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Il posizionamento di Consolo: per un’etica dell’iperletterario

Daniel Raffini
In una recensione del 5 maggio 1985 pubblicata su «Il Messaggero» alla favola teatrale Lunaria di Vincenzo Consolo il poeta Giovanni Raboni scriveva:
Ciò che il testo, nella realtà delle sue risultanze espressive, lascia affiorare, è piuttosto un’iperletterarietà elusiva, elegante e malinconica, una stravaganza capace di conciliare liricità ed erudizione, un’ossessione verbale alleviata da una sorta di pietas ironico-illuministica1
1 G. Raboni, E nevicò con cocci lucenti di luna, «Il Messaggero», 5 maggio 1985, p. 5. .
Nel giro di una frase Raboni riesce a condensare alcune delle caratteristiche salienti della scrittura consoliana. Per iperletterarietà in questo contesto si intende una scrittura che si configura come spiccatamente letteraria. Tale risultato è raggiunto da Consolo principalmente attraverso due vie: da una parte una scelta linguistica caratterizzata dal plurilinguismo, volta al recupero della ricchezza della lingua a livello geografico, temporale e diastratico; dall’altra c’è l’ipertestualità, definita da Gérard Genette come «ogni relazione che unisca un testo B (che chiamerò ipertesto) a un testo anteriore A (che chiamerò, naturalmente, ipotesto)»2
2 G. Genette, Palinsesti. La letteratura di secondo grado, Einaudi, Torino,
1997, pp. 7-8. . Nelle sue pagine Consolo riesce a incastonare tutta, o quasi, la tradizione letteraria: vi ritracciamo Omero, Dante, Eliot, Leopardi, Manzoni – l’elenco sarebbe davvero lungo. La pagina di Consolo è un distillato di letteratura: lo scrittore seleziona dalle pagine degli altri scrittori e dalla storia linguistica ciò che gli sembra utile o degno di essere salvato e lo 4 passa attraverso un filtro che ci restituisce una scrittura pura, che a tratti si fa eterea, nella sua smania di nominare le cose e nella sua difficoltà di farlo.
I tre aggettivi scelti da Raboni per definire l’iperletterarietà consoliana appaiono quanto mai esatti: essa è elusiva, i rimandi alla tradizione infatti si inseriscono all’interno di un contesto in cui i riferimenti si confondono, si amalgamano con la scrittura, diventano allusione, tonalità di un racconto; è elegante, perché spesso sceglie i registri alti della comunicazione e anche quando vira verso quelli più bassi (come il dialetto o il gergo), riesce a conferirgli un’aura di particolare ricercatezza; infine, l’iperletterarietà di Consolo è malinconica, perché fa riferimento a qualcosa di perduto, che sia il distacco dalla terra natale, la fine del mondo contadino, il livellamento operato dalla lingua dei media.
La letteratura di Consolo è una letteratura dal limite, ci regala lo sguardo sulla cosa un secondo prima che essa decada nel non essere. È proprio questa malinconia ciò che collega l’iperletterarietà all’altro elemento centrale, e apparentemente discordante, della scrittura di Vincenzo Consolo: l’etica, la compromissione costante della scrittura con il contemporaneo e dunque l’impegno. Consolo affida ai suoi romanzi una funzione “metaforica”: parlare della storia per parlare del presente. In realtà c’è più di questo: attraverso il racconto degli eventi del passato Consolo scandaglia i mali imperituri della storia, la sopraffazione dell’uomo sull’uomo, il dolore e la tentazione dell’annientamento. «La storia è sempre uguale»3
3 V. Consolo, Lo spasimo di Palermo, Mondadori, Milano, 2013, p. 5. ,
scrive Consolo nella prima pagina de Lo spasimo di Palermo, romanzo che fin dal titolo ci fa percepire lo strazio e che in epigrafe riporta significativamente una battuta di Prometeo dal Prometeo incatenato di Eschilo: «Il racconto è dolore, ma anche il silenzio è dolore». La letteratura di Consolo si fa carico di questo dolore, decide di rompere la barriera del silenzio per cercare una via di comunicazione che interrompa il male.
In un’intervista rilasciata a Irene Romera Pintor, Vincenzo Consolo ha parlato in questi termini delle ragioni profonde delle sue scelte narrative:
Credo di avere un progetto letterario che perseguo da parecchi anni. Consiste nel cercare di raccontare quelli che sono i momenti critici della nostra storia: momenti critici in cui c’è stato uno scacco, una sconfitta, un’offesa dell’uomo.4
4 V. Consolo, Autobiografia della lingua. Conversazione con Irene Romera Pintor, Ogni uomo è tutti gli uomini, Bologna, 2016, p. 13.
In un’altra intervista, Consolo lega tale scelta al conferimento di una funzione alta ed etica alla letteratura:
Io credo che la letteratura debba […] imporsi appunto come contro-storia, come qualcosa di diverso rispetto alla cronaca ufficiale. In ogni epoca sono sempre esistite e continueranno ad esistere, oggi più che mai, le zone anonime della marginalità, le sacche di maggior dolore, umiliazione e sfruttamento (isolate ed estranee al flusso principale della storia). Supremo compito della letteratura è proprio quello di rappresentare e dar voce a questo perenne ghetto di esistenze.
In questa propensione verso gli offesi e gli sconfitti c’è la valenza etica della scrittura consoliana. Ancora nell’intervista rilasciata a Irene Romera Pintor, parlando del suo sguardo sul Risorgimento siciliano espresso nel romanzo Il sorriso dell’ignoto marinaio, Consolo affermava di aver narrato «con gli occhi degli emarginati, dei contadini, autori di una rivolta popolare e di una strage, e poi condannati e fucilati» (p. 13). Il sorriso dell’ignoto marinaio racconta, tra le altre cose, la rivolta contadina di Alcara Li Fusi, terminata tragicamente con l’uccisione dei ricchi del paese e con una serie di altri crimini, che saranno poi condannati all’arrivo delle truppe garibaldine. Da questa scelta notiamo come lo sguardo di Consolo sia più complesso di quanto potrebbe sembrare: non è una difesa delle vittime, ma una condanna della storia, in cui meccanismi millenari di sopraffazione determinano un circolo vizioso di violenza e dolore. In una delle pagine finali del romanzo, il barone Mandralisca si fa portatore di quello che possiamo considerare il pensiero dell’autore: «E cos’è stata la Storia sin qui, egregio amico? una scrittura continua di privilegiati»6
6 V. Consolo, Il sorriso dell’ignoto marinaio, Milano, Mondadori, 1987, p. 88. .
La scrittura di Consolo, allora, cerca di ridare voce a chi ne è stato privato. Il codice linguistico pare però inappropriato a questa restituzione, perché costruito dagli oppressori a loro uso e vantaggio. La
5 riflessione è ancora veicolata dal personaggio di Mandralisca: «Ed è impostura sempre la scrittura di noi cosiddetti illuminati, maggiore forse di quella degli ottusi e oscurati da’ privilegi loro e passion di casta»7 7 Ibidem. .
Si nota insomma come la questione della lingua non sia per Consolo un fatto neutro; ma viene comunque da chiedersi come si concili la scelta di una lingua iperletteraria con l’impegno professato dallo scrittore. A spiegarcelo è Consolo stesso, nell’intervista a Irene Romera Pintor (pp. 8-11). La scelta linguistica di Consolo pare connotata storicamente, è il risultato dell’epoca: scrittori come Sciascia, Moravia e Calvino – appartenenti a una generazione precedente, quella che aveva vissuto direttamente il fascismo e la guerra – scelgono «uno stile di tipo razionalistico, di assoluta comunicazione […] uno stile alla maniera illuministica di stile francese». Consolo si colloca cronologicamente e idealmente dopo di loro, quando «la speranza nei confronti di una nuova società che si sarebbe dovuta formare, di un nuovo assetto politico e di un maggiore equilibrio sociale, […] era caduta» a causa dell’instaurarsi «di un potere politico che replicava esattamente quello che era crollato». La scelta stilistica di Consolo, dunque, non è più «nel segno della speranza», ma è «nel segno dell’opposizione» e rappresenta «la rottura con il comune codice linguistico, con l’adozione di un altro codice che rappresentasse anche le periferie della società». Le motivazioni della scelta linguistica di Consolo non sono «solo di tipo estetico», ma anche «di tipo etico e politico». «Il grande deposito linguistico» lasciato in Sicilia dallo stratificarsi di popoli diversi è così diventato il primo repertorio della scrittura di Consolo, uno stile di opposizione, contro l’appiattimento della lingua della comunicazione, che rappresentava un importante ingranaggio di quella macchina di integrazione e asservimento che negli stessi anni Pasolini andava descrivendo, con concetti e parole assai simili a quelli consoliani. La consonanza con Pasolini si nota, d’altronde, anche nell’insistenza sul concetto di mutazione antropologica, sul racconto della fine del mondo contadino sopraffatto dalla nuova realtà industriale, che è una delle fonti di quella malinconia che pervade la scrittura consoliana. La perdita delle radici, la cancellazione del passato, che sia storico o linguistico, è ciò che angoscia maggiormente Consolo. Se il mutamento non si può fermare, tuttavia ci si deve sforzare per conservare la memoria di ciò che era prima:

Credo che sia proprio questo il dovere della letteratura, il dovere della memoria. Non perdere il contatto con le nostre matrici linguistiche, che erano anche matrici etiche, matrici culturali profonde. Perdere questo contatto significa perdere identità e perdere anche la funzione della letteratura stessa, perché la letteratura è memoria e soprattutto memoria linguistica. (Autobiografia della lingua, p. 12)
La trasmissione della memoria, fine ultimo della scrittura, che in essa trova il suo valore etico, non vuol dire per Consolo solamente raccontare i fatti del passato, ma vuol dire anche inglobare all’interno dell’opera la tradizione linguistica e letteraria, in protesta contro il livellamento della lingua italiana sul linguaggio dei media e la perdita dei valori che l’arte ha saputo esprimere nel corso dei secoli. Per questo possiamo affermare che l’iperletterarietà in Consolo è prima di tutto una missione etica, uno strumento per incidere sul presente, una voce di protesta. Consolo è insomma uno di coloro che meglio hanno saputo inserirsi nell’etichetta di “scrittore impegnato”, riuscendo a rendere pienamente onore a entrambi i termini del sintagma. 6
Giugno 2022 Editora Comunità Rio de Janeiro – Brasil
“UN ECCEZIONALE BAEDEKER. LA RAPPRESENTAZIONE DEGLI SPAZI NELL’OPERA DI VINCENZO CONSOLO” DI ADA BELLANOVA,
Recensione di Daniel Raffini
Negli ultimi quarant’anni si è assistito da parte di molti scrittori – e in conseguenza anche nella critica e nella teoria letteraria – a un aumento di interesse verso la componente spaziale della narrazione: è quello che, in ambito non solo letterario, è stato definito come spatial turn. A partire dagli anni Ottanta gli scrittori si sono dedicati maggiormente alla rappresentazione dei luoghi, in risposta all’omologazione portata dalla mutazione antropologica e alla perdita di uno sguardo partecipato sui luoghi che si è avuta con l’avvento del turismo di massa. L’altra grande tendenza delle scritture degli ultimi quarant’anni è l’irruzione forte della componente memoriale. Entrambe le tendenze sono rappresentate, seppur con vari elementi originali, nell’opera di Vincenzo Consolo, su cui Ada Bellanova presenta un nuovo studio con il suo libro Un eccezionale Baedeker. La rappresentazione degli spazi nell’opera di Vincenzo Consolo (Mimesis 2021).
In tema di componente personale e memoriale, pare interessante che Bellanova inserisca in apertura del libro un ricordo personale. L’esperienza della lettrice – e critica – si sovrappone a quella dello scrittore. Nelle primissime pagine Bellanova rimanda al ricordo del suo primo viaggio a Palermo e alla ricerca nello spazio reale dello spazio narrativo, il racconto di Palermo che fa Consolo in Retablo. La riflessione si sposta subito verso un nodo centrale della poetica consoliana, in cui la narrazione diventa il «pretesto per riflettere sui meccanismi della giustizia, umana e disumana» e spinge a «fare considerazioni anche sulla contemporaneità» (p. 11). È, d’altronde, questo il meccanismo stesso che innesca la narrativa di Consolo, attraverso la nozione da lui stesso suggerita di romanzo storico-metaforico, in cui la storia di un determinato tempo – e la storia di ogni tempo – riflette la realtà contemporanea allo scrittore, il momento della narrazione è immagine del momento della scrittura, fa riflettere su quello che avviene intorno, sui corsi e ricorsi della storia, sui meccanismi distorti della narrazione stessa e, in ultima istanza, sulla dicibilità del reale. Il libro di Bellanova parte da una suggestione personale fortemente significativa perché riflette la stessa suggestione personale che genera la scrittura consoliana.
Emerge fin da subito l’idea dello scrittore come cartografo, che esplora territori sconosciuti per farli entrare successivamente all’interno del circolo della conoscenza attraverso lo strumento della mappa. La scrittura di Consolo si presenta come «un’indagine dello spazio mossa da ansia conoscitiva» (p. 15). La vocazione all’esplorazione geografica è viva in Consolo fin da ragazzo e lo spinge a esplorare la Sicilia, che poi sarà luogo della sua narrazione. Bellanova rende manifesto il legame tra l’esperienza personale e l’insistenza sui luoghi: «Da tratto autobiografico la cifra del movimento a scandagliare gli spazi diventa meccanismo narrativo ricorrente e si trasforma in tendenza a cartografare» (p. 16). Allo stesso tempo, dietro la narrazione dei luoghi c’è una forte componente di studio, una documentazione minuziosa su testi e opere spesso dimenticate, che emerge anche dal confronto con l’archivio dello scrittore. Bellanova fa notare come in Consolo i luoghi reali vengano rielaborati in chiave letteraria, pur mantenendo il loro realismo. L’atmosfera onirica di molte narrazioni consoliane – si pensi a Retablo, Lunaria, Nottetempo, casa per casa – viene in molti casi ri-fattualizzata attraverso l’utilizzo dei luoghi. Nella rappresentazione dei luoghi della Sicilia emerge a più riprese il contrasto «tra la Sicilia del passato, contadina, […] e quella della rovina, del miracolo economico» (p. 22), il divario tra un passato scomparso e un presente che tende a livellare le differenze e le peculiarità, in un continuum spaziale, linguistico, culturale, economico, politico, contro il quale lo scrittore si scaglia e a cui cerca – con gli strumenti che ha a disposizione – di opporsi con un’azione estrema e disperata di salvataggio.
Nel capitolo introduttivo, Bellanova ripercorre le principali opere di Consolo e sottolinea in esse la capacità di rappresentare i luoghi, tra reale e irreale. La prima sezione – Strumenti per percorrere i luoghi – si apre, invece, con l’inquadramento metodologico, quanto mai necessario per la materia trattata. La studiosa si serve efficacemente di «approcci critici figli dello spatial turn incentrati su un proficuo incontro tra studio geografico e sguardo letterario e che mettono in gioco anche il rapporto tra reale e finzione» (pp. 33-34). La prospettiva geocritica mette l’autore al centro di un sistema che unisce una molteplicità di livelli cronologici e punti di vista che costituiscono lo spazio di riferimento. La visione stratificata della geocritica fa del luogo un palinsesto, del quale il singolo autore – in questo caso Consolo – rappresenta solo un punto all’interno di un particolare livello. La geopoetica, invece, si concentra sulla capacità di un autore di elaborare uno spazio e renderlo linguisticamente; e la geotematica analizza le funzioni di un tema geografico sia all’interno dell’opera dell’autore che in relazione con altre opere. Infine, l’ecocritica propone un approccio etico attento alle questioni ambientali e sociali. Tutte queste “categorie” vengono utilizzate e messe proficuamente in dialogo da Bellanova nella sua analisi della componente spaziale nell’opera di Consolo.
All’intertestualità tipica della scrittura consoliana, che lo rende secondo la definizione di Daragh O’Connell uno scrittore “palincestuoso”, si aggiunge secondo Bellanova «l’intertestualità insita nel luoghi rappresentati» (p. 40): in Sicilia «innumerevoli sono infatti gli schemi e gli sguardi che si sono saldati all’identità del luogo reale» (p. 41). In questo contesto si inserisce la visione dell’autore «che sceglie cosa appresentare e come rappresentare […] nella fitta foresta di sollecitazioni letterarie già integrate nella natura della geografia reale» (ibidem). Ma di cosa si compongono gli spazi palincestuosi di Consolo? Bellanova mostra con vari esempi che essi derivano dalla letteratura, dalle arti, dalle esperienze personali, dalle suggestioni sensoriali, dalla storia (spesso la microstoria), dalle attività umane, dalle diverse lingue. Queste “categorie” sono studiate da Bellanova singolarmente, in relazione all’opera di Consolo, nella prima parte del suo studio.
La seconda parte – Un percorso tra luoghi simbolo – assume una prospettiva diversa. Qui l’autrice decide si compiere un attraversamento dei singoli luoghi raccontati da Consolo: la natìa Sant’Agata; Cefalù, cerniera tra due Sicilie; la Palermo degli splendori e della decadenza; Siracusa, disfatta dall’irruzione della modernità; le rovine antiche della Sicilia e infine Milano, luogo della migrazione.
Il discorso approda necessariamente nella terza parte, dedicata alle Ecologie consoliane, a una riflessione sul senso della narrazione degli spazi in Consolo, il cui fine ultimo è sempre un’etica rivolta al presente. Consolo mostra come la mutazione antropologica, figlia del boom economico, abbia decretato la fine di un millenario mondo contadino, con le sue tradizioni e i suoi luoghi, costringendo alla migrazione molti siciliani. In questa armonia perduta si insinuano alcuni fulcri di resistenza, analizzati da Bellanova. Oltre a questo resoconto della distruzione, Bellanova individua nell’opera consoliana anche le radici per una ripresa dopo il disastro, che deve partire in primo luogo da una ricostruzione culturale, della memoria, che si impegni per «evitare il rischio di generare un non-luogo, prestando particolare attenzione alle implicazioni antropologiche, identitarie, relazionali, storiche: si deve evitare che la cultura del ricostruire surclassi quella del riabitare» (p. 265).
L’ultima parte del libro fa riferimento al Mediterraneo e si inserisce efficacemente all’interno di un filone di studi molto fecondo oggi per le analisi delle rappresentazioni spaziali. Consolo risulta un autore particolarmente idoneo a essere inserito nel contesto degli studi mediterranei, come è emerso – per citare solo il contributo più recente – in occasione del Convegno “Questo luogo d’incrocio d’ogni vento e assalto”. Vincenzo Consolo e la cultura del Mediterraneo, fra conflitto e integrazione, tenutosi presso l’Università degli Studi di Milano nel 2019 e i cui atti sono stati pubblicati di recente a cura di Gianni Turchetta (Mimesis 2021). Particolarmente interessante l’analisi che Bellanova fa dello spazio mediterraneo narrato da Consolo come luogo ricco di scambi e interazioni ma anche, soprattutto in tempi recenti, come spazio di migrazioni forzate e di violenza. Ne emerge, ancora una volta, il valore etico della narrazione consoliana.
In ultima analisi, il lavoro di Bellanova ha il merito di saper condensare intorno al nucleo della spazialità tutti gli aspetti salienti della poetica di Vincenzo Consolo, restituendo un’immagine a tutto tondo dello scrittore. Se spesso la critica consoliana ha individuato nella storia il fulcro intorno al quale ricostruire in maniera unitaria la poetica dell’autore, questo studio dimostra, invece, come la prospettiva spaziale, anche grazie alle recenti acquisizioni teoriche, possa rivelarsi ancora più inclusiva ed esaustiva di quella temporale (che vi risulta inglobata) come categoria interpretativa centrale dell’opera di questo scrittore.
(fasc. 43, 25 febbraio 2022)
foto di copertina di Giuseppe Leone
“Con lo scrivere si puo’ forse cambiare il mondo”. Studi per Vincenzo Consolo
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Vincenzo Consolo (Sant’Agata di Militello, 1933 – Milano, 2012) è uno dei grandi classici del secondo Novecento; la sua opera è ormai tradotta in molte lingue.
Questo volume vuole rendere omaggio alla sua originalissima figura di scrittore e di intellettuale e propone, accanto a studi di critici “consoliani” di lungo corso, nuove prospettive di lettura di giovani ricercatori.
Il libro presenta anche alcuni materiali inediti: un’intervista all’autore, una nota esplicativa sul suo archivio di recente apertura e due fotografie in bianco e nero.
Anna Fabretti
ReCHERches n° 21/2018
«Con lo scrivere si può forse cambiare il mondo». Studi per Vincenzo Consolo
Avec Anna Frabetti, Laura Toppan, Marine Aubry-Morici, Lise Bossi, Michele Carini, Giulia Falistocco, Cinzia Gallo, Nicola Izzo, Rosina Martucci, Daragh O’Connell, Caterina Pilenga Consolo, Daniel Raffini, Giuseppe Traina, Gianni Turchetta
Édité par Anna Frabetti, Laura Toppan
Photographies de Giovanna Borgese
Dettagli:
Caterina Pilenga Consolo, « Breve nota sull’Archivio Consolo » ;
Anna Frabetti, « Conversazione con Vincenzo Consolo » ;
Anna Frabetti e Laura Toppan, « Introduzione »;
Gianni Turchetta, « Soggettività e iterazione nel romanzo storico-metaforico di Vincenzo Consolo » ;
Daragh O’Connell, « Il punto scritto: genesi e scrittura ne Il sorriso dell’ignoto marinaio » ;
Giulia Falistocco, « La scrittura come fuga dal carcere della Storia. Il sorriso dell’ignoto marinaio » ;
Lise Bossi, « Vincenzo Consolo, dal sorriso allo spasimo: l’impossibile romanzo » ;
Giuseppe Traina, « L’ulissismo intellettuale in Vincenzo Consolo » ;
Nicola Izzo, « Nello scriptorium barocco di Vincenzo Consolo: riprese e ribaltamenti letterari in Retablo;
Daniel Raffini, « La mia isola è Las Vegas: laboratorio e testamento letterario » ;
Marine Aubry-Morici, « Écrivains de l’histoire, écrivains du mythe : la géographie littéraire de Vincenzo Consolo » ;
Michele Carini, «E questa storia che m’intestardo a scrivere» Sull’istanza narrativa nell’opera di Vincenzo Consolo » ;
Cinzia Gallo, « Vincenzo Consolo lettore di Pirandello » ;
Laura Toppan, « Vincenzo Consolo e Andrea Zanzotto: un «archeologo della lingua» e un «botanico di grammatiche» » ;
Rosina Martucci, « Vincenzo Consolo e Giose Rimanelli: quadri di letteratura comparata fra viaggio, emigrazione ed esilio ».
Vincenzo Consolo (Sant’Agata Di Militello,18 febbraio 1933 – Milano 21 gennaio 2012)