“E la fantasia più fantastica di tutte si trova dispiegata in quel catoio profondo, ipogeo sènia, imbuto torto, solfara a giravolta, che fa quasi da specchio, da faccia arrovesciata del corpo principale del castello sotto cui si spiega, il carcere: immensa chiocciola con la bocca in alto e l’apice in fondo, nel bujo e putridume”.
da Vincenzo Consolo, “Il sorriso dell’Ignoto marinaio”, Torino, Einaudi, 1976
Così scriveva Vincenzo Consolo nel romanzo che lo consacra al canone del Novecento italiano. La planimetria del mondo in cui si muove il suo protagonista, il barone Mandralisca, è un attorcigliarsi, un involversi, un contorcersi e firriarsi di tempi e luoghi, della stessa volontà del protagonista, che smanierebbe di rinchiudersi nel suo studio a catalogare conchiglie. Conchiglie, labirinti, la Storia e la storia come guazzabuglio incomprensibile, sporco e violento, rispetto al quale verrebbe voglia di arretrare, scappare, nascondersi, rifugiarsi tra “vasi di Cina blu e oro, potiches verdi e bianche, turchesi e rosa della Cocincina”. Tra le buone cose di pessimo gusto, tra le belle cose frivole e rassicuranti che proteggono dal frastuono della Storia e della storia. E invece no, Vincenzo Consolo il suo intellettuale lo vuole immerso nelle cose del mondo, attenta e vigile sentinella, costantemente impegnato a combattere, prima di tutto dentro di sé, la tentazione di accomodarsi tra le buone cose di pessimo gusto. Ce n’è bisogno, Maestro, di sentinelle vigili.
Buon compleanno. 18 febbraio 1933 Sant’Agata Di Militello
In copertina: Leonardo Sciascia con Vincenzo Consolo a Racalmuto, contrada La Noce, 1984 – Foto di Giuseppe Leone (su licenza dell’autore)
Di Rosalba Galvagno
Con una lettera d’accompagnamento datata Sant’Agata Militello 6 dicembre 1963, Vincenzo Consolo inviava a
Leonardo Sciascia il suo primo romanzoLa ferita dell’aprile. Viene così inaugurata una corrispondenza che si chiuderà il 21 aprile 1988 con
una lunga lettera, sempre di Consolo, inviata questa volta all’amico Sciascia
da Milano. Con la sua prima missiva lo scrittore esordiente desidera sottoporre
alla lettura del «Conterraneo», il suo romanzo fresco di stampa: “Egregio signor Sciascia, mi permetto inviarle il mio libro La
ferita dell’aprile. Ho chiesto il Suo indirizzo alla redazione de L’Ora di
Palermo per compiere questo gesto che è dettato da due motivi: riconoscenza per
la parte che hanno avuto i Suoi libri nella mia formazione e desiderio d’essere
letto dal Conterraneo. Spero che questo primo contatto possa dare inizio a
futuri colloqui. La ringrazio intanto per l’attenzione che vorrà prestarmi e Le
porgo molti cordiali saluti.”
Sciascia reagisce a questa sollecitazione con tempestività, il 12 dicembre
1963, rispondendo con parole di stima nei confronti del
romanzo. Il grande scrittore di Racalmuto fa sapere al suo giovane
ammiratore di aver letto il testo con molta attenzione, in più chiede alcuni
«ragguagli», riguardanti specialmente la lingua utilizzata, con l’intenzione di
scriverne presto una recensione.
È così che, in breve tempo, si instaura un’autentica
e reciproca curiosità tra i due autori siciliani. Il più anziano,
nello stesso tempo in cui invita il più giovane a presentarsi ai premi
letterari di cui egli è giurato, non disdegna di apprezzarne il giudizio sulle
proprie opere, come ad esempio sul recente Morte dell’inquisitore,
un “libretto ora uscito (che è propriamente un libretto, ma mi è
costato molto lavoro)” (Caltanissetta, 18 marzo 1964). Consolo
si mostra sempre attento e sensibile ai suggerimenti dello scrittore
agrigentino e ricambia l’interesse capitale che quest’ultimo nutriva per il tema dell’Inquisizione e particolarmente per la
vicenda storica dell’Inquisizione in Sicilia. Lo stesso che gli fece scoprire e
notevolmente apprezzare un personaggio come il racalmutese Diego La Matina,
una “gigantesca figura” sulla quale Sciascia tornerà a
più riprese, specialmente dopo aver letto e riletto il romanzo di Luigi Natoli,
come scriverà in un bel saggio del 1967.
Sciascia, quindi, già all’inizio di questa frequentazione epistolare,
propone a Consolo di presentarsi al premio Soverato con La ferita dell’aprile, appena pubblicato nella collana
mondadoriana “Il Tornasole” diretta da Niccolò Gallo e Vittorio Sereni. Ma un
curioso destino escluderà il giovane scrittore dalla vittoria sia di questo che
di altri premi letterari cui l’amico scrittore, da giurato, lo invitava a
partecipare. Caduta l’iniziale barriera formale ben presto ̶ già a
partire dalle missive risalenti al 1964, i due corrispondenti abbandonano la
terza persona per la seconda ̶ , subentra in queste lettere una
confidenza diretta e spontanea, che non censura i problemi di salute o quelli
legati alla famiglia e soprattutto al proprio lavoro. Insomma, la
corrispondenza, in un primo momento prevalentemente letteraria, si fa anche
biografia del quotidiano, come quando ad esempio Sciascia accenna ripetutamente
all’acquisto e al pagamento di una certa quantità di olio, per sé e anche per
l’amico Emilio Greco, dal fratello di Consolo, o alla noia che lo opprime, o
ancora ai propri acciacchi fisici, o a certi obblighi familiari che si
intrecciano con quelli del lavoro.
Naturalmente non poteva mancare in questo carteggio la presenza di Lucio
Piccolo, che viene nominato per la prima volta da Sciascia in un post-scriptum
della lettera del 15 giugno1965: «Se vedi Lucio Piccolo, salutalo tanto da
parte mia». In un racconto che rievoca la prima lettera del nostro epistolario,
Consolo ricorda i due scrittori, «due archetipi per
me», proprio da lui fatti incontrare: «Leonardo Sciascia […] a cui avevo
mandato il libro con una lettera, mi rispose chiedendomi delucidazioni sulle
particolarità linguistiche della mia scrittura, e invitandomi insieme ad andare
a trovarlo a Caltanissetta, dove allora abitava. Così feci. E dopo, di tempo in
tempo, cominciai a frequentare, oltre Piccolo, anche Sciascia. Mi diceva
Piccolo, quando gli comunicavo che sarei andato a Caltanissetta, «Mi saluti il
caro Sciascia». E Sciascia, a sua volta, quando mi congedavo da lui, «Salutami
Piccolo». Così, alla fine, feci in modo di far incontrare il poeta e lo
scrittore, così antitetici, così lontani l’uno dall’altro: due archetipi per me, due cifre letterarie che ho
cercato, nella mia scrittura, di far conciliare. L’incontro avvenne una
domenica, la domenica in cui per la prima volta si celebrava nelle chiese la
messa in italiano. […]. Sciascia rimase affascinato dal personaggio e ne
scrisse dopo, in Carte segrete e ne la Corda pazza. Scrisse: “Tutto quello che Piccolo dice è
di un’acutezza che sempre, sia che giunga a verità semplici sia che attinga al
paradossale, sorprende e incanta. È uno che sottilmente conosce l’arte del
conversare; i giudizi, gli aneddoti, i calembours, gli
epigrammi, le citazioni scorrono nella sua conversazione con limpida e
incantevole fluidità”».
Oltre all’interesse letterario e storico per la Sicilia dei secoli XVII,
XVIII e XIX Consolo e Sciascia dichiarano anche di condividere l’amore per
Parigi, un mito incrollabile, com’è noto, per molti aristocratici e
intellettuali siciliani a partire già dal Settecento, e che scandisce a più
riprese, tra il 1976 e il 1988, questa corrispondenza. Sciascia
intitolerà Parigi un singolare saggio autobiografico
e storico-letterario al contempo, nel quale colpisce la scoperta di Parigi
fatta attraverso la Sicilia, come se Parigi gli avesse consentito di riscoprire
una certa immagine dell’isola.
Tra queste lettere sui «luoghi dell’anima», c’è anche quella in cui
Sciascia nomina La Noce, la contrada di campagna dove egli soleva trascorrere
le sue vacanze estive e amava ospitare gli amici, che è stata immortalata in
alcuni celebri scatti degli amici fotografi Ferdinando Scianna e Giuseppe
Leone.
Tra il fitto scambio di libri, di articoli e di recensioni, preme infine
segnalare il ripetuto riferimento di Sciascia alla bella, e oggi un po’
dimenticata, antologia dei Narratori di Sicilia,
nella quale, accanto ai testi dei più significativi scrittori siciliani, appare
il racconto di Consolo Per un po’ d’erba al limite del
feudo che Sciascia gli aveva caldamente richiesto.
Numerose altre curiosità letterarie e aneddoti biografici riserva
naturalmente la lettura integrale di questo prezioso carteggio, che condensa la
vita e il lavoro di poco meno di un trentennio di due fra i più grandi
scrittori del Novecento, offrendo uno spaccato singolare del contesto non
soltanto letterario ma più profondamente antropologico dei due corrispondenti,
un contesto da un lato fortemente radicato nell’arcaismo della cultura
siciliana, dall’altro incredibilmente aperto all’Europa (alla modernità). Ma
questo apparente, fecondo e affascinante contrasto costituisce, com’è noto,
l’originalissima cifra della grande letteratura siciliana classica.
Note Rosalba Galvagno ha insegnato Letterature comparate e Teoria della letteratura all’Università di Catania. Il testo per Ferraraitalia ripropone parzialmente l’Introduzione di Essere o no scrittore: Lettere 1963-1988. Libro di Leonardo Sciascia e Vincenzo Consolo , a cura di Rosalba Galvagno, Milano, Archinto, 2019
pubblicato il 16 febbraio 2021 sul quotidiano indipendente “FerraraItalia”