carlo Levi è servita da modello per tanti altri Sud del mondo: non a caso questo romanzo è stato tradotto e letto in America Latina, in Asia, ed è diventato un libro di riferimento per altre lotte, per altre rivoluzioni 11 . Ma anche la Sicilia di Consolo è una grande rappresentazione del Sud del mondo, di ciò che succede attraverso i processi di modernizzazione che distruggono il mondo contadino e che vediamo all’opera in Italia ma anche in tante altre nazioni, soprattutto extra-europee. C’è un avvenimento che si ricorda poco e che apparentemente ha poco o nulla a che fare con la letteratura: nel 2008, per la prima volta, gli abitanti del mondo che vivono in città sono diventati più numerosi di quelli che vivono nelle campagne. Si tratta di un cambiamento enorme, epocale: in tutta la storia dell’uomo gli abitanti delle campagne sono sempre stati di più rispetto a quelli delle città, mentre ora assistiamo al fenomeno inverso. Consolo ci parla proprio di come i processi di modernizzazione stiano distruggendo molte civiltà e mettano a rischio la sopravvivenza del pianeta stesso, ma in lui non vi è, come spesso accade negli intellettuali, il pianto, la nostalgia, la lamentela su un mondo che era più bello, anche se egli costantemente critica senza nessuna indulgenza questa modernizzazione. Ricordiamo che l’idea di Consolo di scrivere mescolando tante lingue è anche l’idea di conservare, attraverso le parole, le culture, i punti di vista sul mondo, i modi di vita che sono dentro quelle parole. Nella scrittura di Consolo vi è una grande preoccupazione, oltre che storica, anche antropologica: egli desidera mostrare come cambia la cultura e, cogliendo i processi di cambiamento della Sicilia, coglie emblematicamente anche i cambiamenti del mondo tutto. Come molti altri intellettuali siciliani, Vincenzo Consolo ha rappresentato la Sicilia andando a vivere al Nord, e in particolare a Milano, come Verga, Vittorini, Quasimodo e tanti altri. Rappresentare la Sicilia da lontano ha significato anche vivere l’ossessione della Sicilia nei termini, consapevolmente contraddittori (un’altra contraddizione produttiva) di necessità
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11 I. CALVINO, La compresenza dei tempi (1967), in C. LEVI, Cristo si è fermato a Eboli, Torino, Einaudi, 1945, poi 2010, p. XI. 7
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del ritorno, ma anche di impossibilità del ritorno. Significativamente, egli ha reinventato il mito di Ulisse alla sua maniera, parlandoci di un Ulisse che non ha più un’Itaca dove tornare, della quête ormai impossibile di una patria essenziale che non esiste più: questa impossibilità ha come causa evidente proprio i processi di modernizzazione. A questo allude, per esempio, una delle più celebri poesie di Giuseppe Ungaretti, Girovago: «in nessuna parte di terra / mi posso accasare». Consolo è ossessionato da questa sua patria che non è più quella di prima, che non è più patria: ma, una volta di più, parlando della Sicilia ci parla di noi tutti, di come ci spostiamo e di come non riusciamo più a ricostruire la nostra identità: perché ormai la nostra identità è un processo che si costruisce giorno per giorno, e non è più possibile affidarsi a un’appartenenza originaria. Parlando della Sicilia Consolo ci racconta una storia drammatica, anche perché molte volte i cambiamenti sono parsi offrire delle possibilità di rinnovamento, di liberazione, che poi però sono andati perdute, che hanno deluso. Nelle sue opere egli ha messo a fuoco tre momenti fondamentali di questa parabola storica in tre romanzi storici, che a posteriori ha collocato in una trilogia. Nel Sorriso dell’ignoto marinaio (1976) parla del Risorgimento italiano, di quello che ha rappresentato, come grande speranza ma anche grande delusione, straordinaria occasione perduta. Il Risorgimento infatti ha rappresentato l’illusione di un grande cambiamento non solo politico, ma anche sociale ed economico: il potere, infatti, non si sposterà di molto rispetto al periodo precedente. In Nottetempo casa per casa (1992, Premio Strega 12) Consolo parla dei primi anni Venti e della nascita del fascismo, in un periodo caratterizzato dall’irrazionalità e dalla violenza, che hanno segnato non solo la storia italiana ma anche gran parte della storia europea. E nel romanzo Lo spasimo di Palermo (199813) ci racconta un terribile presente, quello dei primi anni Novanta del Novecento, delle stragi di mafia del 1992, ovvero il presente dalla mafia (non soltanto siciliana), della corruzione, della complicità fra potere politico e potere criminale, della necessità di denunciarlo e anche della difficoltà di uscire da una situazione sempre più drammatica. Al di qua e al di là della Storia, per Consolo la Sicilia è però anche una densa metafora dell’ambivalenza della vita. La Sicilia è infatti, lo sappiamo, una terra bellissima, dove, per farla breve, c’è tutto quello che si potrebbe desiderare per essere felici: straordinari monumenti, della Magna Grecia e della romanità, del Medioevo, del Barocco; una natura rigogliosa; e inoltre la Sicilia è pure un posto, perdonate la banalità, ma… perché non dirlo?, dove si mangia benissimo. In Sicilia c’è tutto, e quindi da un lato potrebbe essere il migliore dei mondi possibili; ma per altri versi è un mondo esemplarmente e tragicamente violento e corrotto, pieno di orrori, addirittura proverbiale, nel mondo intero, per la mafia, quella criminalità organizzata così importante che tutte le criminalità organizzate del mondo vengono chiamate «mafie», in analogia con quella siciliana. Pensiamo ora al romanzo Retablo 14 , in cui vi sono dei meravigliosi incontri tra amici, e nuove amicizie che nascono, e al tempo stesso assistiamo alla rappresentazione di un orrore senza fine: leggiamo per esempio la scena delle prostitute a
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12 V. CONSOLO, Nottetempo, casa per casa, Milano, Mondadori, 1992; ora a in V. CONSOLO, L’opera completa, cit., pp. 647-755. 13 V. CONSOLO, Lo Spasimo di Palermo, Milano, Mondadori, 1992; ora a in V. CONSOLO, L’opera completa, cit., pp. 873-975. 14 V. CONSOLO, Retablo, Palermo, Sellerio, 1987; ora a in V. CONSOLO, L’opera completa, cit., pp. 365-475. 8
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cui per punizione viene tagliato il naso 15. Una violenza atroce, quella delle mutilazioni come pena legale, che si praticava nel mondo passato, certo: ma anche che continua ad accadere ancora oggi in non poche parti del mondo… La Sicilia appare dunque in Consolo come un luogo in cui vi è tutto il male e tutto il bene, ed è di conseguenza anche per questo un’immagine della vita tutta, un luogo «bellissimo e tremendo», per riprendere un’espressione di Consolo stesso 16 . La Sicilia è metafora della vita, della sua bellezza straordinaria e della sua terribile violenza, che convivono; ma è importante aggiungere che Consolo non cade mai in un vizio tipico dei letterati – non solo italiani, ma di quelli italiani di sicuro: quello di mettere tutto in «un tempo senza tempo», di parlare della violenza e della tristezza come di qualcosa di eterno, di un destino senza fine. In questo Consolo è davvero radicalmente diverso dal Tomasi di Lampedusa del Gattopardo, che consapevolmente contestava: egli non dice mai che la storia non cambia, che «cambia tutto» perché «non cambi niente». Tutt’al contrario, Consolo ci ricorda in continuazione che i cambiamenti sono sempre storicamente determinati, che non c’è un male metafisico eterno. E che quindi noi dobbiamo continuare a combattere. Sempre. La poetica di Consolo Partendo da lontano potremmo farci una domanda molto difficile a cui darò, di necessità in modo rapido, varie risposte: «Che cos’è la letteratura?» O meglio: «Che cos’è questo discorso così particolare, che continuiamo a sentire come un discorso così fragile e allo stesso tempo così necessario?» Il grande sociologo francese Pierre Bordieu ha scritto un libro straordinario, Les règles de l’art (1992), per mostrare che cosa ha significato nella cultura dell’Occidente definire una specificità del «campo» della letteratura. Quello che noi sentiamo come «letteratura», infatti, lungi dall’essere una tipologia testuale ben delimitata da millenni, come di solito crediamo, nasce e si definisce nel secondo Ottocento, da un movimento che mette radici già nel Romanticismo. Qualcuno ha tentato di definire la letteratura secondo i suoi tratti linguistici: è stato il sogno degli Strutturalisti e, ancora prima, dei Formalisti russi, che hanno aspirato ad un’identificazione e a una definizione scientifica della specificità della letteratura; ma non ce l’hanno fatta, perché la letteratura può essere scritta in tutti i modi possibili, come mostra ad abundantiam il romanzo. C’è poi una definizione che potremmo chiamare di tipo retorico, quella di un grande teorico italiano, purtroppo scomparso abbastanza giovane, Franco Brioschi (1945-2005): egli mette a fuoco la letteratura come un linguaggio, o meglio delle pratiche discorsive legate ad una situazione comunicativa particolare, spiegando che «la letteratura è ciò che chiamiamo letteratura». A prima vista si tratta di una tautologia, ma in realtà non lo è, perché rinvia ad una specificità comunicativa, al fatto che i discorsi che noi identifichiamo con l’etichetta generica “letteratura” sono una varietà dei discorsi di “riuso” (un termine che Brioschi riprende dal grande filologo tedesco Heinrich Lausberg), che assume la sua qualità specifica, la sua letterarietà, in virtù di un contesto comunicativo, e storico, che gliela attribuisce. Il grande sociologo della letteratura francese Robert Escarpit, invece, pensava – in modo molto vicino alla definizione di Brioschi –che ciò che noi intendiamo come letteratura è
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15 Ivi, p. 400. 16 V. CONSOLO, Viaggio in Sicilia, in Id., Di qua dal faro, Milano, Mondadori, 1999; in Id., L’opera completa, cit., p. 1224. 9
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l’immagine sociale che una certa epoca si fa della letteratura: un’immagine che ci viene consegnata dai testi che definiscono il canone condiviso. Nel suo sempre illuminante Qu’est-ce que la littérature? (1947) Jean-Paul Sartre afferma che «écrire est dévoiler le monde, et en même temps le proposer comme un devoir à la générosité du lecteur». È un’immagine profondamente etica della letteratura, secondo la quale la letteratura non solo svela sempre qualcosa al lettore, ma anche gli impone, nel disvelamento, la necessità di tentare di cambiare quel mondo. E per Consolo, che cosa significa «letteratura»? Cerchiamo di capire dov’egli si collochi, perché in questa collocazione sta molto della sua grandezza. Per lui, da un lato la letteratura esiste solo come letteratura stricto sensu, nel senso che è importante distinguere tra le scritture giornalistiche e la scrittura d’invenzione, appunto la “letteratura”, ovvero fra gli articoli ch’egli stesso scrive quasi tutti i giorni e i libri costruiti attraverso una fatica di molti anni. Per Consolo la “letteratura” è il linguaggio spinto sino alle sue estreme possibilità. Si ha “letteratura” quando, cioè solo quando vi è una pressione sul linguaggio, una tensione, un’aspirazione violenta, che è al tempo stesso formale e morale. Consolo cerca sempre di dare al linguaggio il massimo di densità formale, attraverso quella che io chiamo la pluralizzazione del linguaggio, cioè la moltiplicazione, esibita, dei suoi vari strati, ai quali si sforza di attribuire sistematicamente una speciale densità linguistico-retorica una speciale intensità. Da un altro lato però questo linguaggio preme verso una verità, una capacità di dire il reale che, unita alla densità formale, vorrebbe far sì che le parole fossero dense, al limite, come le cose. Quindi da un lato Consolo vuole che le parole siano come cose, magari addirittura, per citare ancora una volta Carlo Levi, che le parole siano come pietre. En passant, Le parole sono pietre 17 è il libro di Carlo Levi sulla Sicilia: tre narrazioni di storie vere siciliane, che Consolo cita spesso e a cui fa spesso riferimento esplicito, o implicito, come nel titolo Le pietre di Pantalica. Da un lato quindi le parole vogliono essere come cose e, per renderle più dense, Consolo le “moltiplica”, le pluralizza in tanti modi; ma le parole non sono cose, non sono pietre: e quindi Consolo ci dice allo stesso tempo che la “letteratura”, perdonate la citazione molto mainstream, è per definizione una «mission impossible». È infatti necessario caricare le parole sino a farle diventare più che parole, azioni e cose: ma bisogna farlo sapendo che non è possibile… Proprio qui, a ben vedere, sta la grandezza di Consolo: cioè sia in questo sforzo di caricare all’estremo le parole, ma anche nella costante, coesistente consapevolezza dei limiti invalicabili della parola. Sono pochi gli scrittori che come Consolo hanno spinto verso la grande letteratura, che comunque resiste come ideale di riferimento, ma continuando al tempo stesso a rivelarci la miseria della letteratura stessa, anche della più alta. In Consolo è costante la coscienza e la problematizzazione dei limiti della parola. Proprio perché la parola ha dei limiti irriducibili, che vanno sottolineati, si genera nelle sue opere un discorso che è anche costantemente meta-linguistico, in cui le parole non sono solo quello che sono, ma diventano anche discorso su se stesse. In Consolo, percepibilmente, c’è inoltre anche una costante tensione meta-letteraria: la sua è una letteratura che si domanda sempre «che cos’è la letteratura?»; e la sua narrativa è meta-narrativa, e mette costantemente in discussione la narrazione e le sue strutture ingannevolmente continue. Il sorriso dell’ignoto 17 C. Levi, Le parole sono pietre. Tre giornate in Sicilia, Torino, Einaudi, 1955; poi ivi, 1979, con prefazione di V. Consolo, e anche, col titolo Carlo Levi, in Di qua dal faro, cit., pp. 1227-1233. 10 marinaio, per esempio, è un romanzo ma anche un anti-romanzo, così come è un romanzo storico e un anti romanzo-storico: è quindi, se vogliamo, sia ciò che vuole essere sia ciò che sa di non poter essere. Mentre sta scrivendo un romanzo-storico, inoltre Consolo sa bene che il romanzo-storico è già di per sé una contestazione della Storia, come ben sapeva Alessandro Manzoni, nume tutelare indiscutibile dell’idea consoliana del romano storico-metaforico; ma intanto egli contesta il romanzo-storico che sta facendo insieme alla storiografia ch’esso mette in discussione: come dire che in ogni momento egli fa un certo tipo di discorso, ma intanto gli toglie subito il terreno da sotto i piedi, lo svuota, lo demistifica. Se la parola è sempre problematizzata, proprio mentre egli la spinge verso le sue massime capacità espressive, ciò accade anche perché Consolo ci dà la percezione profonda e costante del fatto che ogni discorso è detto da qualcuno, che la parola è radicata in un soggetto e che quindi non esistono discorsi che si fanno ‘da soli’, perché la lingua è sempre «in situazione», come ci ha insegnato Michail Bachtin, e dopo di lui la pragmatica e la linguistica degli Speech Acts. Non esiste una lingua astratta, perché le parole derivano da persone che le hanno dette o scritte, e questo significa che le parole sono dotate di una capacità di verità legata, e non è una contraddizione, proprio al fatto che derivano da qualcuno che le utilizza in relazione ad una specifica esperienza di vita. In altri termini, in ogni parola c’è un vissuto che si afferma: e quindi per Consolo anche il più cattivo, il più stupido e il più infame degli uomini ci dirà delle verità perché ci parlerà di qualcosa che ha davvero vissuto; e la sua verità farà tutt’uno con i limiti invalicabili della sua parzialità, della sua non-verità. Nel terzo capitolo del Sorriso dell’ignoto marinaio, per esempio, c’è la rappresentazione dall’interno di un personaggio terribile, Frate Nunzio: un reazionario, un violento, un maniaco sessuale, che appartiene alla Chiesa ma al tempo stesso ne fa di tutti i colori, arrivando addirittura ad uccidere una ragazza e a stuprarla dopo morta… Nelle narrazioni, in genere, come ha spiegato Wayne Booth, raramente si rappresenta il punto di vista dei personaggi spregevoli, perché quando si presenta il punto di vista di qualcuno ci si avvicina alle sue ragioni, alle sue motivazioni. Ma Consolo ci mostra anche il più cattivo, il più infame, ci mostra che è possibile metterlo in scena, perché così svela e offre alla nostra comprensione una realtà esistenziale. L’ossessione di radicare il discorso dentro qualcuno che parla è anche un modo di mettere in scena la concreta verità nell’esistenza. Da un altro lato però, proprio perché le parole sono sempre di qualcuno, Consolo ci mostra che le parole sono sempre una mistificazione; qui sta l’altro lato della mission impossibile consoliana: «devo dire la verità, ma se la verità è sempre di qualcuno, non potrà mai essere una verità assoluta, e quindi devo anche criticarla, demistificarla». La complessità del discorso che Consolo fa sulla parola è grandissima, come possiamo vedere bene nel capitolo VI del Sorriso dell’ignoto marinaio, in cui troviamo la voce del protagonista principale, il barone Enrico Pirajno di Mandralisca, figura storica realmente esistita, che si dedicava ad attività intellettuali nobili, disinteressate, e forse anche inutili, o comunque di utilità assai limitata: egli era infatti un grande studioso di lumache, un malacologo, e la lumaca diventa simbolo portante del libro, come figura di inutile complicazione, di mescolanza di geometria e caos, come equivalente del labirinto. Mandralisca si trova a confrontarsi con la violenza della Storia ed è chiamato in qualche modo ad impegnarsi, ma non riesce a farlo sino in fondo o, quanto meno, coglie i limiti della propria azione. Consolo rappresenta il barone mentre mette in discussione il proprio discorso, che si presenta anche e proprio come 11 discorso di un intellettuale, che non riesce ad incidere sulla realtà storica. Consolo fa così quindi chiaramente una mise en abyme, mettendo in discussione anche il proprio discorso di intellettuale e di scrittore. Al tempo stesso egli imita lo stile di un erudito dell’Ottocento, uno stile un po’ retorico, pomposo, complicato, con una sintassi e un lessico complessi e un po’ involuti. Il passo a cui faccio riferimento è una lettera (un testo di fiction che ha l’apparenza di un genere di non fiction) in cui il barone Mandralisca, di Cefalù, che è anche colui che nella realtà storica ha acquistato il Ritratto d’ignoto di Antonello da Messina, conosciuto anche come Il ritratto dell’ignoto marinaio, scrive a Giovanni Interdonato, a sua volta personaggio storico reale e militante molto attivo nella vicenda Risorgimentale. Mandralisca scrive dopo la rivolta di Alcàra Li Fusi, dove la rabbia dei contadini era esplosa al punto da portarli a massacrare tutti i “notabili” che si erano trovati sulla loro strada: i padroni, le autorità locali, i benestanti, i preti, ma anche i bambini… Siamo di fronte quindi a una violenza terribile, da un lato giustificata da secoli di oppressione, ma dall’altro assurda e cieca, come succede spesso in queste rivolte (come accadeva nelle jacquéries, ovvero nella contro-rivolta contadina e realista degli anni della Rivoluzione francese). Ecco le parole di Consolo, che imita uno stile in cui non crede e ci fa vedere, anche nello stile, la necessità di demistificare: Nelle more del giudizio che dovrà emettere codesta Corte nei riguardi degli imputati, villani e pastori , scansati alla fucilazione cui soggiacquero tredici d’essi in Patti, dietro sentenza di quella Commissione Speciale, il dì 18 dell’agosto scorso, quali in catene e quali latitanti, questa memoria non suoni invito istigativo a far pendere i piatti della bilancia della Giustizia sacra da una parte o dall’altra, ma sia intesa quale mezzo conoscitivo indipendente, obiettivo e franco, di fatti commessi da taluni che hanno la disgrazia di non possedere (oltre a tutto il resto) il mezzo del narrare, a voce o con la penna, com’io che scrivo, o Voi, Interdonato, o gli accusatori o contro parte o giudici d’essi imputati abbiamo il privilegio. E cos’è stata la Storia sin qui, egregio amico? Una scrittura continua di privilegiati. A codesta riflessione sono giunto dopo d’aver assistito a’ noti fatti. Or io invoco l’Esser Supremo, l’Intelletto o la Ragione o Chiunque Altro ci sovrasti, a che la mente non vacilli o s’offuschi e mi regga la memoria nel narrare que’ fatti per come sono andati. E narrar li vorrei siccome narrati li averìa un di quei rivoltosi protagonisti moschettati in Patti, non dico don Ignazio Cozzo, che già apparteneva alla classe de’ civili e quindi sapiente nel dire e nel vergare, ma d’uno zappatore analfabeta come Peppe Sirna inteso Papa, come il più giovine e meno malizioso, ché troppe sono, e saranno, le arringhe, le memorie, le scritte su gazzette e libelli che pendono dalla parte contraria agli imputati: sarà possibile, amico, sarà possibile questo scarto di voce e di persona? No, no! Ché per quanto l’intenzione e il cuore sian disposti, troppi vizzi ci nutriamo dentro, storture, magagne, per nascita, cultura e per il censo. Ed è impostura mai sempre la scrittura di noi cosiddetti illuminati, maggiore forse di quella degli ottusi e oscurati da’ privilegi loro e passion di casta. Osserverete: ci son le istruzioni, le dichiarazioni agli atti, le testimonianze… E bene: chi verga quelle scritte, chi piega quelle voci e le raggela dentro i codici, le leggi della lingua? Uno scriba, un trascrittore, un cancelliere. Quando un immaginario meccanico istrumento tornerebbe al caso, che fermasse que’ discorsi al naturale, siccome il dagherrotipo fissa di noi le sembianze. Se pure, siffatta operazione sarebbe ancora ingiusta. Poi che noi non possediamo la chiave, il cifrario atto a interpretare que’ discorsi. E cade acconcio in questo luogo riferire com’io ebbi la ventura di sentire un carcerato, al castello dei Granza Maniforti, nel paese di Sant’Agata, dire le ragioni nella parlata sua sanfratellana, lingua bellissima, romanza o mediolatina, rimasta intatta per un millennio sano, incomprensibile a me, a tutti, comecché dotati d’un moderno codice volgare. S’aggiunga ch’oltre la lingua, teniamo noi la chiave, il cifrario dell’essere, del sentire e risentire di tutta questa gente? Teniamo per sicuro il nostro codice, del nostro modo d’essere e parlare ch’abbiamo eletto a imperio a tutti quanti: il codice del dritto di proprietà e di possesso, il codice politico dell’acclamata libertà e unità d’Italia, il codice dell’eroismo come quello del condottiero Garibaldi e di tutti i suoi seguaci, il codice della poesia e della scienza, il codice della giustizia o quello d’un’utopia sublime e lontanissima… E dunque noi diciamo Rivoluzione, diciamo Libertà, Egualità, Democrazia, riempiamo d’esse parole fogli, gazzette, libri, lapidi, pandette, costituzioni, noi, che que’ valori abbiamo già conquisi e posseduti, se pure li abbiamo veduti anche distrutti o minacciati dal Tiranno o dall’Imperatore, dall’Austria o dal Borbone. E gli altri, che mai hanno raggiunto i dritti più sacri e elementari, la terra e il pane, la salute e l’amore, la pace, la gioja e l’istruzione, questi dico, e sono la più parte, perché devono intender quelle parole a modo nostro? Ah, tempo verrà in cui da soli conquisteranno que’ valori, ed essi allora li chiameranno con parole nuove, vere per loro, e giocoforza anche per noi, vere perché i nomi saranno interamente riempiti dalle cose. 12 Che vale, allora, amico, lo scrivere e il parlare? La cosa più sensata che noi si possa fare è quella di gettar via le chine, i calamari, le penne d’oca, sotterrarle, smetter le chiacchiere, finirla d’ingannarci e d’ingannare con le scorze e con le bave di chiocciole e lumache, limaccia, babbalùci, fango che si maschera d’argento, bianca luce, esseri attorcigliati, spiraliformi, viti senza fine, nuvole coriacee, riccioli barocchi, viscidumi e sputi, strie untuose… » 18 . Ci sono coloro che hanno il diritto di prendere la parola e coloro che non riescono a raccontare la propria storia: e la letteratura sarà quindi anche un modo di dare voce a chi non può parlare. Ma è importante notare il lato critico dei personaggi consoliani, ossia mettere in discussione il loro discorso proprio nel momento stesso in cui lo pronunciano. Appare anche, sì, il sogno di dire le cose come stanno, ma è un sogno impossibile, perché il barone di Mandralisca parlerà fatalmente come un barone, anche se barone progressista, “di sinistra”. Ricordiamo che Peppe Sirna, detto Papa, è un bracciante agricolo, analfabeta, di cui, come accennato, si rappresenta nel cap. v il punto di vista, contrapposto poi alla sua morte, e di cui Consolo inserisce nell’ultima Appendice il vero certificato di morte. Significativamente, «impostura» è un termine che ricorre spesso in un’opera di Leonardo Sciascia a cui Consolo guarda sovente, e soprattutto per Il sorriso: Il consiglio d’Egitto. Le parole non sono solo parole, dice anche chiaramente Mandralisca, che da questo piunto di vista è un porta-parola dell’autore, ma rinviano ad una situazione culturale, ad un modo di sentire e ad emozioni che sono culturalmente e socialmente determinate. Il barone Mandralisca sogna un giorno in cui «le parole siano intieramente riempite dalle cose»: ma Consolo ci fa intuire che questo è un sogno impossibile». Allo stesso tempo, bisognerebbe scongiurare il rischio di smettere di scrivere, di parlare. In Consolo c’è insomma sempre una tensione verso l’assoluto della parola che confina con l’afasia: qualcosa che, mutatis mutandis, lo avvicina al rischio dell’afasia e della pagina bianca in Mallarmé, o alla tentazione di buttar via la penna, di smettere di scrivere, perché non ce n’è più bisogno o comunque non serve a niente, come ha fatto a Rimbaud, che smise di scrivere poesie, andando a fare il mercante di cannoni. Può parere strano questo accostamento per il “meridionalista” Consolo: eppure egli fa stare insieme, fa convivere l’impegno e la tentazione del silenzio, proprio perché mette in discussione il senso delle parole, di qualsiasi parola. Per lui è quindi necessario essere consapevoli dei limiti della parola e però anche combattere contro questi limiti. E come? Proprio con la strategia di moltiplicazione, di pluralizzazione: cui è dedicata la terza parte del mio discorso. La parola plurale È possibile combattere i limiti della parola o, meglio, provare a combatterli – perché questi limiti comunque resteranno -, ma bisogna spingerli oltre se stessi, in un certo senso «lanciare il cuore oltre l’ostacolo»: lo lanceremo, non ce la faremo, ma è necessario, bisogna farlo, altrimenti non ci sarà letteratura. Consolo si pone il problema dei limiti della parola, facendoci capire che esso è intimamente legato alla questione degli intellettuali. In lui c’è infatti, non a caso, una presenza molto profonda del pensiero di Gramsci, un autore che ha posto costantemente la «questione degli intellettuali», ovvero del loro ruolo storico, specie in rapporto alle peculiarità della storia italiana, e alla necessità di abbandonare la posizione
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18 Cfr. V. CONSOLO, Il sorriso dell’ignoto marinaio (cap. VI), in V. CONSOLO, L’opera completa, cit., pp. 215- 217. 13
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dell’intellettuale tradizionale, orgoglioso di far parte di una casta, per diventare intellettuale organico, partecipe di un progetto politico. Ma torniamo alla strategia consoliana di pluralizzazione, cercando di capire la complessità di Consolo, che opera a tanti livelli, non solo al livello stilistico. Per esempio a livello di genere, poiché i generi nei suoi testi (salvo forse in La ferita dell’aprile) sono sempre rimescolati. Lunaria, ad esempio, è un libro che parla nuovamente della Sicilia, in particolare di Palermo, di una Palermo settecentesca un po’ storica e un po’ inventata, di una Palermo bellissima e corrotta. Quest’ambivalenza, lo sappiamo, vale per tutta la Sicilia: e poi anche per la vita tutta, «bellissima e terribile» allo stesso tempo. Lunaria è la storia fantasiosa di un momento drammatico, in cui cade sulla terra un pezzo della luna. La luna, ammalatasi a causa della corruzione del mondo, perde un pezzo, che cade in una remota contrada, lontana dalla corte di Palermo, dove è ambientata inizialmente la rappresentazione: una contrada dove vivono dei contadini che portano in sé ancora un’autenticità emotiva, sentimentale; quindi non a caso la luna sceglie di cadere proprio lì: è un segnale proprio dell’intima verità dei suoi abitanti, dell’autenticità di questi contadini, in qualche modo riconosciuta da un evento cosmico emblematico. Il viceré, allo stesso tempo uomo di potere e intellettuale problematico, porterà la propria corte proprio lì dov’è caduto il pezzo di luna, che verrà raccolto e riappiccicato al suo posto. La contrada verrà allora chiamata Lunaria. Ma ecco invece un’immagine della bellissima e corrotta Palermo: Ecco il più bel promontorio del mondo, corona di Ruggeri e di Guglielmi, ecco la grotta ove s’adagia l’Odalisca santa, la vergine romita, avida d’omaggi, d’allusioni, di maschili moventi sfigurati, sospiri, ardori, ceri esorbitanti… Declina, si scioglie quella roccia all’Arenella, all’Acquasanta: ed ecco il feudo senza barone, il regno di nessuno, la piana che palpita di scaglie, mobile strada per le Spagne, per le Afriche, per oltre le Colonne, la porta delle Nuove Indie… Da dove vengono, dove vanno tanti uccelli bianchi, tanti fiocchi, tanti vascelli del sogno? Che predano, quali speranze portano? (Esce dal suo nascondiglio e si sposta davanti al terzo balcone.) E qui è il corpo grande, la maschera della giovine disfatta, la rossa, la palmosa, la bugiarda… Ah la processione di cupole smaglianti, giare andaluse, lozas doradas, le facciate di zuccheri, cannelle, mandorlate, la pampillónia dei marmi nelle chiese, e i monasteri d’ombre, bocce ove crescono lieviti malsani, e i conventi turpi, Ostérii di supplizi, cani ch’alimentano roghi disumani, vampate di barbarie… E i superbi palazzi de’ superbi, in gara eterna col Nostro, con Noi, con gli Dèi… E i giardini, le fontane, le peschière, impensabili ville sopra i Colli, alla Bagarìa, pietrificazioni d’orgogli, d’incubi, follie, sonni, echi snaturati di Cube, di Zise, di Favàre… Ah città bambina, ah vanità crudele, ah fermento cieco, serpaio, covo di peste, di vaiolo, esplosione di furie, ribellioni! Ah carnezzeria feroce, stazzo di lupi, tana di sciacalli!… Ignorancia, altaneria, locùra, tumba de verdad, cuna de matanza!» 19 La struttura del testo è teatrale, con le dramatis personae, le scene e le didascalie; ma, al tempo stesso, siamo davanti a una fiaba, che però è anche un testo molto poetico, in gran parte scritto in versi20. Quindi Lunaria è teatrale e non è teatrale, è una fiaba, ma allude anche alla storia, è poesia e allo stesso tempo ha una dimensione saggistica, che la rende affine a un conte philosophique. E qui gli esempi potrebbero continuare. Si pensi a un libro come L’ulivo e l’olivastro: è un saggio o una narrazione? A che genere appartiene? I testi di Consolo sono quindi caratterizzati quasi sempre da un’alta complessità a livello di genere, da un addensamento, una pluralizzazione anche sul piano macro-strutturale. Vi è poi, ma lo sapevamo già,
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19 V. CONSOLO, Lunaria, Torino, Einaudi, 1985; ora in Id., L’opera completa, cit., pp. 276-277. 20 Recentemente Etta Scollo, una cantante siciliana che vive e lavora in Germania, ha musicato i testi in versi di Lunaria, facendone un disco bellissimo: Nella gioia luminosa dell’inganno, Jazzhouse, 2013. La Scollo si occupa di repertorio siciliano classico, come quello di Rosa Balistreri, per esempio. 14 una grande complessità a livello di lingua, tanto che si è parlato di «plurilinguismo» per la lingua di Consolo; ma Cesare Segre obiettava giustamente che «plurilinguismo» – come ci ha spiegato anzitutto Bachtin, che Segre riprende – è anche «polifonia», cioè pluralità di prospettive, e dunque non si tratta soltanto di molte lingue, ma di diverse prospettive sul mondo. Per questo «raccogliere le parole», come fa Consolo, significa cercare di preservare la «biodiversità» del linguaggio, la sua varietà, e dunque quella delle culture che lo impiegano. In Consolo vi è una moltiplicazione anche a livello di tono: di solito si è insistito sul lato tragico di Consolo, che si fa più unilaterale nelle ultime opere, quando il suo linguaggio e la sua prospettiva hanno iniziato a farsi più cupi. Però mi sembra importante sottolineare quanto c’è di ironico e persino di comico in Consolo e quanto la sua rappresentazione mescoli continuamente l’alto e il basso: come per esempio nel personaggio di Vito Parlagreco, un contadino che parla solo dialetto, a dispetto del suo cognome…. Vito fa una riflessione d’intonazione leopardiana, e si chiede: «Ma che siamo noi? Che siamo?» si chiedeva Vito Parlagreco, masticando pane e pecorino con il pepe. «Formicole che s’ammazzan di travaglio in questa vita breve come il giorno, un lampo.» 21 Una riflessione altissima, metafisica ed esistenziale, fatta da un personaggio di modestissima condizione e di ancor più modesta caratura intellettuale, mentre mangia pane e pecorino: ma il suo formaggio e la sua condizione di persona ignorante, di bracciante, si mescolano visibilmente con le sue nobili interrogazioni, cambiandone profondamente il tono. Ancora: in Consolo vi è una costante mescolanza di poesia e di prosa. Qui la critica ha lavorato molto ed è stato notato spesso che i testi di Consolo possono essere riscritti mettendo in molti luoghi gli ‘a capo’ e quindi creando dei versi, che sono già presenti nella ritmica, anche ‘per l’occhio’. Spesso, significativamente, si hanno delle sequenze di endecasillabi e settenari, che certo alludono proprio al modello della canzone leopardiana. Ma questi versi, comunque, non sono propriamente versi, tranne in Lunaria o in qualche altro luogo, perché a rigore restano comunque prosa. In questo senso penso che Consolo condivida l’aspirazione a fare una prosa narrativa che sia completamente poesia, aspirazione che era di Vittorini, per certi versi un maestro per Consolo: anche se, absit iniuria verbis, la qualità della scrittura di Consolo è a mio avviso superiore a quella di Vittorini. Ancora: spesso Consolo fa entrare in conflitto, in calcolata contraddizione, diverse voci. Citerò qui soltanto Retablo, in cui si raccontano e s’intrecciano più storie d’amore. Retablo è un termine spagnolo che indica una «pala d’altare»: e il libro è costruito proprio come una pala d’altare, con un capitolo breve all’inizio e uno breve di analoghe dimensioni alla fine, e con in mezzo una parte molto più ampia, proprio a simulare la proporzione fra le parti di un polittico. Nel primo capitolo, il primo “quadro” del retablo, vi è il racconto di Isidoro, disperato, che rimpiange la sua amata Rosalia; alla fine troveremo il racconto speculare di Rosalia, che ci rivela come, anche se si prostituiva, ha sempre amato solo Isidoro. Deve lasciarlo, ma lo ama. Al centro vi è un altro romanzo d’amore, assai più ampio, che ha come protagonista Fabrizio Clerici, che è anche il narratore principale. Abbiamo quindi tre protagonisti e tre narratori, che si alternano e alludono anche a una struttura pittorica: ma Fabrizio Clerici era anche un pittore vero, contemporaneo e amico di Consolo, di cui nell’edizione Sellerio sono 21 V. CONSOLO, Filosofiana, in Le pietre di Pantalica, cit., p. 541. 15 anche riprodotti dei quadri. Bisogna ammettere che un difetto serio del Meridiano è quello di non aver potuto aggiungere le immagini e le copertine di tutti i libri, che erano parte integrante dell’operazione artistica, e che inoltre ribadiscono l’interesse di Consolo per la storia dell’arte e la pittura in particolare, che si fanno spesso parte integrante della sua scrittura. Ma c’è ancora un’ulteriore complicazione, perché in realtà Fabrizio Clerici dà costantemente la parola ad altri personaggi che, a loro volta, raccontano delle lunghe storie e diventano, come direbbe Genette, narrateurs de deuxième dégré, quindi ancora altre voci. Inoltre, se c’è la Rosalia numero uno, ovvero quella dell’ultimo capitolo, l’amata di Fra’ Isidoro – un frate che poi deve allontanarsi dal convento -, c’è anche un’altra Rosalia, Rosalia Granata, che pure, nel capitolo Confessione 22 , racconta una storia in cui si parla di amori controversi con preti e che viene presentata come se fosse fisicamente scritta sul retro, sul verso delle pagine che Fabrizio Clerici sta scrivendo. Quindi c’è una pagina scritta in carattere tondo e una, dietro, scritta in carattere corsivo, come un secondo racconto, perché Fabrizio dice che sta usando una carta che è già stata usata: dove si assiste a uno sfondamento del testo nella realtà, a un’uscita nella materialità della scrittura e della costituzione fisica del testo, che è poi un’altra maniera di cercar di andare oltre i confini della parola, di segnalarceli e, allo tempo stesso, di vincerli. La mescolanza tra scrittura e pittura è un’altra forma di pluralizzazione, di sfondamento, come per esempio il riferimento costante nel Sorriso dell’ignoto marinaio al Ritratto d’ignoto di Antonello da Messina, a cui assomiglia in modo incredibile uno dei personaggi, Giovanni Interdonato, di cui conosciamo l’aspetto fisico, appunto perché scopriremo, assieme a Mandralisca, che è identico al ritratto di Antonello da Messina. Consolo ci sta così spingendo, con una sorta di “violenza” semiotica, al di fuori del testo, che pure resta fatalmente un testo. E potrei citare ancora come ne Lo spasimo di Palermo si parli del cinema, mettendo in gioco un altro codice semiotico. Consolo continua quindi a mescolare i vari codici e a fare questo gioco teatrale in molte sue opere, come in La ferita dell’aprile o in Retablo, in cui si parla di spettacoli teatrali e se ne mostra la messa in scena, ricordando intanto, con una prospettiva barocca, molto spagnola ma non meno siciliana, che la vita è un teatro, e forse addirittura che «la vita è sogno». Il richiamo a Calderón de la Barca e a Cervantes è esplicito: infatti in Retablo viene messo in scena un intermezzo (un entremés) di Cervantes, mentre il resoconto narrativo dice esplcitamente che la vita in qualche modo è recitazione e illusione. L’edizione di Consolo nei Meridiani In questa edizione dei Meridiani ho cercato di dare il più possibile la parola a Vincenzo Consolo e negli apparati ho usato tutto quello che ho potuto trovare di sue dichiarazioni. L’ho anche intervistato e interrogato per circa tre mesi, nell’autunno del 2011: e qui vorrei ricordare con grande affetto e intensità la sua generosità e il suo coraggio, poiché persino negli ultimi mesi di vita continuava a rispondere senza sosta alle mie sollecitazioni, ai miei dubbi. Anche per me è stato difficile, e non nascondo che quel lavoro mi dava una grande angoscia: ma Consolo era anche certo contento che stessimo lavorando insieme all’edizione completa delle sue opere. Sono stati mesi affascinanti e terribili, durante i quali sino a poche settimane prima della morte egli continuava a riflettere sul suo lavoro e a spiegarlo; e anche, voglio sottolinearlo, sino a pochi giorni prima della morte continuava a scherzare. 22 V. CONSOLO, Retablo, cit., pp. 416-422, alle pagine pari. 16 Certo, negli ultimi anni si era incupito; ma Consolo certo non è, come ho già sottolineato prima, solo uno scrittore che sa adoperare esclusivamente il tragico: egli è stato un uomo molto spiritoso e vivace, e anche la sua scrittura, a ben guardaare, ce lo mostra così. Così ho potuto dargli la parola anche attraverso le molte risposte che mi ha dato direttamente, soprattutto domande su singole parole. In seguito ho raccolto le numerose lettere che ha scritto ai traduttori, rispondendo alle loro infinite domande: perché Consolo, certo, è difficile e i traduttori avevano tanti dubbi. Gli scrivevano moltissimo e Consolo rispondeva con lettere che vanno dalle due alle venti pagine circa, in cui rispondeva una per una a tutte le loro domande, di nuovo con cortesia e generosità straordinarie. Nel Meridiano si trova spesso la sigla LT, che significa «lettere ai traduttori», senza però l’indicazione ogni volta del nome del traduttore a cui Consolo aveva risposto, perché sarebbe stata una scelta editorialmente troppo macchinosa. Però ho raccolto tutte queste sue risposte, in modo che la stragrande maggioranza delle questioni poste dal testo al lettore è di fatto chiarita dalle sue stesse parole, in modo da non lasciare dubbi. Ho poi costruito, con la Cronologia, una biografia di Consolo, che prima mancava totalmente: la sua vita forse non ha grandissimi eventi, ma ci sono tantissime cose interessanti. Qui vorrei anzitutto ricordare che Consolo si è laureato in Giurisprudenza. È comprensibile che abbia scelto questo corso di laurea, certo, perché in Meridione, dove non ci sono grandi industrie, moltissimi studiano per ottenere una laurea in Giurisprudenza, così da fare poi l’avvocato o il magistrato o il notaio. Ma per Consolo è stato un po’ diverso, forse un po’ più complicato: perché il padre, il nonno e il bisnonno di Consolo, da tre o quattro generazioni, erano commercianti di alimentari. Essi raccoglievano un eccellente olio di Sicilia, che veniva usato per ‘tagliare’ e integrare la scarsa produzione di un olio ligure di una grande azienda, quella dei Fratelli Costa, che fingevano di vendere olio di Liguria. La Sicilia, quindi, come spesso accadeva, era sfruttata da quelli del Nord, che ne traevano lauti guadagni. La famiglia Consolo raccoglieva dunque l’olio che andava alla grande azienda Costa, che peraltro esiste ancora. Però ad un certo punto i Consolo hanno pensato di creare la loro l’azienda invece di far guadagnare tanti soldi a industriali liguri: e a quel punto hanno deciso che il settimo dei nove figli di Calogero, Vincenzo, avrebbe dovuto seguire studi universitari di chimica. Ma questi voleva studiare Lettere e poiché la famiglia, soprattutto gli zii, avrebbero voluto impedirgliele, perché li consideravano «studi da femmine», alla fine Giurisprudenza viene scelta come una mediazione: Vincenzo avrebbe dovuto diventare l’esperto legale dell’azienda di famiglia. Mi permetterò ora di raccontarvi ancora qualche aneddoto divertente della vita di Consolo e dei suoi familiari. Ecco il primo: a Sant’Agata di Militello, cittadina del Nord nella provincia di Messina, in realtà un po’ più vicina a Palermo che a Messina, davanti alle isole Eolie, i Consolo avevano un negozio di alimentari, dove vendevano olio, granaglie varie e pasta, che allora veniva venduta sfusa. C’era la pasta di prima, di seconda e di terza qualità, quest’ultima comprata dai più poveri. Al negozio dei Consolo si recava sempre il barone Lucio Piccolo, poeta, diventato molto noto per un articolo su di lui scritto da Eugenio Montale, anche se la sua notorietà sarebbe poi stata superata di molto da suo cugino, Giuseppe Tomasi di Lampedusa. I Piccolo erano molto ricchi, avevano una proprietà straordinaria e anche una grande, bellissima villa a Capo d’Orlando, Villa Vina: proprietà che poi gli furono praticamente rubate da amministratori disonesti. Il barone Piccolo andava a far la spesa dai Consolo, o 17 meglio faceva andare il suo autista, Peppino, poiché lui non usciva mai dall’auto imponente con cui si faceva portare in giro, una Lancia Lambda, forse perché noblesse oblige… o forse anche perché c’era la puzza di pesce che lo disturbava – dice Consolo stesso. Peppino comprava cinquanta chili di pasta di seconda qualità, e il nonno di Consolo continuava a domandarsi perché il barone Piccolo, così ricco, acquistasse pasta di seconda qualità; era scandalizzato, perché gli sembravano troppo tirchi. Un giorno chiese a Peppino il perché e questi rispose: «Ma no, quella è per i cani…». Secondo scandalo: allora i baroni Piccolo erano troppo spendaccioni…, e sprecavano pasta comunque buona che sarebbe stata più opportunamente da dare ai cristiani! Un altro aneddoto divertente della biografia di Consolo e della Cronologia riguarda l’acquisto del primo televisore. I Consolo non erano ricchi, però stavano bene in quanto commercianti e quindi acquistarono presto un televisore, e, come accadeva allora, invitavano spesso amici e parenti a guardare i programmi RAI. Una sera la famiglia era riunita intorno alla tavola e tutti mangiavano con la televisione accesa: tranne la zia Rosina, di anni novanta, che non mangia quasi nulla e se ne resta tutta triste ed intimidita in disparte. Alla fine della serata esclama: «Ma che vergogna! Mangiare davanti a tanti estranei… ». Un altro aneddoto. Un giorno Vincenzo e sua moglie Caterina – che voglio ringraziare infinitamente per l’ospitalità e la generosità, perché per tre anni e mezzo mi ha accolto con affetto e disponibilità impareggiabili – hanno finalmente ospite a cena Leonardo Sciascia, che era il migliore amico di Vincenzo. Caterina vuole fare bella figura, e, essendo originaria della zona di Bergamo, in più residente a Milano, decide di preparare una cena alla milanese – risotto con lo zafferano e cotoletta alla milanese -. Sciascia mangia tutto con appetito e gusto e alla fine sentenzia: «Però se non mangio la pasta mi sembra di non aver mangiato…! ». Per tornare agli apparati dell’edizione, e per terminare, nella parte finale del Meridiano c’è anche un Glossario, ovvero una raccolta lemmatica delle parole ricorrenti che possono creare delle incomprensioni; anche in questo caso una buona parte delle parole mi è stata illustrata e chiarita dallo stesso Consolo. Le Note e notizie sui testi, che sono frutto di un lavoro davvero molto lungo e approfondito, forniscono una ricostruzione ampia e sistematica della storia di tutti i testi del Meridiano. Voglio segnalare, fra le altre, la ricostruzione della storia redazionale ed editoriale di La ferita dell’aprile, il libro d’esordio, attraverso cui Consolo assume piena consapevolezza di essere davvero uno scrittore e combatte contro chi vuole fargli cambiare troppo, snaturando il suo stile, così laboriosamente costruito: è una battaglia importante e decisiva, di cui ora ho ricostruito tutto il percorso, attraverso le varianti e attraverso le lettere. Un’altra sezione delle Note e notizie sui testi che ci offre dati finora non conosciuti è quella in cui mostro la genesi di Le pietre di Pantalica, un libro nato come reportage storico-giornalistico sul processo ai frati estorsori di Mazzarino, per una collana sui processi celebri diretta da Giulio Bollati e Corrado Stajano, e poi diventato in corso d’opera un progetto di romanzo-storico sulla cittadina di Mazzarino: ma anche questo progetto è stato nuovamente riorganizzato, anche se è stato in parte compiuto, e ancora se ne percepiscono le linee portanti nella struttura del libro così come lo leggiamo ora, specie nelle prime due parti. L’edizione Mondadori è poi corredata da una vastissima Bibliografia. In conclusione, vorrei comunque sempre ricordare, financo con insistenza, come in Consolo troviamo una continua tensione verso la vita, per il gusto del vivere: forse non è così banale ricordare quante volte egli parli di cibi, di dolci; per me, curatore, è stato fra l’altro un grande e non sempre facile lavoro trovare tutte le spiegazioni dei diversi dolci, dei vari formaggi, dei materiali per preparare e cucinare. Sono convinto che tutto ciò ha a che fare con una percezione sensuale, piena di godimento della vita. Consolo è uno scrittore problematico, drammatico, ma dobbiamo anche sentire in lui tutta questa vitalità, questa voglia di farci sentire appunto che questo luogo che è il mondo è tremendo, ma è anche bellissimo. Vorrei finalmente davvero chiudere, leggendo l’inizio di Retablo, in cui il fraticello Isidoro parla della sua Rosalia. Due brevi commenti linguistico-letterari prima di leggere il testo. Consolo costruisce un attacco di romanzo in cui c’è un nome di donna a partire dal quale produce vari giochi linguistici: si tratta di una reinvenzione, non certo solo una riscrittura, dell’attacco di Lolita in Nabokov, dove c’è tutta una serie di giochi linguistici sul nome di Lolita. Qui Consolo gioca su Rosalia, che è Rosa, il fiore, e Lia, che cioè “lega” (dal verbo “liare” che significa “legare”); ma va aggiunto che Rosalia è la Santa Patrona di Palermo e di Rosalia si parla ricordando non solo lei come santa, ma anche la cripta, la grotta di Santa Rosalia, a Palermo, dove c’è una teca di cristallo con una sua statua molto venerata. Di questa grotta parla a lungo Goethe nel suo Viaggio in Italia, cui Consolo fa chiaramente riferimento: il che ci ricorda anche che Retablo è anche un libro di viaggio, che riprende la grande tradizione della letteratura di viaggio Sette-Ottocentesca: Rosalia. Rosa e lia. Rosa che ha inebriato, rosa che ha confuso, rosa che ha sventato, rosa che ha róso, il mio cervello s’è mangiato. Rosa che non è rosa, rosa che è datura, gelsomino, bàlico e viola; rosa che è pomelia, magnolia, zàgara e cardenia. Poi il tramonto, al vespero, quando nel cielo appare la sfera d’opalina, e l’aere sfervora, cala misericordia di frescura e la brezza del mare valica il cancello del giardino, scorre fra colonnette e palme del chiostro in clausura, coglie, coinvolge, spande odorosi fiati, olezzi distillati, balsami grommosi. Rosa che punto m’ha, ahi! con la sua spina velenosa in su nel cuore. Lia che m’ha liato la vita come il cedro o la lumia il dente, liana di tormento, catena di bagno sempiterno, libame oppioso, licore affatturato, letale pozione, lilio dell’inferno che credei divino, lima che sordamente mi corrose l’ossa, limaccia che m’invischiò nelle sue spire, lingua che m’attassò come angue che guizza dal pietrame, lioparda imperiosa, lippo dell’alma mia, liquame nero, pece dov’affogai, ahi!, per mia dannazione. Corona di delizia e di tormento, serpe che addenta la sua coda, serto senza inizio e senza fine, rosario d’estasi, replica viziosa, bujo precipizio, pozzo di sonnolenza, cieco vagolare, vacua notte senza lume, Rosalia, sangue mio, mia nimica, dove sei? T’ho cercata per vanelle e per cortigli, dal Capo al Borgo, dai Colli a la Marina, per piazze per chiese per mercati, son salito fino al Monte, sono entrato nella Grotta: lo sai, uguale a la Santuzza, sei marmore finissimo, lucore alabastrino, ambra e perla scaramazza, màndola e vaniglia, pasta martorana fatta carne. Mi buttai ginocchioni avanti all’urna, piansi a singulti, a scossoni della cascia, e pellegrini intorno, “meschino, meschino…”, a confortare. Ignoravano il mio piangere blasfemo, il mio sacrilego impulso a sfondare la lastra di cristallo per toccarti, sentire quel piede nudo dentro il sandalo che sbuca dall’orlo della tunica dorata, quella mano che s’adagia molle e sfiora il culmo pieno, le rose carnacine di quel seno… E il collo tondo e il mento e le labbruzze schiuse e gli occhi rivoltati in verso il Cielo… Rosalia, diavola, magàra, cassariota, dove t’ha portata, dove, a chi t’ha venduta quella ceraola, quella vecchia bagascia di tua madre?
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23 23 V. CONSOLO, Oratorio, (incipit) di Retablo, cit., pp. 369-370. 19
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Riflessioni e domande del pubblico : Laura Toppan : Nello Spasimo di Palermo il personaggio di Gioacchino afferma : « invidiava i poeti, e maggiormente il veneto, rinchiuso nella solitudine di una Pieve saccheggiata, tu possa del Montello questo mondo, le tue egloghe, amico, il tuo paesaggio avvelenato, il metallo del cielo che vibrava, la puella pallidula vagante, la tua lingua prima balbettante, la tua seconda scoscesa, questo cominciava a dirgli, pensandolo da quella sponda del suo Mediterraneo devastato”. « Il veneto » è Andrea Zanzotto, rinchiuso nella sua Pieve di Soligo, attento ai cambiamenti epocali e alla trasformazione del paesaggio, come Consolo che, da Milano, è attento alle trasformazioni della ‘sua’ Sicilia. È interessante notare che Consolo si definiva un « archeologo della vita » e Zanzotto « un botanico di grammatiche ». In queste espressioni possiamo ritrovare uno stesso modo di concepire il lavoro letterario. E lo sperimentalismo linguistico e di generi che Consolo attua in prosa, Zanzotto lo raggiunge in poesia. L’affinità tra i due grandi autori la si riscontra anche nella loro apertura europea e sarebbe interessante forse andare più a fondo di questa consonanza. Giorgia Bongiorno : D : Un altro « meridonialista europeo » è Gesualdo Bufalino. Che tipo di rapporto o di contrasto c’era tra Consolo e Bufalino? R : Non si amavano molto, non c’era molta simpatia. Consolo sentiva Bufalino come uno scrittore un po’ troppo professore. C’è un apprezzamento abbastanza tiepido, anche se c’è una foto che gira molto con loro due e Sciascia che ridono: +una foto scattata in occasione della collaborazione per il volumetto Trittico. Complessivamente era un autore che Consolo non riusciva ad amare; ma non penso che vi fosse competizione. Anche Bufalino è certo testimone della forza della tradizione siciliana: qualcuno ha detto che è la regione d’Italia che ha prodotto la miglior letteratura del Novecento; altri hanno invece detto « sì, ma la Sicilia non è Italia; la Sicilia è la Sicilia». Secondo me è vero e allo stesso tempo non è vero: pensiamo per esempio al titolo di una raccolta di racconti di Consolo, La mia isola è Las Vegas, dove il racconto eponimo racconta di un siciliano mafioso che dopo la seconda Guerra Mondiale spera che gli americani si prendano la Sicilia e ne facciano la 51esima stella degli Stati Uniti, così si potrebbe farne finalmente una specie di immensa bisca, come Las Vegas. Consolo era consapevole dell’importanza di molti scrittori siciliani e quindi anche di Bufalino, ma lo avvertiva come troppo «letterato», nel senso che in lui non avvertiva così tanta pressione verso la vita. Secondo me è importante insistere su questo punto per capire sino in fondo Consolo. Egli ha avuto infatti una vita intellettuale ricchissima, anche dal punto di vista dei contatti e delle amicizie, come per esempio José Saramago o Milan Kundera. Sébastien Ortoleva (studente) : D : Dal punto di vista dei rapporti con altri autori, com’era il rapporto che Consolo aveva con Sciascia ? R : Consolo ha sempre avuto un’ammirazione grandissima per Sciascia, sia come intellettuale che come persona, però ha sempre pensato che il modello di letteratura di Sciascia non fosse quello ‘giusto’, perché troppo comunicativo, più vicino alla saggistica, più denotativo, e che invece fosse necessario fare ‘altra’ letteratura. Dal punto di vista della pratica letteraria quindi 20 Consolo ha sempre contestato il suo grande amico, in modo esplicito, ma sempre ‘amoroso’, perché l’affetto per lui è sempre rimasto grande. L’ha difeso infatti anche nei momenti più difficili, per esempio all’indomani dell’uscita dell’articolo I professionisti dell’anti-mafia (gennaio 1987 sul « Corriere della Sera ») – un articolo molto problematico di cui si discute ancora oggi – in cui Sciascia parla male dei magistrati anti-mafia, del pool di Borsellino e di Falcone, e soprattutto di quest’ultimo. Sciascia parlava, in modo un po’ sprezzante, di coloro che hanno fatto carriera occupandosi di mafia… Sciascia fu difeso da Consolo, ma altri non furono d’accordo e in effetti bisogna dire che l’articolo fece fare dei passi indietro al lavoro del pool. Questo dimostra che Consolo difendeva Sciascia anche nei momenti in cui sarebbe stato meglio non difenderlo, però lo contestava anche, ovvero contestava quel modello di letteratura troppo comunicativa, rappresentata appunto da Sciascia e anche da Calvino. Per Consolo infatti questo tipo di letteratura non riusciva a «caricare» abbastanza il linguaggio come lui voleva fare, tanto che Il sorriso dell’ignoto marinaio, il suo secondo romanzo, il suo massimo libro, forse il suo capolavoro, di eccezionale complessità, comincia proprio con una polemica con Sciascia. Si ricorda il quadro di Antonello da Messina e un episodio che Consolo reinventa ma che in qualche modo è storicamente vero, ossia quello di una ragazza che ha sfregiato con un punteruolo un po’ di questo sorriso (e questo danno è ancora visibile). Forse l’ha fatto, come racconta Consolo, perché era innamorata di colui che assomigliava proprio al ritratto dell’ignoto, cioè Giovanni Interdonato, e forse perché il suo amato si faceva vedere troppo poco, dato che era sempre a combattere per il Risorgimento e l’unificazione d’Italia. Ma lo stesso Consolo ha affermato che quell’attacco al quadro di Antonello – quadro di cui parla anche Sciascia in un famoso saggio, L’ordine delle somiglianze, e che viene citato all’inizio del Sorriso – e in quel sorriso sembra poter riconoscere qualcuno che conosciamo, anche se si tratta di una persona che non sappiamo chi sia… Consolo cita Sciascia, ma poi, quando vuole citare il ritratto sfregiato di cui parla Sciascia, fa un’ironia sul Sorriso che è nel ritratto dell’Ignoto, polemizzando proprio con Sciascia. Ancora una volta Consolo ha scelto, programmaticamente, una via lontana da quella di Sciascia, e l’ha fatto anche quando lo cita, poiché nel Sorriso ci sono molti rinvii a Il Consiglio d’Egitto e a Morte dell’inquisitore. Consolo non voleva una letteratura tutta razionale, e l’idea di sfregiare il quadro per amore corrispondeva alla vitalità, alla passione che Consolo in Sciascia non trovava poi tanto. Il progetto di stile di Consolo è, se non opposto, molto lontano quindi da quello di Sciascia. Nell’Archivio ho ritrovato tutte la corrispondenza relativa all’edizione del primo romanzo: essa mostra un processo molto importante di questo giovane scrittore che sta acquisendo la consapevolezza di essere uno scrittore e combatte per difendere la propria opera. Consolo si rivolge anzitutto a Basilio Reale, un importante intellettuale – a sua volta poeta e soprattutto psicanalista – cha è stato colui che ha portato il manoscritto alla Mondadori, e attraverso questo carteggio e anche altre lettere – per esempio gli interventi dei lettori editoriali – si può ricostruire tutto l’iter della pubblicazione. Ma c’è ancora molto da fare, perché per il momento mi sono limitato a fare solo una sintesi per spiegare lo stato di questi dattiloscritti: possediamo non soltanto il dattiloscritto della prima versione, che possiamo confrontare con quella finale, ma anche due dattiloscritti uguali: in uno ci sono le note dell’amico Basilio Reale che suggeriva cambiamenti, nell’altro ci sono sia gli interventi suggeriti da Raffaele Crovi, editor alla Mondadori, sia le controcorrezioni di Consolo. Questi a volte cambiava in base alle richieste dell’editore, a volte effettuava delle scelte ancor più radicali. C’è quindi il dattiloscritto, ci sono le varianti interlineari, quelle a margine e quella sul verso dei fogli dattiloscritti, dove Consolo riscrive il pezzo a penna. Attraverso questi documenti preziosi si può vedere com’egli costruisse piano piano la misura ritmica, perché alle volte scrive un testo quasi identico: copia alcune righe ma cambia qualche pezzetto, cerca la misura giusta: è lo spettacolo del “farsi in diretta” della scrittura. 21 Inoltre nelle carte delle Pietre di Pantalica ho trovato un racconto totalmente inedito, di cui anche Caterina Consolo ignorava l’esistenza: un racconto che è un segno del progetto cambiato e di una parte di questo progetto, un racconto che c’è nell’apparato del Meridiano e si intitola L’emigrante. C’è un certo Vito – probabilmente il Vito Parlagreco di cui parlavamo prima – che sta emigrando a Milano. Poi forse Consolo ha ritenuto che spingere anche verso l’emigrazione lo allontanava troppo da quel territorio siciliano in cui doveva restare la rappresentazione. Però questo ritrovamento è davvero molto interessante: c’è un racconto, non dimenticato ma messo da parte, dell’emigrante che arriva a Milano e vede dal suo punto di vista soggettivo la città.


Conférence du Professeur Gianni TURCHETTA de l’Université Statale de Milan qui s’est tenue à Nancy, le 8 Mars 2016 sous invitation et organisation de Laura Toppan, MCF en Italien (transcription de la conférence enregistrée et du dialogue avec le public par Laura Toppan)