L’ONORE DI SICILIA
Prefazione in RITA BORSELLINO – LA SFIDA SICILIANA – PAG. 7-11
di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza – Editori Riuniti Roma 2006
Da Antigone, da questa donna bisogna partire, da questa eroina di Sofocle che ha il coraggio di ribellarsi all’ingiusto comando di un tiranno, Creonte, per ubbidire a “leggi non scritte, inalterabili, fisse degli dei: quelle che non da oggi, non da ieri vivono, ma eterne…” Sono, quelle a cui ubbidisce Antigone, le leggi dell’umano, della pietà, della giustizia, leggi che la spingono a seppellire “il corpo morto di un figlio di mia madre”, il corpo del fratello Polinice. Ma ci insegna il trageda greco che sì, si può anche seppellire subito il corpo di un uomo ucciso, ma quel corpo rimarrà virtualmente insepolto sino a quando non si saprà la verità su quell’assassinio, sino a quando i suoi congiunti non avranno giustizia.
E sorelle di Antigone sono tutte quelle donne che hanno reclamato verità, reclamato giustizia per il loro congiunto ammazzato; sorelle di Antigone sono in Sicilia madri, spose o sorelle che hanno reclamato verità e giustizia per il loro famigliare ucciso dalla mafia, ucciso dal potere politico-mafioso. Solo giustizia e verità posso infine far seppellire quel corpo oltraggiato, dilaniato da colpi di lupara, di kalashnikov, da esplosione di tritolo. Sorella di Antigone è Francesca Serio, la madre del sindacalista Salvatore Carnevale, quella contadina, quella nobile donna che Carlo Levi incontra a Sciara e di lei scrive:”Così questa donna si è fatta, in un giorno: le lacrime non sono più lacrime ma parole, e le parole sono pietre. Parla con la durezza e la precisione di un processo verbale, con una profonda, assoluta sicurezza, come chi ha raggiunto d’improvviso un punto fermo su cui può poggiare, una certezza: questa certezza che le asciuga il pianto e la fa spietata è la Giustizia. La Giustizia vera…” Sorella di Antigone, sorella di Francesca Serio è Saveria Antiochia , madre dell’agente Roberto, ucciso, nel 1985, insieme al suo capo e amico, il commissario Ninni Cassarà. Saveria racconta in Nonostante donne. Storie civili al femminile:”Le donne a volte piangono e gridano. E’ una questione di carattere. Ma io so che chi non piange e non grida muore dentro di dolore. Quando ti uccidono un figlio sparano anche su di te”.
Sorella di Antigone, di Francesca Serio, di Saveria Antiochia, di Pina Grassi è Rita Borsellino. Anche lei, Rita, “s’è fatta in un giorno” come dice Levi, quel terribile, tragico 19 luglio del 1992 in cui fu ucciso, in via D’Amelio, insieme ai poveri cinque ragazzi della scorta, il fratello Paolo.
Sorelle di Antigone: donne tutte che contraddicono, cancellano lo stereotipo siciliano della Santuzza, della Mena o della Diodata, che mettono in luce la tradizione della donna siciliana attiva, quella che dai Fasci socialisti al Primo e al Secondo dopoguerra ha combattuto accanto agli uomini, con essi ha scioperato, ha occupato le terre incolte dei feudi, e ne ha subito la repressione, è stata ferita o uccisa, com’è successo a Portella della Ginestra. Dice all’Assemblea Costituente Girolamo Li Causi il 2 maggio 1947: “Ho visto una bambina di tre anni trucidata, cinque orfani impietriti dall’orrore, attorno alla madre morta. Ho visto una vecchia di settantatré anni ferita…”. Donne quelle non più verghiate, ma vittoriniane, donne come la madre Concezione di Conversazione in Sicilia, come Erica, come la Garibaldina o, fuor di letteratura, come Maria Occhipinti di Una donna di Ragusa.
Rita Borsellino ci narra del prima e del dopo quella domenica del 19 luglio 1992 in questo libro. Ci dice della sua famiglia d’origine, del padre Diego e della madre Maria Pia Lepanto, farmacisti alla Kalsa, ‘al-Halisah’, l’eletta, l’antico quartiere arabo di Palermo, quartiere ora degradato, popolare, povero. E la farmacia Borsellino, di via Vetriera prima e quindi della vicina Carlo Rao, è il luogo dove gli abitanti del quartiere vanno a confidare, a “depositare” le loro angustie, i loro mali, a prendere le medicine a credito, crediti che il dottor Diego segna su un quaderno che poi butta via.
Nel quartiere della Kalsa è cresciuto anche Giovanni Falcone, che racconta: “Abitavo nel centro storico, in piazza Magione. Accanto c’erano i catoi, locali umidi abitati da proletari e sottoproletari”. Era dunque la Kalsa, come altri di Palermo, il quartiere delle strade che s’incrociano e delle strade che divergono: dei giovani che diventano magistrati, tutori del diritto, delle leggi dello Stato, che hanno un uguale, tragico destino; il quartiere dei giovani che diventano picciotti, killer al servizio della mafia, la mafia delle cosche e quella più occulta della borghesia imprenditoriale e politica, la mafia “bianca”, la più invisibile, la più insospettabile.
Rita è l’ultima di quattro fratelli, viene dopo Adele, Salvatore e Paolo, è la piccola di casa, fatalmente la più vezzeggiata, ma è anche la più timida, la più chiusa. “Ero una ragazza patologicamente timida” scrive, “Ero una persona chiusa, silenziosa, timida”.
Alla morte del padre, Rita si iscrive alla facoltà di Farmacia, e quindi va a lavorare là in via Vetriera nel negozio di famiglia. Che è per lei la scuola della conoscenza del mondo, dell’ “altro” mondo, quello dei sofferenti, dei diseredati, degli emarginati. E’ di famiglia cattolica, è cattolica praticante lei stessa, e nella farmacia, che non è quella delle vane chiacchiere dello speziale don Franco de I Malavoglia, mette in pratica la carità cristiana, la solidarietà verso l’umanità bisognosa. Sposa Renato Fiore, farmacista anche lui, ed ha tre figli, Claudio, Cecilia e Marta. Ma da prima, e ancora dopo, non cessa il suo rapporto di affinità, di amicizia col fratello Paolo, che da sempre l’ha prediletta e protetta. E leggiamo quindi con quale dolore, con quale strazio, orrore e furore Rita ci racconta di quel fatale giorno, di quella domenica di luglio in cui avviene la strage, là, in via D’Amelio, nel momento in cui il magistrato sta per compiere l’azione più umana, filiale, quella di andare a trovare la vecchia madre. Una strage, 55 giorni dopo la strage di Capaci, annunziata, annunziata dallo stesso magistrato, una strage prevedibile, e quindi comandata chissà da quali oscure, segrete entità, ai manovali della mafia, agli esecutori di morte.
E da quel giorno cambia la vita di Rita Borsellino. “La seconda vita”, come lei la chiama. Scrive:”Non ci si lascia annientare dal dolore (…) Perché quello che ci spinge, che spinge tanti famigliari delle vittime della violenza a mettersi in gioco, a mettersi in cammino (…) è l’amore, è la voglia di far continuare quello che i nostri cari stavano facendo”.
Diventa quindi una persona pubblica, Rita Borsellino, una missionaria della Giustizia
della verità, della civiltà. E incontra nel ’93 don Luigi Ciotti, s’impegna a lavorare indefessamente per l’associazione Libera, a parlare a migliaia e migliaia di giovani, in Italia e all’estero, di giustizia, di legalità.
Si è dimessa ora da presidente onorario di Libera per affrontare un altro impegno: quello politico, quello di candidata del centro sinistra alla presidenza della Regione Siciliana.
Questa nostra regione autonoma a statuto speciale, strumento democratico concesso allora dal governo centrale per scongiurare le spinte indipendentiste che certe formazioni politiche allora fomentavano. Strumento democratico usato quindi, dalle eterne forze della conservazione, nel peggiore dei modi: come strumento di privilegio, di potere clientelare, se non spesso di malaffare, come l’ha usato per esempio l’ultimo governo regionale di centro destra, di cui alcuni membri sono stati arrestati per concorso in associazione mafiosa, sono inquisiti per la stessa imputazione o per favoreggiamento aggravato alla mafia, come il presidente Salvatore Cuffaro che se ne sta ancora là, a governare la nostra infelice isola.
Rita Borsellino, ne siamo certi, restituirà dignità, democrazia e giustizia, di cui questa nostra Sicilia ha tanto bisogno, come del resto l’intero Paese, questa Sicilia che ha cominciato la sua storia politica dal Secondo dopoguerra in poi con la violenza, con il sangue, con tutta una sequela di morti che da Portella della Ginestra arriva fino al 1992 e oltre.
“Per la nostra Sicilia invoco una vera solidarietà regionale, una concordia sacra, una pace feconda e operosa. Giustizia per la Sicilia ! “ declamava alla prima seduta dell’Assemblea Regionale il Presidente (per anzianità) Lo Presti, il 25 maggio 1947. E ancora oggi, dopo le elezioni di aprile, la Borsellino, la prima donna presidente della Regione, potrà esclamare: “Giustizia per la Sicilia, onore per la Sicilia !”.
Vincenzo Consolo
Milano,6.2.2006
Prefazione al libro “Rita Borsellino, la sfida siciliana” di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza – Editori Riuniti 2006