La solita tromba americana.

Prendendo tono e vigore dalla solita tromba americana, d’un risibile dandy da music hall, nel caso, nostrani cavalieri del vento o uragano dell’informazione (l’immagine è di Joyce, che nel settimo episodio dell’Ulisse, dal virtuale titolo di Eolo, ironizza sul vento che spira dall’Evening telegraph, dai giornali, su certe prose d’arte, false come fiori di cera o porcellana, di cui i giornali, per degnificarsi, sentono il bisogno d’adornarsi) hanno sentenziato che la narrativa non rappresenta più la realtà presente, ch’essa è agonizzante, è morta; che i veri scrittori d’oggi, on yes !, sono i giornalisti.

Ha spazzato, spazza l’uragano ogni possibilità di rappresentare “immediatamente” la realtà. Spazza finanche la realtà (non parliamo della verità) spacciando: per realtà quella fata morgana che ci restituisce la pagina stampata o lo schermo opalescente, facendo credere che l’unico vero linguaggio sia il fischio continuo e assordante della comunicazione: ha spazzato l’uragano memoria e poesia. Non siamo più, si sa, ai beati tempi di Balzac, e il blanchotiano spazio letterario è sempre più relegato in un altrove che lo scrittore si danna a ricercare.
Sa intanto, il tapino, io so, che siamo alla fine di una civiltà e di una cultura; che certe narrazioni sono ormai impossibili (Calvino – ricordo al bravo Volponi – aveva dimostrato questo già con Se una notte d’inverno… E il titanico progetto del pasoliniano Petrolio mi è sembrato il tentativo di fronteggiare letterariamente l’infinita estensione dei media); che l’unico racconto praticabile mi sembra quello storico-metaforico (non le consolatorie e consumistiche storie romanzate) ;che un modo per praticale ancora una letteratura non ipotecata dal potere è quello di risacralizzare il linguaggio, di restituirgli memoria, tono e modulazione di poesia: riaccostarlo, per renderlo irriducibile, al linguaggio liturgico dei

poemi.

Vincenzo Consolo
doveva essere pubblica su,
Il Messaggero – 15 gennaio 1993