Mese: Febbraio 2022
“UN ECCEZIONALE BAEDEKER. LA RAPPRESENTAZIONE DEGLI SPAZI NELL’OPERA DI VINCENZO CONSOLO” DI ADA BELLANOVA,
Recensione di Daniel Raffini
Negli ultimi quarant’anni si è assistito da parte di molti scrittori – e in conseguenza anche nella critica e nella teoria letteraria – a un aumento di interesse verso la componente spaziale della narrazione: è quello che, in ambito non solo letterario, è stato definito come spatial turn. A partire dagli anni Ottanta gli scrittori si sono dedicati maggiormente alla rappresentazione dei luoghi, in risposta all’omologazione portata dalla mutazione antropologica e alla perdita di uno sguardo partecipato sui luoghi che si è avuta con l’avvento del turismo di massa. L’altra grande tendenza delle scritture degli ultimi quarant’anni è l’irruzione forte della componente memoriale. Entrambe le tendenze sono rappresentate, seppur con vari elementi originali, nell’opera di Vincenzo Consolo, su cui Ada Bellanova presenta un nuovo studio con il suo libro Un eccezionale Baedeker. La rappresentazione degli spazi nell’opera di Vincenzo Consolo (Mimesis 2021).
In tema di componente personale e memoriale, pare interessante che Bellanova inserisca in apertura del libro un ricordo personale. L’esperienza della lettrice – e critica – si sovrappone a quella dello scrittore. Nelle primissime pagine Bellanova rimanda al ricordo del suo primo viaggio a Palermo e alla ricerca nello spazio reale dello spazio narrativo, il racconto di Palermo che fa Consolo in Retablo. La riflessione si sposta subito verso un nodo centrale della poetica consoliana, in cui la narrazione diventa il «pretesto per riflettere sui meccanismi della giustizia, umana e disumana» e spinge a «fare considerazioni anche sulla contemporaneità» (p. 11). È, d’altronde, questo il meccanismo stesso che innesca la narrativa di Consolo, attraverso la nozione da lui stesso suggerita di romanzo storico-metaforico, in cui la storia di un determinato tempo – e la storia di ogni tempo – riflette la realtà contemporanea allo scrittore, il momento della narrazione è immagine del momento della scrittura, fa riflettere su quello che avviene intorno, sui corsi e ricorsi della storia, sui meccanismi distorti della narrazione stessa e, in ultima istanza, sulla dicibilità del reale. Il libro di Bellanova parte da una suggestione personale fortemente significativa perché riflette la stessa suggestione personale che genera la scrittura consoliana.
Emerge fin da subito l’idea dello scrittore come cartografo, che esplora territori sconosciuti per farli entrare successivamente all’interno del circolo della conoscenza attraverso lo strumento della mappa. La scrittura di Consolo si presenta come «un’indagine dello spazio mossa da ansia conoscitiva» (p. 15). La vocazione all’esplorazione geografica è viva in Consolo fin da ragazzo e lo spinge a esplorare la Sicilia, che poi sarà luogo della sua narrazione. Bellanova rende manifesto il legame tra l’esperienza personale e l’insistenza sui luoghi: «Da tratto autobiografico la cifra del movimento a scandagliare gli spazi diventa meccanismo narrativo ricorrente e si trasforma in tendenza a cartografare» (p. 16). Allo stesso tempo, dietro la narrazione dei luoghi c’è una forte componente di studio, una documentazione minuziosa su testi e opere spesso dimenticate, che emerge anche dal confronto con l’archivio dello scrittore. Bellanova fa notare come in Consolo i luoghi reali vengano rielaborati in chiave letteraria, pur mantenendo il loro realismo. L’atmosfera onirica di molte narrazioni consoliane – si pensi a Retablo, Lunaria, Nottetempo, casa per casa – viene in molti casi ri-fattualizzata attraverso l’utilizzo dei luoghi. Nella rappresentazione dei luoghi della Sicilia emerge a più riprese il contrasto «tra la Sicilia del passato, contadina, […] e quella della rovina, del miracolo economico» (p. 22), il divario tra un passato scomparso e un presente che tende a livellare le differenze e le peculiarità, in un continuum spaziale, linguistico, culturale, economico, politico, contro il quale lo scrittore si scaglia e a cui cerca – con gli strumenti che ha a disposizione – di opporsi con un’azione estrema e disperata di salvataggio.
Nel capitolo introduttivo, Bellanova ripercorre le principali opere di Consolo e sottolinea in esse la capacità di rappresentare i luoghi, tra reale e irreale. La prima sezione – Strumenti per percorrere i luoghi – si apre, invece, con l’inquadramento metodologico, quanto mai necessario per la materia trattata. La studiosa si serve efficacemente di «approcci critici figli dello spatial turn incentrati su un proficuo incontro tra studio geografico e sguardo letterario e che mettono in gioco anche il rapporto tra reale e finzione» (pp. 33-34). La prospettiva geocritica mette l’autore al centro di un sistema che unisce una molteplicità di livelli cronologici e punti di vista che costituiscono lo spazio di riferimento. La visione stratificata della geocritica fa del luogo un palinsesto, del quale il singolo autore – in questo caso Consolo – rappresenta solo un punto all’interno di un particolare livello. La geopoetica, invece, si concentra sulla capacità di un autore di elaborare uno spazio e renderlo linguisticamente; e la geotematica analizza le funzioni di un tema geografico sia all’interno dell’opera dell’autore che in relazione con altre opere. Infine, l’ecocritica propone un approccio etico attento alle questioni ambientali e sociali. Tutte queste “categorie” vengono utilizzate e messe proficuamente in dialogo da Bellanova nella sua analisi della componente spaziale nell’opera di Consolo.
All’intertestualità tipica della scrittura consoliana, che lo rende secondo la definizione di Daragh O’Connell uno scrittore “palincestuoso”, si aggiunge secondo Bellanova «l’intertestualità insita nel luoghi rappresentati» (p. 40): in Sicilia «innumerevoli sono infatti gli schemi e gli sguardi che si sono saldati all’identità del luogo reale» (p. 41). In questo contesto si inserisce la visione dell’autore «che sceglie cosa appresentare e come rappresentare […] nella fitta foresta di sollecitazioni letterarie già integrate nella natura della geografia reale» (ibidem). Ma di cosa si compongono gli spazi palincestuosi di Consolo? Bellanova mostra con vari esempi che essi derivano dalla letteratura, dalle arti, dalle esperienze personali, dalle suggestioni sensoriali, dalla storia (spesso la microstoria), dalle attività umane, dalle diverse lingue. Queste “categorie” sono studiate da Bellanova singolarmente, in relazione all’opera di Consolo, nella prima parte del suo studio.
La seconda parte – Un percorso tra luoghi simbolo – assume una prospettiva diversa. Qui l’autrice decide si compiere un attraversamento dei singoli luoghi raccontati da Consolo: la natìa Sant’Agata; Cefalù, cerniera tra due Sicilie; la Palermo degli splendori e della decadenza; Siracusa, disfatta dall’irruzione della modernità; le rovine antiche della Sicilia e infine Milano, luogo della migrazione.
Il discorso approda necessariamente nella terza parte, dedicata alle Ecologie consoliane, a una riflessione sul senso della narrazione degli spazi in Consolo, il cui fine ultimo è sempre un’etica rivolta al presente. Consolo mostra come la mutazione antropologica, figlia del boom economico, abbia decretato la fine di un millenario mondo contadino, con le sue tradizioni e i suoi luoghi, costringendo alla migrazione molti siciliani. In questa armonia perduta si insinuano alcuni fulcri di resistenza, analizzati da Bellanova. Oltre a questo resoconto della distruzione, Bellanova individua nell’opera consoliana anche le radici per una ripresa dopo il disastro, che deve partire in primo luogo da una ricostruzione culturale, della memoria, che si impegni per «evitare il rischio di generare un non-luogo, prestando particolare attenzione alle implicazioni antropologiche, identitarie, relazionali, storiche: si deve evitare che la cultura del ricostruire surclassi quella del riabitare» (p. 265).
L’ultima parte del libro fa riferimento al Mediterraneo e si inserisce efficacemente all’interno di un filone di studi molto fecondo oggi per le analisi delle rappresentazioni spaziali. Consolo risulta un autore particolarmente idoneo a essere inserito nel contesto degli studi mediterranei, come è emerso – per citare solo il contributo più recente – in occasione del Convegno “Questo luogo d’incrocio d’ogni vento e assalto”. Vincenzo Consolo e la cultura del Mediterraneo, fra conflitto e integrazione, tenutosi presso l’Università degli Studi di Milano nel 2019 e i cui atti sono stati pubblicati di recente a cura di Gianni Turchetta (Mimesis 2021). Particolarmente interessante l’analisi che Bellanova fa dello spazio mediterraneo narrato da Consolo come luogo ricco di scambi e interazioni ma anche, soprattutto in tempi recenti, come spazio di migrazioni forzate e di violenza. Ne emerge, ancora una volta, il valore etico della narrazione consoliana.
In ultima analisi, il lavoro di Bellanova ha il merito di saper condensare intorno al nucleo della spazialità tutti gli aspetti salienti della poetica di Vincenzo Consolo, restituendo un’immagine a tutto tondo dello scrittore. Se spesso la critica consoliana ha individuato nella storia il fulcro intorno al quale ricostruire in maniera unitaria la poetica dell’autore, questo studio dimostra, invece, come la prospettiva spaziale, anche grazie alle recenti acquisizioni teoriche, possa rivelarsi ancora più inclusiva ed esaustiva di quella temporale (che vi risulta inglobata) come categoria interpretativa centrale dell’opera di questo scrittore.
(fasc. 43, 25 febbraio 2022)
foto di copertina di Giuseppe Leone
Conversare su Consolo: per ricordare lo scrittore siciliano
University College Cork, Irlanda
Conversare su Consolo: quattro appuntamenti online per ricordare lo scrittore siciliano A cura di Daragh O’Connell
Organizzazione: Claudio Masetta Milone
1) Tradurre Consolo (venerdì 28 gennaio, 2022) con la partecipazione di
JOSEPH FARRELL
2) Curare Consolo (venerdì 4 febbraio, 2022) con la partecipazione di
GIANNI TURCHETTA
3) Studiare Consolo (venerdì 11 febbraio, 2022) con la partecipazione di
NICOLÒ MESSINA
4) Raccontare Consolo (venerdì 18 febbraio, 2022) con la partecipazione di
CLAUDIO MASETTA MILONE e IRENE ROMERA PINTOR
CONVERSARE SU CONSOLO
Il link per i quattro appuntamenti:
- Tradurre Consolo (Joseph Farrell)
https://www.youtube.com/watch?v=vBZ3o4MXHP4&t=182s - Curare Consolo (Gianni Turchetta)
https://www.youtube.com/watch?v=SAMwA_oVEB4 - Studiare Consolo (Nicolò Messina)
https://www.youtube.com/watch?v=m0Y46t_d0qI&t=9s - Raccontare Consolo (Claudio Masetta Milone e Irene Romera Pintor) https://www.youtube.com/watch?v=59QiB2QPzk8&t=7s
La necropoli di Pantalica
Oggi Vincenzo Consolo avrebbe compiuto 89 anni. Lo ricordiamo con affetto. E anche da Berlino lo scrittore e poeta Joachim Sartorius, che a Siracusa torna come si torna a casa, gli dedica due poesie nella traduzione di Anna Maria Carpi.
su suggerimento di Etta Scollo
da Joachim Sartorius | Feb 16, 2022
Quattro poesie nella traduzione inedita di Anna Maria Carpi.
Auf der Terrasse, piazza del Precursore
für (und nach) Vincenzo Consolo
Sulla terrazza, piazza del precursore
a (e a la maniera di) Vincenzo Consolo
Davanti a noi il mare, all’altezza dei nostri occhi,
lenti vanno i pescherecci, domani
avremo sardine, sebastes o il grosso pescespada.
Lui, solo lui, al mercato avrà due garofani negli occhi,
il muso colmo di melissa al limone, le squame di basilico,
e il mercante taglierà, oh, oh, col coltellaccio
taglierà il pescespada finché non restano che testa e spada
e sangue sull’uncino. E qui io penso ai razzi colorati
che ieri al matrimonio
a San Giovannello si spararono in aria
e caddero in acqua, friggendo come pesci, friggendo
come il pescespada nella nostra cucina – domani.
Domani, al pranzo, negli odori di mirra e melissa
penseremo a Mitilene, di fronte alla costa dell’Asia Minore,
la capitale di Lesbo. E’ vero quello che diceva Cicerone,
che hanno messo una statua di Saffo nel salone cittadino di Siracusa?
Di porfido? Non sappiamo come ricomporre i frammenti,
le voci dei navigli in pezzi.
*
Die Nekropole von Pantalica
La necropoli di Pantalica
L’airone vola nei boschi e si colma le ali di spezie.
Il cielo è teso come una pelle, grigio chiaro.
Io sono il pastore che spacca i fichi.
Mi diffondo a parlare delle pecore grigie.
E ancora più bello è sopra le tombe scure.
La prima farfalla, bruna e nevosa.
Aperto in cima al monte c’è il libro
che decide le forme del suo volo.
*
Téléphone arabe
Telefono arabo
alla memoria di Ibn Hamdis
1
Ci sono due copie del suo Divan, scritto da lui
in accurata agile calligrafia.
Un esemplare impolverato nella Biblioteca Vaticana.
L’altro nel Museo Asiatico di S. Pietroburgo.
Come ci sono pervenuti? Le poesie tarde
parlano dell’invecchiare. Lui è morto a Palma di Mallorca,
dopo qualche peregrinazione, a settantasette anni.
2
Sino alla fine la sua chioma era riccia e scura.
Ma agli amici della corte di Siviglia pareva che si fosse cinto
il capo di un’aura bianca. Così lo chiamavano il Bianco (o il Robusto o il Saggio).
Nelle sue poesie la sua fragilità era tutt’uno col declino degli Arabi in Sicilia e Andalusia.
Da Siracusa era fuggito in nave a Sfax.
3
Fuggito alla venuta dei Normanni. La sua nave si arenò. Nessuno
scrive della perdita del suo cuore. Lui scrive
sulla perdita di Jawhara, annegata,
delle belle nostalgiche elegie. Ancor oggi giacciono
come pelli di serpente al bordo della nostra strada.
Téléphone arabe, posta crepitante fino alle Baleari,
lungi dal Vaticano e ancora di più da S. Pietroburgo.
*
Replik
Replica
Io voglio ammirare l’estate d’estate.
Io voglio ammirare in mare il mio mare.
Voglio portare tre delfini ad Arethusa.
Siamo in quattro ad ammirare il loro dorso d’argento.
Ma sulle monete non c’è il dorso.
Solo testa e collo, in un alone d’argento.
Pound e Yeats al Museo Archeologico avevano
studiato accuratamente le collezioni.
Questa moneta è la più bella
del mondo antico, scrisse Yeats ai suoi.
Arrivarono alla conclusione cui erano arrivati già tutti.
Pound comprò una replica.
JOACHIM SARTORIUS
Joachim Sartorius, nato nel 1946 a Fürth, è cresciuto a Tunisi e vive fra Berlino e Siracusa. Poeta e traduttore di poesia americana, soprattutto di John Ashbery e Wallace Stevens. Ha pubblicato molti libri di poesia e prosa. Ha anche lavorato a diverse antologie. Il suo lavoro poetico è tradotto in quattordici lingue ed è l’editor delle versioni tedesche delle opere di Malcom Lowry e William Carlos Williams. La sua ultima pubblicazione è “Wohin mit den Augen. Gedichte” (2021). Membro del PEN per la Germania e della Deutschen Akademie für Sprache und Dichtung.
Ezra Pound in un racconto di Vincenzo Consolo
Nel settembre di un’estate ferma, sulle pendici dell’Etna, a Zafferana (zàfaran, la pianta aromatica e colorante che ad altre aridità rimanda, al nudo e scabro Atlante, infestato di scorpioni e di serpenti), in un isolato e aereo alberghetto chiamato Airone, con un terrazzo sulla vasta e scoscesa sciara di lava che si stende fino all’orizzonte, fino alla striscia di un mare di cobalto – era il 1968 -, avevano portato, chissà perché, in occasione di un convegno letterario, Ezra Pound. Portato è la parola giusta. Chè il bianco, diafano poeta, chiuso nella invalicabile assenza e afasia, non sembrava più ormai che la vuota sagoma dell’uomo sopravvissuto al suo disastro.
Un pomeriggio come un mezzogiorno senza fine, in quell’ora sospesa su un mondo senza ombre (“In alto immobile meriggio, / il meriggio in se stesso si pensa e si conclude”: Valery, Il cimitero marino), nell’ora del sonno e del silenzio, Pound, eludendo ogni vigilanza, scende dalla sua camera, attraversa il salone dell’albergo immerso nella penombra, esce all’aria infuocata, alla luce accecante del terrazzo. Si porta alla balaustra, lì rimane rigido e immobile, nella contemplazione di quel nero mare, di quel mondo folgorato, di quella distesa ferrosa e sonante come l’isola dei morti della leopardiana Bratacomiomachia: “D’un metallo immortal massiccio e grave/ … / nero assai più che per versate lave / non par da presso la montagna etnea”. Contempla, Pound, quel caos primordiale, quel paesaggio di rovine naturali che sono l’immagine delle sue rovine interne, del suo scacco storico ed esistenziale. Lì, sulle pendici del vulcano, nella desolazione dell’immenso Etna, è uguale in quel momento, “il miglior fabbro”, il poeta ambizioso, velleitario, uguale almeno nell’orgoglioso isolamento e nella solitudine, a quel fuggitivo da Agrigento, al poeta che si consumò nel fuoco del cratere, a quell’Empedocle di Hölderlin a cui “nell’ora lieta e sacra della morte / gli dèi sono apparsi senza velo”.
In quegli stessi giorni di settembre, sulle falde dell’Etna, un altro poeta, e cineasta, Pasolini, girava scene d’un film: in un luogo d’estremità ed aridità, un giovane imbarbarito dopo la cancellazione d’una storia, la distruzione d’una civiltà, un estraneo a ogni consorzio umano e a ogni pietà, uccideva l’incauto viandante e ne divorava le carni: una metafora e insieme la premonizione di un’altra landa estrema, desolata, una periferia vaga dove il poeta sarebbe stato assassinato, ridotto, sotto il peso d’un moderno, metallico feticcio, a una poltiglia insanguinata.
L’Etna innevato e fumante, sorgente dalla distesa azzurra delle acque, sullo sfondo dell’impareggiabile scenario dell’antico teatro di Taormina, è apparso, così remoto e innocuo, un dio possente ma benevolo, idilliaco. Il Bembo paragona le basse e fertili plaghe del vulcano all’omerica Feacia: “Lì svariate specie di alberi, buone per dare sia ombra che frutto, in questo tanto superiore a tutti gli altri alberi, che a me par veramente s’addica a questo luogo ciò che Omero immaginò dei giardini di Alcinoo…”
Ma in alto, sul vulcano, prossimi al suo orrido aspetto e alla minaccia del suo fuoco, diversi sono stati i sentimenti dei poeti. Davanti a tanta violenza e spaurente nudità, privati d’ogni schermo e illusione, vicini alla scaturigine del magma, sulla sponda del fiume incandescente, nella visione del caos dell’inizio e dell’esito finale, dell’indomabile, perenne cataclisma universale, il poeta si smarrisce e geme. Come gli alberi che, raggiunti dalla lenta e inesorabile colata incandescente, si torcono e lamentano prima d’incendiarsi e di ridursi in cenere.
Inedito 1968 Zafferana Etnea
Premio Brancati anno 1968 nella foto si riconoscono gli scrittori Dacia Maraini, Pier Paolo Pasolini, Leonardo Sciascia e Alberto Moravia, Vincenzo Consolo .
il Premio Brancati è stata una delle manifestazioni più importanti nel panorama letterario italiano.
Fu istituito nel 1967 ad opera del Dott. Alfio Coco, sindaco di Zafferana Etnea per oltre 15 anni .
Nel corso degli anni numerosi scrittori sono stati premiati ed hanno partecipato alla rassegna : Elsa Morante , Maria Luisa Spaziani , Ezra Pound , Cesare Zavattini , Ercole Patti, Lucio Piccolo di Calanovela , Jorge Amado, Giuseppe Bonaviri, Maria Occhipinti, Leonardo Sciascia e Vincenzo Consolo.