La polivalenza della forma, del genere e del linguaggio testimoniano la volontà di resistere, tra l’altro, contro reificazioni di senso. La forma elicoidale delle lumache illustra in modo convincente il carattere indefinito delle potenzialità allegoriche nascoste nei testi consoliani. Nel romanzo Sorriso dell’ignoto marinaio questo segno è stato posto ad emblema della bellezza della natura, dell’enigma della storia e dell’oscurità umana60. Le contaminazioni “storiche” di Consolo sono stratificate a più livelli. Esattamente come il simbolo della chiocciola (o spirale degli eventi) che è il culmine del libro Il sorriso dell’ignoto marinaio61. La figura della chiocciola costituisce, come anche quella dell’“ignoto marinaio”, una specie di Leitmotiv; è la metafora dell’ingiustizia sociale dovuta alla distanza fra i privilegiati della classe colta (ai quali appartiene anche il barone Mandralisca che nelle sue ricerche scientifiche si occupa proprio di chiocciole)
59 R. Andò: Vincenzo Consolo…, p. 10. 60 Cfr. F. Di Legami: L’intellettuale al caffé. Incontri con testimoni e interpreti del nostro tempo. Interviste a Leonardo Sciascia, Vincenzo Consolo, Gesualdo Bufalino, Ignazio Buttita, dal programma radiofonico di Loredana Cacicia e Sergio Palumbo, prodotto e trasmesso da Rai Sicilia nel 1991. Palermo, Officine Grafiche Riunite, 2013, p. 53. 61 Cfr. A. Giuliani: Edonismo…
e la gente senza cultura e senza voce, e alla distanza fra la classe dei possidenti e quelli che, come i contadini d’Alcàra, si sono mossi “per una causa vera, concreta, corporale: la terra” (SIM, 93). Alla fine del testo Mandralisca s’immagina una nuova scrittura storiografica, una riscrittura che procede dal fondo della chiocciola: “conoscere com’è la storia che vorticando dal profondo viene” (SIM, 112). Sotto il segno della chiocciola si condensano più livelli: a chiocciola è l’architettura del carcere in cui si conclude il racconto, architettura che riproduce “il vorticare” della storia; a chiocciola ossia a spirale è la lettura delle scritte che ne tempestano le pareti. Ma il termine “chiocciola”, in cui si condensa tutta la passione di ricercatore del barone Mandralisca, la sua scienza, viene finalmente degradato a esprimere l’astrazione degli “ideali” di fronte alla spinta concreta della rivolta popolana: “una lumaca!”. Alla chiusa del romanzo la figura fisica, il simbolo, la struttura linguistica e narrativa, coincidono con un effetto intenso e felice; quanto basta per sigillare l’intelligenza e la validità di un libro 62. Anche i pensieri nel Sorriso dell’ignoto marinaio sono raffigurati in una inarrestabile scesa spiraliforme dal palazzo del barone Mandralisca e dalla buona società in cui si congiura contro i Borboni (primo e secondo capitolo) all’eremo di Santo Nicolò, fino ai villici e ai braccianti di Alcara Li Fusi (terzo e quinto capitolo); le volute diventano gironi infernali con la strage dei borghesi perpetrata ad Alcàra (settimo capitolo). Questa discesa è anche linguistica: al sommo c’è il linguaggio vivido e barocco dei primi capitoli; negli inferi (nono e ultimo capitolo) le scritte compendiarie dei prigionieri, emerse dall’odio, dal rimorso, dalla nostalgia di libertà. Ulla Musarra-Schrøder scopre anche che il dialetto siciliano è sommariamente italianizzato; e quello gallo-romanzo di San Fratello, nella scritta XII, prende già movenze di canto. Ma questi due estremi linguistici e le realizzazioni intermedie non si sovrappongono a strati, bensì si alternano o si mescolano, sempre secondo uno schema elicoidale63. 62
Cfr. G. Gramigna: Un barocco… 63 Cfr. U. Musarra-Schrøder: I procedimenti di riscrittura nel romanzo contemporaneo italiano…, pp. 560—563. 112 Capitolo III:
L’idea della struttura per frammenti Secondo Sebastiano Addamo il simbolo della lumaca64 va analizzato nel modo in cui risulta più utile ai fini dell’interpretazione. Soggettivamente, cioè rispetto al personaggio maggiore del romanzo, il barone Enrico Pirajno de Mandralisca, la lumaca può rappresentare la classica attività dell’intellettuale tradizionale. Ma oggettivamente è ben altro, dato che il medesimo barone Pirajno paragona le lumache da un lato al carcere, che è un simbolo del potere, e, dall’altro, alla proprietà, che è il potere medesimo, e sotto tale aspetto la proprietà viene infatti definita come “la più grossa, mostruosa, divoratrice lumaca che sempre s’è aggirata strisciando per il mondo”65. Il sesto capitolo del romanzo è tutto attraversato dalla metafora della chiocciola, metafora plurima che designa successivamente i privilegi della cultura, l’ingiustizia del potere, e la proprietà come usurpazione 66. La metafora realizza una sorta di autocritica, dato che di chiocciole si occupa principalmente Mandralisca nelle sue ricerche scientifiche; diventa poi schema descrittivo, nel capitolo ottavo, quando si parla del carcere di Sant’Agata di Militello, in cui sono rinchiusi i colpevoli dell’eccidio di Alcàra. E proprio alla fine del capitolo, che è anche l’ultimo da attribuire ufficialmente al narratore (dato che il nono raccoglie senza commenti le scritte dei prigionieri) troviamo una sezione dei sotterranei a chiocciola nel castello, con un’ulteriore metafora: 64 Consolo ha attribuito il ruolo plurisignificante alla chiocciola nelle sue narrazioni, servendosi anche dei motivi della spirale o del labirinto. Senz’altro si può interpretare la presenza della chiocciola secondo la chiave proposta da Mircea Eliade sempre dove Consolo parla della fine, della morte, della devastazione o della metamorfosi: le civiltà antiche riconoscevano nelle lumache il simbolo del concepimento, della gravidanza e del parto. Similmente, i cinesi, associano i molluschi con la morte, e con i rituali funebri che dovrebbero garantire la forza e la resistenza dell’uomo nella sua futura vita cosmica.
Cfr. M. Eliade: Obrazy i symbole. Warszawa, Wydawnictwo KR, 1998, pp. 156—159. 65 S. Addamo: Linguaggio e barocco in Vincenzo Consolo. In: Idem: Oltre le figure. Palermo, Sellerio, 1989, pp. 121—125. 66
Il concetto di “fortezza — labirinto” prende avvio dalle teorie sviluppate sia da Kerényi che da Eliade e riguardanti il fenomeno della costruzione a chiocciola come archetipo biologico di origine e di percezione. Un’immagine ipnotizzante a forma di chiocciola Ma ora noi leggiamo questa chiocciola per doveroso compito, con amarezza e insieme con speranza, nel senso d’interpretare questi segni loquenti sopra il muro d’antica pena e quindi di riurto: conoscere com’è la storia che vorticando dal profondo viene; immaginare anche quella che si farà nell’avvenire. SIM, 139 Lo schema elicoidale della chiocciola può servire bene per analizzare il romanzo, come ci autorizza a fare Consolo, citando all’inizio di questo capitolo ottavo una frase di Filippo Buonanni, da Ricreatione dell’Occhio e della Mente nell’Osseruation’ delle Chiocciole (Roma, 1681)67: […] sempre più vi accorgerete, che Iddio, compreso sotto il vocabolo di Natura, in ogni suo lavoro Geometrizza, come dicean gli Antichi, onde possano con ugual fatica, e diletto nella semplice voluta d’una Chiocciola raffigurarsi i Pensieri. Alla metafora quindi dell’ironico sorriso, effigiato nel quadro di Antonello da Messina, si associa, opposta e complementare l’immagine della lumaca, emblema di un percorso oscuro in cui si trovano sofferenze e dolori non testimoniati. “V’è una inarrestabile discesa spiraliforme — ha scritto Segre — dal palazzo del barone Mandralisca e dalla buona società in cui i congiura contro i Borboni all’eremo di Santo Nicolò, alla combriccola di Santa Marecùma, sino ai villici e braccianti di Alcara Li Fusi; le volute diventano gironi infernali con la strage di borghesi perpetrata ad Alcara, e bolgia ancora più fonda quando nelle carceri sotterranee di Sant’Agata vengono racchiusi i colpevoli”68. Anche se presentato in modo molto dettagliato, questo luogo di isolamento rappresenta uno di tanti luoghi opachi, utopici e incantati. 67
Cfr. C. Segre: Intrecci di voci…, p. 81. 68 F. Di Legami: Vincenzo Consolo…, p. 26.
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Il tema dell’ingiustizia come violazione del tabù L’esigenza dell’impegno
„Scrittore isolato, e solitario, sciolto cioè da legami politici [quali crede] dovrebbero essere gli scrittori, liberi da impegni partitici, ma legati da impegni ideali, morali, storici”. Con queste parole Salvatore Mazzarella definisce l’atteggiamento ideologico di Consolo1 . Parlare dell’ingiustizia, della sofferenza e dell’umiltà nella cultura occidentale significa addentrarsi in una zona pericolosa. Di solito questi argomenti vengono sviluppati in un discorso dedicato alle radici cristiane della nostra civiltà e quando si espone la nozione di sofferenza in una dimensione universale. Il divieto, l’esteticità, l’inopportunità e la convenzione — tutti i concetti indicati appaiono quando si parla del tabù. Esso diventa una sempre più diffusa zona che interessa l’esperienza morale al pari di quella concettuale e da cui l’uomo di cultura si sente attratto e nello stesso tempo deluso. I critici e i lettori sono convinti che lo scrittore sia caratterizzato da “una profonda tensione etica che lo avvicina ai grandi moralisti del passato, tesi ed attenti al compito di descrivere l’uomo nella sua mutevole, e pure,
1 S. Mazzarella: Dell’olivo e dell’olivastro, ossia d’un viaggiatore. “Nuove Effemeridi” 1995, n. 29, p. 65. 38
eterna storia”2 .
E non basta dire che lo scrittore è propenso a fare del suo stile “un mezzo di intervento e di rivolta, ma anche di proposta umanistica” 3 . Per tale ragione, l’esortazione a non fargli mancare “l’impegno per la giustizia e il risalto netto della voce dei deboli” diventa l’elemento fermo della sua narrativa 4 . Nati spesso dalla suggestione delle letture, degli incontri e delle polemiche dell’attualità, i dilemmi che muovono la riflessione del narratore siciliano relativo alla distinzione tra lo scrivere e il narrare si avvicinano nella loro forma e contenuto all’esercizio scrittorio “capace di incidere sul reale in senso conoscitivo e trasformativo”5 , ideati nei turbini della realtà estranea e vergati su molteplici esperienze, fino a costruire una congerie omogenea e ordinata di sequenze. Dice Consolo: Dopo Hiroshima e Auschwitz, dopo Stalin e Sarajevo, dopo tutti gli orrori di oggi, quei mostri profetizzati da Kafka o da Musil, da Eliot, da Joyce o da Pirandello, sono diventati mostri della storia. Questi mostri credo che la letteratura, il romanzo abbia oggi l’obbligo di affrontare. Altrimenti è alienazione, fuga, colpevole assenza, se non complicità6 . Considerando la genesi della scrittura consoliana, è necessario sottolineare lo stretto legame che intercorre fra la complessità delle cose e le vibrazioni affettive e razionali che costituiscono il tratto distintivo della sua scelta di scrittura.
2 F. Di Legami: Vincenzo Consolo. La figura e l’opera. Marina di Patti, Pungitopo, 1990, p. 28. 3 Ibidem, p. 6. 4 Cfr. C. Ternullo: Vincenzo Consolo: dalla Ferita allo Spasimo. Catania, Prova d’Autore, 1998, p. 30. 5 F. Di Legami: Vincenzo Consolo…, p. 6. 6 V. Consolo: Fuga dall’Etna. La Sicilia e Milano, la memoria e la storia. Roma, Donzelli Editore, 1993, pp. 51—53. (Dalla nota dell’editore: l’intervista a Vincenzo Consolo raccolta in questo volume è stata effettuata il 25 giugno del 1993 a Roma. L’incontro era stato organizzato dall’Imes (Istituto meridionale di storia e scienza sociali), nall’ambito di una iniziativa intitolata “Percorsi di ricerca”, tesa a indagare l’interazione tra la vicenda umana e l’itinerario intellettuale di alcune figure particolarmente significative della cultura del nostro tempo).
L’esigenza dell’impegno. A ben vedere i tratti che segnano le opere consoliane sono caratterizzati da una propria articolazione della realtà attraverso una comunicazione più immediata e da una responsabilità etica e civile: la presenza di ciò che ha contraddistinto la maggior parte della sua esistenza. Non sarà un caso che all’interno dell’opera il pensiero sul ruolo della produzione letteraria si presenti con frequenza: accompagnato dal senso di una necessità naturale e spesso corretto da una speranza nella capacità della scrittura di mettere ordine e di “portare armonia là dove c’è caos e quindi impossibilità di comunicare”7 . Si pensi alla confessione dello scrittore stesso: “La mia ideologia o se volete la mia utopia consiste nell’oppormi al potere, qualsiasi potere, nel combattere con l’arma della scrittura, che è come la fionda di David, o meglio come la lancia di Don Chisciotte, le ingiustizie, le sopraffazioni, le violenze, i mali e gli orrori del nostro tempo”8 . Le allusioni a David e a Don Chisciotte mettono in rilievo la consapevolezza che la riflessione e la scrittura, e soprattutto una scrittura eticamente e politicamente impegnata, sono una missione. All’atteggiamento di una tale consapevolezza sono dedicate tutte le narrazioni consoliane. Secondo Vincenzo Consolo la narrativa dovrebbe esprimere una responsabilità civile e prendere posizione davanti agli avvenimenti. L’accostamento della scrittura e della responsabilità testimonia la sua personale forma di opposizione o di impulso verso qualcosa di migliore. Quello che conta nelle opere consoliane sono la verosimiglianza dell’osservazione morale, la consapevolezza ritradotta in disincanto e in frustrazione delle speranze, la ribellione, e infine, l’indagine. È possibile comprendere più a fondo le scelte espressive di Consolo confrontando il presente frammento: […] lo scrittore oggi ha il compito di dire, di narrare. Narrare oggettivamente in terza persona dei mostri, delle mostruosità che abbiamo creato, con cui, privi ormai di memoria, di rimorso, pri
7 L. Canali: Che schiaffo la furia civile di Consolo. “L’Unità” 1998, il 7 ottobre, pp. 1, 19. 8 V. Consolo: Fuga dall’Etna…, p. 70. 40
vi dell’assillo di raggiungere una meta, da alienati, felicemente conviviamo 9 . Per accrescere la forza espressiva della riflessione, Consolo aggiunge al generico e spoglio verbo “narrare” l’avverbio: “oggettivamente” che non solo mostra la direzione dell’accurato lavoro di chi scrive ma rivela la stretta connessione fra il messaggio e la responsabilità dell’esistenza altrui. La preoccupazione dell’avvenire, che interessa scarsamente l’uomo mentre gode dei piaceri mondani, è infatti sollecitata dall’acre percezione del dolore subito nel passato. Il frammento sopraccitato indica il coinvolgimento degli intellettuali nell’ordine etico, determinando gli accessibili modelli della presentazione. Molte volte viene sottolineato il fatto che quello che sconcerta il lettore è che non vi è stata giustizia in passato e non vi è nemmeno nel presente. Fortunatamente esiste ancora chi non si arrende. Il protagonista del capolavoro consoliano Il sorriso dell’ignoto marinaio, il barone Enrico Pirajno di Mandralisca dichiara la crisi irreversibile del suo ruolo di intellettuale organico alla classe dominante: la consapevolezza di una “Storia come scrittura continua di privilegiati” (SIM, 112), di un’impossibilità delle classi subalterne a far sentire la loro voce e il loro giudizio, si salda alla consapevolezza dei “vizi” e delle “storture” che gravano sui pensieri e sulle parole degli stessi aristocratici e borghesi “cosiddetti illuminati”, dell’oggettiva incapacità dei loro “codici” a “interpretare” i problemi delle masse oppresse10. Dunque l’attaccamento all’esperienza della giustizia deve affrontare continuamente il pensiero della frustrazione e con la temibile insidia della debolezza. Se il pensiero della sconfitta può essere solo attenuato dal grido e dal pianto, sempre pronto a svelare gli indegni comportamenti umani, il rimedio all’impotenza va cercato altrove. Si legga l’ampio pensiero di Giuseppe Amoroso: Nella prosa di Vincenzo Consolo, quello che appare e percuote e grida e geme è una presenza vera di lacrime e certezze e anche
9 Ibidem, p. 22. 10 Cfr. G.C. Ferretti: L’intelligenza e follia. “Rinascita” 1976, il 23 luglio. L’esigenza dell’impegno 41 un assiduo riprendere, del tempo, ciò che si è smarrito, non del tutto, non per sempre, portandosi dentro anche i gloriosi cascami della storia […], questa prosa mostra una solennità intangibile, pure dove si china sulle frange, sui refoli, sui margini, in cerca di colori e oggetti e riti di una volta11. Dopo aver constatato che l’espressività di questa prosa è dovuta all’argomento analizzato, Amoroso prosegue con la descrizione della scrittura consoliana marcata da una funzione inconfondibile. Il vuoto e l’insoddisfazione dovuti all’avanzare dell’ingiustizia si placano nella convinzione che “la letteratura, il romanzo abbia oggi l’obbligo di affrontare i mostri creati dai potenti. Altrimenti è alienazione, fuga, colpevole assenza, se non complicità”12. Tramite l’analisi presentata il critico vuole decisamente sottolineare l’atteggiamento spirituale piuttosto romantico dello scrittore e l’espressione dei pensieri come studiata e ripensata. Nell’insieme, la produzione consoliana, secondo Amoroso, ha una sua solida struttura, e fa presagire le future ampiezze di respiro lirico. I cinque romanzi sottoposti alla presente analisi sono stati scritti nell’arco di oltre trent’anni. La circostanza, ad avvalorare l’immagine di instancabile ribelle che Consolo ha lasciato di sé, non manca di presentare traccia nella varietà degli argomenti, e dei punti di vista che sono diventati i motivi costanti nella sua scrittura. Spesso si ha l’impressione che l’omogeneità della sua prosa risponda a un’intima esigenza di impegno etico, civile, ideologico e sperimentale. Queste considerazioni, se non illustrano organicamente la poetica della sua prosa, meritano di essere tenute in conto per comprendere, se non altro, i tempi adombrati dai fantasmi delle oppressioni descritte dallo scrittore siciliano. Con Nottetempo, casa per casa in Consolo subentra una rimeditazione, una sosta pensosa sui fatti, sui luoghi, la denuncia. Il testo si basa sulla deliberata ricerca del clima apocalittico, preannunciato dal titolo, e sul resoconto mai banale della pena più antica del tempo, della storia, dell’esistere. Come con
11 G. Amoroso: Il notaio della Via Lattea. Narrativa italiana 1996—1998. Caltanissetta—Roma, Salvatore Sciascia editore, 2000, pp. 464—467. 12 V. Consolo: Fuga dall’Etna…, pp. 51—53. 42
stata Antonio Grillo, abbiamo la forte affermazione della necessità di un impegno da parte degli scrittori13. E Consolo, parlando delle questioni di moralità, vuole sensibilizzare la percezione dei lettori. Silvio Perella, accortosi di tale valenza etica, aggiunge: “il fatto è che, giustamente, l’aspetto etico della sua letteratura sta molto a cuore a Consolo”14. Sa bene lo scrittore che la forza e l’incisività del suo messaggio stanno nell’immediatezza del comunicato espressa dalle narrazioni nei suoi frammenti più drammatici. Il che costituisce, se non una prova del rivolgere la sua attenzione alle sorti degli emarginati, certo una riflessione eloquente sul bisogno di narrare, di raccontare le vecchie e le nuove pene. E nella torre ora, dopo le urla, il pianto, anch’egli stanco, s’era chetato. Si mise in ginocchio a terra, appoggiò le braccia alla pietra bianca della macina riversa di quello ch’era stato un tempo un mulino a vento, e cercò di scrivere nel suo quaderno — ma intinge la penna nell’inchiostro secco, nel catrame del vetro, nei pori della lava, nei grumi dell’ossidiana, cosparge il foglio di polvere, di cenere, un soffio, e si rivela il nulla, l’assenza d’ogni segno, rivela l’impotenza, l’incapacità di dire, di raccontare la vita, il patimento. N, 53
La caratteristica principale di quest’articolazione non è la spontaneità peculiare piuttosto dei romantici, ma lo sforzo di trovare le parole più adatte. Grazie al potere di nominare i fenomeni, precedentemente impossibili da esprimere, acquistano l’esistenza, e in conseguenza la propria identità. La forma lirica invece assume una responsabilità che rende possibile l’esistenza di un soggetto e la cognizione di esso. L’anticlimax: “catrame — lava — ossidiana — polvere — cenere — nulla” sottolinea la vanità dello sforzo artistico nei confronti della prepotenza e del dolore che ostacolano il processo creativo. Vengono qui evidenziati, quindi, un appassionato attacco
13 Cfr. A. Grillo: Appunti su Odisseo e il suo viaggio nella cultura siciliana contemporanea: da Vittorini a Consolo e a Cattafi. In: Ulisse nel tempo. La metafora infinita. A cura di S. Nicosia. Venezia, Marsilio, 2000, pp. 593—597. 14 S. Perella: Tra etica e barocco. “L’Indice” 1992, maggio.
all’ingiustizia che assume valore universale, la contradditoria asistematicità di un ricerca esistenziale che non esita a dar voce anche alle pulsioni inconsce e persino alle più inconfessabili, confermata nell’elenco degli espedienti retorici che precedono direttamente l’espressione finale dell’impotenza di “raccontare la vita, il patimento”. Si potrebbe dire che la scrittura si ponga piuttosto come terreno di conflitto che come luogo della sua soluzione. L’esigenza di messaggio è indubitabile15. La caustica riflessione dello scrittore sigla l’amara ricognizione sulle cause della caduta delle forti e generose illusioni riguardanti le facoltà comunicative. Infatti, in una delle sue interviste Consolo dichiara: È necessario scrivere in una forma non più dialogante e comunicativa, ma spostarsi sempre più verso la parte poetica, perché la poesia è un monologo e quindi ti riduci nella parte del coro dove non puoi che lamentare la tragedia del mondo. Per questo la mia prosa è organizzata in senso ritmico, come se fossero dei versi16. Nottetempo, casa per casa è, in confronto al Sorriso dell’ignoto marinaio, più compatto, più chiuso in una sua forma ritmica, densa di significati e piuttosto ermetica. E continua: Ho voluto scrivere una tragedia — niente è più tragico della follia — con scene-capitoli, con intermezzi del coro, che sono le frequenti digressioni lirico-espressive in cui il narrante s’affaccia e commenta o fa eco in un tono più alto, più acceso. Perché questo compattare, perché l’eliminazione della scena del messaggero, dell’anghelos, del personaggio-autore che si rivolge agli spettatori-lettori e narra in termini non espressivi ma assolutamente comunicativi il fatto che è avvenuto altrove, in un altro tempo?
17 15 Cfr. L. Canali: Che schiaffo…, pp. 1, 19. 16 Intervista con Vincenzo Consolo. A cura di D. Marraffa e R. Corpaci. “Italialibri” 2001, www.italialibri.it (data di consultazione: il 28 dicembre 2006). 17 Ibidem.
Infatti, lo spunto questa volta è tragico; ma quell’antica ispirazione malinconica diventa antitetica, forse per reminiscenze classiche di simile allegoria a sfondo politico. E specialmente nella sua espressione contiene l’eco della giovinezza povera, triste, ma fiera e disperatamente fiduciosa. Sullo sfondo, per di più, è impossibile non intravedere la forza di questo progetto. La presa di posizione dello scrittore a favore della poesia potrebbe essere interpretata come un attacco a un preciso bersaglio critico. Se la scienza fornisce un’immagine del mondo in cui non c’è posto per le antiche credenze metafisiche, gli strumenti proposti attualmente si rivelano inutili, se non addirittura fuorvianti. L’obbligo di dare ragione Nati sul filo della conversazione del passato con il presente, i romanzi consoliani sono intessuti di quella curiosità intellettuale che si pone l’obiettivo di raccontare la realtà. Le narrazioni dello scrittore concorrono ad elaborare il comune problema delle vicende dell’uomo di cultura nel quadro della società odierna. Un compito arduo, tanto che molti scrittori di oggi assistono alla progressiva riduzione del proprio spazio in una società che vive accanto, al di fuori delle loro possibilità. Sembra concentrarsi all’efficacia di testimonianza e di verifica e alla partecipazione dell’individuo all’esistenza comunitaria. Secondo Grazia Cherchi “il narratore intellettuale del nostro tempo non ha altro scampo che la parodia”18, e l’autore è d’accordo con lei: lo scrivere in negativo, usare tutti gli abrasivi e corrosivi: l’ironia, il sarcasmo testimoniano il valore delle opere19. Consolo stesso ammette:
18 G. Cherchi: Mille e una notte. “L’Unità” 1987, il 11 novembre. 19
Come verrà verificato nelle analisi successive, Vincenzo Consolo valorizza la prospettiva intertestuale e la parodia come forma specifica di un dialogo tra i testi che è diventata una delle sue tecniche preferite a cui ricorre. Lo scrittore nella maggior parte dei casi realizza questo ‘dialogo’ intertestuale riprendendo la voce altrui e reinterpretandola antiteticamente rispetto al testo di origine.
Cfr. M. Billi: Dialogo testuale e dialettica culturale. La parodia nel romanzo
Costruendo storie che erano una parodia della realtà, ma di una penetrazione e di una tale restituzione della verità che riuscivano ad anticipare lo svolgimento della realtà stessa, ad essere profetiche. La stessa cosa fece Pasolini, fuori della finzione letteraria, della parodia, con i suoi interventi sui giornali, con la forza dei suoi j’accuse, delle sue provocazioni e delle sue requisitorie, dei suoi Scritti corsari. Non li rimpiangeremo mai abbastanza questi due scrittori civili italiani. Nel mio pendolarismo tra la Sicilia e Milano c’è, prima di tutto, la mia vicenda umana, la mia storia di vita, che poi forse diventa vicenda intellettuale e letteraria 20. Questa coscienza estetica e letteraria nell’ambito della quale l’autore cerca di delineare la funzione e il significato delle componenti della cosiddetta “poetica negativa”21 si inscrive nella specificità della letteratura moderna. I protagonisti dei romanzi consoliani rappresentano un catalogo di atteggiamenti diversi orientati verso la lotta contro l’ingiustizia: l’angustia di Gioacchino Martinez ha accanimenti feroci: trovare un senso, placare un malessere, imboccare una “cerchia confidente”22, invece la presa di coscienza del Mandralisca, in realtà, manifesta la sua interna fecondità e incidenza a un livello diverso e anche più profondo 23. Prende così corpo una vicenda romanzesca non organicamente distesa ma articolata in alcuni episodi emblematici, funzionali del protagonista: un aristocratico di provincia, sincero ma cauto patriota, innamorato dell’arte e dell’archeologia, dedito soprattutto agli studi di erudizione scientifica. Proprio a costui accade di trovarsi spettatore degli eccidi di Alcara Li Fusi; ed è appunto la sua vocazione umanistica a consentirgli di capire la giustizia profonda contemporaneo di lingua inglese. In:
Dialettiche della parodia. A cura di M. Bonafin. Alessandria, Edizioni dell’Orso, 1997, p. 213. 20 V. Consolo: La poesia e la storia. In: Gli spazi della diversità. Atti del Convegno Internazionale. Rinnovamento del codice narrativo in Italia dal 1945 al 1992. Leuven — Louvain-la-Neuve — Namur — Bruxelles, 3—8 maggio 1993. Vol. 2. A cura di S. Vanvolsem, F. Musarra, B. Van den Bossche. Roma, Bulzoni, 1995, pp. 583—586. 21 R. Nycz: Literatura jako trop rzeczywistości. Kraków, Universitas, 2001, p. 17. 22 G. Amoroso: Il notaio della Via Lattea…, pp. 464—467. 23 Cfr. G.C. Ferretti: L’intelligenza e follia…
che anima la rivolta contro una legge di oppressione 24. Degna di nota è, senza dubbio, l’attenzione alla dimensione simbolica dei contenuti narrativi riguardanti gli atteggiamenti dei protagonisti, aspetto che lo scrittore non trascura, data la sua conoscenza delle questioni letterarie non solo dell’età antica ma anche della moderna. Ma Consolo collega l’aspetto simbolico e reale del problema nella convinzione che la letteratura dovrebbe conoscere il mondo e dare ragione e nome ai disastri dei nostri tempi. E secondo Giulio Ferroni dovremmo essergli grati “di questi lumi che vengono a rischiarare il nostro tempo cupo e notturno, la nostra notte fantasmagorica e telematica”25. Anche nello studio del passato la curiosità ha un peso considerevole, tanto da costruire un originale canone. Secondo Andrea Zanzotto la narrazione in questo caso non è un soliloquio, è sempre un rivolgersi ai molti che sicuramente partecipano ad una passione; anzi è quasi una preghiera rivolta a non si sa chi o che cosa, mormorata e insistente, interrotta da pause legate ad un loro tempo musicale, e in essa pare si salvaguardi almeno l’unità dell’io, di ogni “io” minacciato dall’oscura follia che irrompe fin dal primo stralunante racconto 26. I romanzi consoliani danno degno compimento a un’attività vissuta all’insegna della convinzione basata sul senso di giustizia, confermando quanto fosse ancor viva e inappagata nel loro autore la naturale propensione a parlare al posto altrui, al posto degli oppressi perché estranei al mezzo linguistico usato negli strati acculturati, il quale, precisa Christophe Charle “non permette loro di esprimere le proprie ragioni, e nemmeno le proprie speranze e la propria disperazione”27. I romanzi di Consolo costituiscono una traversata dei luoghi dell’impostura e cioè delle istituzioni: chiesa, scuola, famiglia, amministrazioni della giustizia, partito. L’argomento ricorrente è quello di fare conti con le credenze imposte o che s’impongono.
24 Cfr. V. Spinazzola: Un discorso facile e difficile. “L’Unità” 1976, il 4 luglio. 25 G. Ferroni: La sconfitta della notte. “L’Unità” 1992, il 27 aprile. 26 Cfr. A. Zanzotto: Vincenzo Consolo: ‘Le pietre di Pantalica’. In: Scritti sulla letteratura. Aure e disincanti nel Novecento italiano. Vol. 2. A cura di G.M. Villalta. Milano, Oscar Mondadori, 2001, pp. 308—310. 27 Per le idee di Consolo sull’impegno letterario si veda la sua introduzione a C. Charle: Letteratura e potere. Palermo, Sellerio, 1979.
Scrittore — testimone — osservatore Scrittore — testimone — osservatore Senza dubbio gli scritti di Consolo continuano a evidenziare la tensione fra l’autore e il testo, a sottolinearla, a tal punto che, tutta l’opera sembra apparire come una metafora dell’impossibilità di padroneggiare in modo assoluto del proprio testo. Questa inquietudine percorre l’opera di Consolo e unifica i suoi aspetti tematici. Se si scorrono i romanzi consoliani non si tarda ad accorgersi dei frutti dolceamari dell’esplorazione di larga parte della storia italiana. Nello sguardo mobile, accorto, pungente che lo scrittore volge al mondo contemporaneo c’è un relativismo prospettico, non nuovo nel suo pensiero, ma nutrito nello scrittore siciliano di affabile cultura e sostenuto da esperienze vissute. Nelle narrazioni di Consolo le funzioni di scrittore e di interprete si sono trovate accomunate nella medesima situazione. Non ci sono più le garanzie che consentono un’indipendenza e un’autenticità alle funzioni indicate o se sia possibile il ritorno ad un loro ruolo spirituale e umanistico. La diretta esperienza dei variegati costumi umani aiuta a comprendere la labilità dei parametri di giudizio. Consolo ha sempre agito come una memoria attenta e sensibile del passato che viene accostato agli avvenimenti più recenti di cui egli è testimone e interprete. In Nottetempo, casa per casa Consolo stabilisce implicitamente un nesso tra l’Italia degli anni Venti e quella degli anni Settanta, così come nel Sorriso dell’ignoto marinaio tra il Risorgimento e gli anni Sessanta e nello Spasimo di Palermo tra gli anni Trenta e l’inizio degli anni Novanta, con le morti di Falcone e Borsellino. Rossend Arqués parla direttamente delle fasi storiche, tutte segnate da successive cadute della società isolana e continentale in un pozzo senza uscita e senza possibilità di riemersione 28. Ma è proprio la prospettiva questo fattore decisivo da cui si guarda alle opinioni degli uomini a mettere in crisi le false certezze. La testimonianza di Consolo ha un significato particolare se inserita nel
28 Cfr. R. Arqués: Teriomorfismo e malinconia. Una storia notturna della Sicilia: “Nottetempo, casa per casa” di Consolo. “Quaderns d’Italià” 2005, n. 10, p. 80. 48
coevo dibattito sull’identità della cultura moderna e l’importanza del contributo del passato. L’oggettività è per lo scrittore un’autentica misura dell’impegno, in letteratura come nelle belle arti, e discrimina la percezione fenomenica e i processi cognitivi sottolineando la dimensione “forte” della letteratura. Questa convinzione trova la sua conferma nella constatazione consoliana secondo la quale lo scrivere diventa un confronto con la materia viva e la materia morta. Lo scrittore non vuole esclusivamente accettare l’immagine convenzionale della realtà conservata nelle abitudini e nei rituali. Tale punto di vista determina l’obiettivo fondamentale che, secondo Consolo, si realizza solo nella scrittura come l’unica possibilità di testimonianza, di protesta, e persino di riscatto. L’artista, attraverso l’arte della parola, registra la realtà inafferrabile fino ai tempi odierni, mostrandone la forma e l’importanza. L’ibridazione dei generi e dei codici serve a moltiplicare i punti di vista. Uno sguardo nostalgico alla memoria dei linguaggi in via d’estinzione vuole sottolineare una relazione tra stabilità e movimento, tra parola e immagine, tra superficialità e profondità simbolica. Il segno distintivo di un vero artista è proprio la facoltà di cambiare la parola in un elemento più sostanziale, più tangibile. Dunque la scrittura per Consolo può assumere diverse funzioni, anche quella confortativa, come nel caso di Petro, protagonista del romanzo Nottetempo, casa per casa. “Uuuhhh…” ululò prostrato a terra “uuhh… uhm… um… umm… umm… umm…” e in quei suoni fondi, molli, desiderava perdersi, sciogliere la testa, il petto. Sentì come ogni volta di giungere a un limite, a una soglia estrema. Ove gli era dato ancora d’arrestarsi, ritornare indietro, di tenere vivo nella notte il lume, nella bufera. E s’aggrappò alle parole, ai nomi di cose vere, visibili, concrete. Scandì a voce alta: “Terra. Pietra. Sènia. Casa. Forno. Pane. Ulivo. Carrubo. Sommacco. Capra. Sale. Asino. Rocca. Tempio. Cisterna. Mura. Ficodindia. Pino. Palma. Castello. Cielo. Corvo. Gazza. Colomba. Fringuello. Nuvola. Sole. Arcobaleno…” scandì come a voler rinominare, ricreare il mondo. Ricominciare dal momento in cui nulla era accaduto, nulla perduto ancora, la vicenda si svolgea serena, sereno il tempo. N, 38—39
Scrittore — testimone — osservatore
Questo frammento parla del grido, o meglio dell’urlo della Sicilia dolente che soffre di un male antico, raccolto da sempre da Consolo, tenuto sempre dentro, prima fatto vedere, ora esploso irrimediabilmente, anche se momentaneamente stemperato, alla fine del frammento, da questo chiasmo “la vicenda si svolgea serena, sereno il tempo”29. L’espressione artistica che trova la realizzazione nella scrittura diventa nella narrativa consoliana la testimonianza di una realtà che non è più trasparente e che di conseguenza genera una sensazione di incertezza e di mancanza di stabilizzazione. Il conforto è sempre la scrittura: raccontare può essere cedimento, debolezza, mentre ritirarsi in se stesso e tacere forse più vale. È la parallela alla lontananza geografica che a Petro sembra essere necessaria per avere dentro sé la chiarezza del dolore, e per riuscire a raccontarne30. Una forte credenza nell’ordine nascosto dei valori rende la scrittura consoliana responsabile ed eticamente stabile. Grazie a questa denotazione assiologica delle sue narrazioni, Consolo viene considerato lo scrittore dei campi esclusi dalla realtà non solo storica ma anche presente. I momenti delle narrazioni che riflettono sulle vicende umane evocano la pluralità delle circostanze in cui si verificano diversi atti abusivi. Il ridimensionamento della dignità umana imposto dagli sconvolgenti avvenimenti degli ultimi due secoli è analizzato con lo sguardo limpido e disincantato dell’uomo di ragione: il permanere di una giustizia-fiducia insiste nel fatto stesso dello scrivere, che colma, secondo Andrea Zanzotto, fa spazio, fa riapparire radici e racconta di una realtà siciliana divenuta, nonostante le molte sue luci, sempre più emblematica di una delle più devastanti malattie della società e della storia31. Ma l’intellettuale che spoglia l’universo del fascino della sicurezza superficiale pare consapevole dell’irreparabile perdita delle “favole antiche”. Nel Sorriso dell’ignoto marinaio il punto di vista narrante nonché la voce etico-politica sono affidati non ad un personaggio del popolo ma ad un nobile siciliano, il barone Enrico Pirajno di 29
C. Ternullo: Vincenzo Consolo…, p. 56. 30 Cfr. S. Mazzarella: Dell’olivo e dell’olivastro…, p. 64. 31 Cfr. A. Zanzotto: Vincenzo Consolo…, pp. 308—310.
Mandralisca. Questi, pur essendo un aristocratico, non è “un pazzo allegro o un imbecille”, né tantomeno un intellettuale scettico e malinconico come, per esempio, il principe di Salina nel Gattopardo. Consolo polemizza idealmente con il modello proposto da Tomasi di una cultura “della crisi”. Flora Di Legami aggiunge che anche il barone di Mandralisca è animato da un criticismo smagato, ma non rinuncia alla fiducia in possibili trasformazioni sociali a favore degli oppressi32. Consolo, come autore moderno, è autonomo e il suo sapere non lo si può staccare dalle sue primarie condizioni linguistiche, culturali, empiriche e soggettive. Rendendosi conto delle conseguenze di questa dislocazione, lo scrittore cerca di stabilire il nesso tra il ruolo dell’intellettuale e l’importanza della cognizione. Rimanendo dunque ben conscio della varietà delle impressioni umane e della loro incongruenza Consolo, attraverso la narrazione dei fatti esclusi dalla versione ufficiale della storia del Risorgimento italiano, vuole mettere in rilievo l’importanza del fondamento gnoseologico e dei principi della conoscenza. Per precisare la definizione dell’atteggiamento ideologico di Consolo, vale la pena rievocare la constatazione di Linda Hutcheon che la sua “è una riscrittura consapevole e autoriflessiva della scrittura storiografica tradizionale”33. A ribadire questa sembra valido ricorrere a Vittorio Spinazzola che rievoca Consolo stesso: “Non siamo innocenti, questo è certo; si cerca di evitare, per quanto possibile, la malafede e la menzogna”. Sarebbe difficile non essere d’accordo con Sebastiano Addamo, che vede in Consolo la continuazione di una preminente direzione verso l’esterno, verso il mondo e l’uomo, dato che il suo punto di partenza è una fede disperata, “una fede a onta di tutto e nonostante tutto”34. Però è altrettanto vero che, anche se lo scrittore usa la terza persona per narrare, si immedesima con i suoi protagonisti parlando dei problemi del mondo attuale 35.
32 Cfr. F. Di Legami: Vincenzo Consolo…, pp. 23—24. 33 Cfr. L. Hutcheon: A Poetics of Postmodernism, History, Fiction, Theory. London, Routledge, 1988. 34 S. Addamo: Linguaggio e barocco in Vincenzo Consolo. In: Idem: Oltre le figure. Palermo, Sellerio, 1989, pp. 121—125. 35 Ibidem.
In questa riflessione, oltre che un rifiuto alle deduzioni spesso ostentate dai critici di professione, vi è percepibile anche la fiducia nelle risorse della facoltà autocritica. Lo conferma la constatazione seguente di Vittorio Spinazzola, tale da indurre a un sensibile ottimismo sulla disponibilità emotiva degli intellettuali illuminati a schierarsi dalla parte del proletariato 36. Nella prosa consoliana vi è un aspetto edificante privo dell’amarezza provocatoria peculiare degli scrittori siciliani. Lo spostamento verso il Nord costituisce la condizione indispensabile dell’avventura culturale di Consolo, necessaria all’acquisizione e alla comunicazione del sapere. Il motivo dello spostamento nei suoi romanzi si rivela, allora, il luogo privilegiato per raccogliere testimonianze sulla relatività, l’incongruenza, la sproporzione, la fragilità delle categorie umane nel tempo circoscritto. Elena Germano osserva acutamente che la Sicilia rappresentata nel primo romanzo di Consolo, intitolato La ferita dell’aprile non è “una dimensione geografica: essa è soprattutto la dimensione morale che caratterizza l’esistenza dei personaggi di questa storia, che ne condiziona i rapporti con la realtà e le reazioni”37. Il relativismo prospettico in cui Consolo si mostra esperto non impedisce, dunque, di stabilire un rapporto fra le discordanze, perché dal parallelo e dalla comparazione nasce la curiosità, la conoscenza e la comprensione. I testi consoliani diventano strumenti della critica della modernità, delle sue illusioni e della cultura moderna. Tale poetica può riprendere la problematica dell’esperienza sia esteriore che interiore servendosi della metafora dello sguardo. L’osservazione dei costumi e degli stereotipi del carattere regionale si congiunge alla massima efficacia espressiva in alcuni frammenti della prosa consoliana. La pratica degli uomini, l’interesse per l’esplorazione e gli scambi si organizzano in sequenze collegate fra loro come nelle parti dedicate alle dolorose sorti dei protagonisti, e una ricca panoramica delle scoperte di diverse abitudini. Giusta
36 Cfr. V. Spinazzola: Un discorso facile e difficile… 37 E. Germano: Politica e Mezzogiorno, I, 2 (aprile—giugno 1964). In: A.M. Morace: Orbite novecentesche. Napoli, Edizioni Scolastiche Italiane, 2001, p. 193.
mente si accorge di questa caratteristica Elena Germano: “La seduzione della scrittura consoliana agisce soprattutto sull’aspetto visivo, gioca con l’immagine, lo stimolo ottico38”. Consolo pone al centro del suo secondo romanzo Il sorriso dell’ignoto marinaio, una rinnovata inchiesta sul rapporto potere— classi subalterne e sul conseguente nodo fra scrittura e oralità, che egli presenta come espressione di un divario sociale. Flora Di Legami constata addirittura che all’acutezza della ragione, esemplata metaforicamente nell’ironico sguardo dell’ignoto marinaio, il narratore affida il compito di denunciare le “imposture” della storia39. In un osservatore così acuto e aggiornato è forte la consapevolezza dell’integrazione esistente ormai fra i mondi diversi, tale da creare persino una certa conformità nell’atteggiamento mentale. Nel suo primo romanzo, La ferita dell’aprile lo sguardo memoriale del narratore e quello reale dell’adolescente che osserva e filtra la realtà degli adulti (con i suoi problemi e contrasti), conferiscono alla narrazione un timbro favoloso e insieme vivido40. Il mese di aprile, ferito e dolente, diventa metafora di una giovinezza difficile e sofferente. Questo espediente retorico della “natura che sente” non è originale, dato che l’hanno già adottato i romantici e poi, tra gli altri, Eliot a cui Consolo ha attinto direttamente41. L’obiettivo principale era quello di conserva
Si veda ad esempio il contributo già citato di Geerts sui sapori della cucina consoliana e i numerosi passi del romanzo dedicati ai piaceri culinari (fra l’altro, pp. 45, 51, 56—57). Cfr. W. Geerts: L’euforia a tavola. Su Vincenzo Consolo. In: Soavi sapori della cultura italiana. Atti del XIII Congresso dell’A.I.P.P., Verona/ Soave, 27—29 agosto 1998. Ed. B. Van den Bossche. Firenze, Cesati, 2000. 39 Cfr. F. Di Legami: Vincenzo Consolo…, p. 22. 40 Ibidem, p. 14. 41 Oltre al titolo del romanzo di debutto La ferita dell’aprile, pure nell’ultimo romanzo Lo spasimo di Palermo vi è evidente una forte presenza della poetica di T.S. Eliot: “Let us go then, You and I, / When the evening is spread out against the sky…” [Allora andiamo, tu ed io, Quando la sera si stende contro il cielo…] (T.S. Eliot: Il canto d’amore di J. Alfred Prufrock. In: Idem: Opere 1904.1939. Milano, Bompiani, 2001, pp. 277—285).
Consolo introduce, nell’originale inglese, il verso eliotiano alla fine del quinto capitolo del romanzo per mettere in rilievo la scomparsa di ogni speranza, la mancanza della ragione e la conclusione del nòstos (non vi mancano i riferimenti al capolavoro omerico), del ritorno alla terra di origine. 53 l’influsso della natura di cui parlava anche Walter Benjamin42. Tale esperienza poetica ammette il fenomeno della “reciprocità sensuale” e trasgredisce i limiti di una semplice antropomorfizzazione e tende a rovesciare la prospettiva e la percezione. L’uomo viene percepito da un punto di vista non più umano, tuttavia non “disumano”. Le descrizioni penetranti si realizzano grazie alla lingua che non parla ma guarda e con l’occhio ammassa diversi elementi componendone un mosaico variopinto. Angelo Guglielmi costata che i romanzi di Consolo assomigliano a una sorta di magazzino che non conserva esemplari scelti o in qualche modo preziosi ma semplici cose gravi di tutta la materialità del quotidiano43. A paragone di molte osservazioni di costume, sfruttate dallo scrittore per la sua indagine morale, non sono poche nei romanzi le descrizioni di paesaggi legati alla memoria autobiografica, come ad esempio quella presente nel romanzo intitolato Retablo che è un autentico elogio della Sicilia, terra di nascita dello scrittore. Questo testo è permeato dalla presenza di chi apprezza la bellezza e le sue rappresentazioni nelle arti figurative. La retorica dello sguardo, e in particolare lo sguardo del pittore, legge la realtà nel corso del viaggio. Il protagonista del romanzo è un pittore, che vede uomini, palazzi, rovine e paesaggi con spiccata sensibilità visiva e professionale. Dato che non si tratta di un pittore immaginario ma di uno dei più vivaci esponenti del surrealismo e della pittura metafisica e visionaria italiana contemporanea, Fabrizio Clerici, fatto rivivere indietro nel tempo, per virtù fantastorica, in un’età carica di accensioni barocche e romantiche, la narrazione assume una dimensione più verosimile44. Attento osservatore dei costumi, Consolo dedica un’ampia parte della sua narrazione alla riflessione sulla natura umana. piamento eseguito da Consolo tra il protagonista e la voce narrante interrompe il necessario distacco perché possa instillare l’autobiografia intellettuale nella finzione romanzesca.
Cfr. W. Benjamin: O kilku motywach u Baudelaire’a. Przeł. B. Surowska. „Przegląd Humanistyczny” 1970, z. 6, p. 113. 43 Cfr. A. Guglielmi: A cuore freddo. “L’Ora” 1978, il 12 maggio. 44 Cfr. R. Ceserani: Vincenzo Consolo. Retablo. “Belfagor” [Firenze] 1988, anno XLIII, p. 233. 54
Mentre andavo, al vespero, per la strada Aragona, col mio passo spedito, sudato per il cammino lungo e per il peso grave delle bisacce, le campane della Magione sonarono l’Avemaria. M’impuntai e dissi l’orazione. Quando, alla croce, mi sentii chiamare: “Frate monaco, frate monaco, pigliate”. E vidi calare da una finestra un panaro con dentro ‘na pagnottella e un pugno di cerase. “Pe’ l’anima purgante del mio sposo”. Alzai gli occhi e vidi nel riquadro, ah, la mia sventura!, la donna che teneva la funicella del panaro e accanto una fanciulla di quindici o sedici anni, la mantellina a lutto sulla testa che lei fermava con graziosa mano sotto il mento. E gli occhi tenea bassi per vergogna, ma da sotto il velario delle ciglia fuggivan lampi d’un fuoco di smeraldo. Mai m’ero immaginato, mai avevo visto in vita mia, in carne o pittato, un angelo, un serafino come lei. R, 21 La descrizione del primo incontro del frate Isidoro con Rosalia assume caratteri antitetici e ugualmente positivi. Due sono le indicazioni che si possono trarre dal raffronto presentato nel frammento scelto. Da un lato, l’osservazione morale muove da una persuasa e matura consapevolezza delle contraddizioni e dei limiti dell’uomo. Il frate rimane assorto nelle preghiere e dedito alla sua vocazione fino al momento in cui vede, per un istante solo, una bellissima fanciulla. Le sue qualità riferite a quelle di un angelo rievocano un modo di paragonare peculiare per gli stilnovisti. Dall’altro, Consolo è portato a credere che le qualità morali si manifestino con maggiore chiarezza e in modo positivo solo nell’interazione sociale. L’abbandono del servizio spirituale a favore di quello secolare, mostra la figura di Isidoro nella sua umanistica pienezza. Se fra i romanzi si prendono in esame i momenti in cui si riflette sugli ambiti morali, sui sentimenti e sui comportamenti umani, s’impone con evidenza una costante significativa: il ricorso al linguaggio della pittura e a formule enciclopediche per esprimere i risultati dell’analisi etica. Il che, naturalmente, non stupisce in uno scrittore così intimamente permeato dalla forma mentis logica, ma indica quanto sia importante conservare uno sguardo limpido e rigoroso nell’osservare anche i fenomeni morali. Quanto più Consolo concepisce come ambigua, volubile e sfuggente la psiche umana, tanto più prova a definirla con l’aiuto di immagini semplici, essenziali, analitiche.
Si pensi al paragone fra le proprietà dell’elenco naturalistico e le facoltà dei fenomeni uditivi: “mare che valica il cancello”, visivi: “nel cielo appare la sfera d’opalina”, olfattivi: “spande odorosi fiati, olezzi” e infine tattili: “che m’ha punto, ahi!”, presenti nel brano seguente: Rosalia. Rosa e lia. Rosa che ha inebriato, rosa che ha confuso, rosa che ha sventato, rosa che ha róso, il mio cervello s’è mangiato. Rosa che non è rosa, rosa che è datura, gelsomino, bàlico e viola; rosa che è pomelia, magnolia, zàgara e cardenia. Poi il tramonto, al vespero, quando nel cielo appare la sfera d’opalina, e l’aere sfervora, cala misericordia di frescura e la brezza del mare valica il cancello del giardino, scorre fra colonnette e palme del chiostro in clausura, coglie, coinvolge, spande odorosi fiati, olezzi, distillati, balsami grommosi. Rosa che punto m’ha, ahi!, con la sua spina velenosa in su nel cuore. R, 17 A tale esigenza di chiarezza si presta particolarmente la struttura logico-espressiva dei paragoni, che è modello molto frequente nella narrativa di Consolo. Come nel caso del protagonista del romanzo intitolato Retablo, Fabrizio Clerici: la sconfinata facoltà visionaria, la capacità di fare esplodere attraverso lo strumento linguistico, ogni dato della realtà in fantasia diventa il mezzo diretto della rappresentazione della realtà45. “All’artista non rimane che guardare da lontano” — come afferma in Retablo don Gennaro, maestro di canto: “Stiamo ai margini, ai bordi della strada, guardiamo, esprimiamo, e talvolta con invidia, con nostalgia struggente allunghiamo la mano per toccare la vita che ci scorre per davanti” (R, 197). Non è la prima volta che Consolo sceglie un quadro per dare l’avvio a un romanzo: nel Sorriso dell’ignoto marinaio si trattava di un dipinto di Antonello da Messina, qui, al centro della vicenda si trova il dipinto a scomparti, a scene,
45 Cfr. L. Sciascia: Cruciverba. Milano, Adelphi Edizioni, 1998, p. 43. 56
questo quadro delle meraviglie che incanta i popolani e che è poi una citazione da Cervantes. Come la parola stessa “retablo” suona misteriosamente, così anche i quadri dipinti da Fabrizio Clerici risultano misteriosi perché sembra che rappresentino sogni e incubi. In questo contesto bisogna essere d’accordo con Paolo Mauri, secondo cui, in effetti, il pittore diventa narratore di un’altra realtà46. Sotto lo splendore del clima barocco è molto visibile la trama drammatica dell’amore insoddisfatto. Basta affinare lo sguardo e osservare senza pregiudizi l’intreccio per comprendere le reali motivazioni dell’agire, le ragioni o i torti della morale. La scrittura per quadri, per scene successive, facilita all’occhio indagatore una penetrazione ai margini dei fatti che costituiscono la vera e propria prassi della narrazione. L’adottata da Consolo retorica dello sguardo viene rafforzata dal procedimento straniante. Nel frammento sopraccitato il richiamo all’atteggiamento distante enfatizza le inconciliabili: “invidia” e “nostalgia”. Sintomo delle ambivalenze radicate nella morale è anche l’uso disinteressato dell’espressione: “ai margini, ai bordi della strada”. La distanza che domina in questo caso il comportamento conduce a conseguenze paradossali: secondo la convinzione comune l’artista, e specialmente il pittore dovrebbe avvicinarsi all’oggetto, qui invece la meta risulta inafferrabile. Per questa ragione Consolo, studioso e appassionato divulgatore di pittura, cerca di conciliare le argomentazioni della “logica comune” con i procedimenti delle “arti figurative”, accreditando ad ambedue la propria fiducia. Invece nel quadro tracciato dal romanzo intitolato Il sorriso dell’ignoto marinaio la doppiezza della morale e l’inautenticità della vita risaltano con netta evidenza grazie all’espediente formale della sproporzione, nuovamente fondata sullo snodo del paragone nel frammento seguente: Entrò nello studio assieme a Interdonato e chiuse la porta dietro le spalle. […] “Sto solo attendento adesso a un’opera che riguarda la generale malacologia terrestre e fluviatile della Sicilia che da parecchio tempo m’impegna fino in fondo e mi procura 46
Cfr. P. Mauri: Consolo: sognando il passato. In: Idem: L’opera imminente. Diario di un critico. Torino, Einaudi, 1998.
affanno…” spiegò il Mandralisca buttandosi a sedere come stanco sopra la sedia dietro la scrivania. “E voi pensate, Mandralisca, che in questo momento siano tutti lì ad aspettare di sapere i fatti intimi e privati, delle scorze e delle bave, dei lumaconi siciliani?” “Non dico, non dico…” disse il Mandralisca un po’ ferito. “Ma io l’ho promesso, già da quindici anni, dal tempo della stampa della mia memoria sopra la malcologia delle Madonie…” “Ma Mandralisca, vi rendete conto di tutto quello che è successo in questi quindici anni e del momento che viviamo?” “Io non vi permetto!…” scattò il Mandralisca. SIM, 43 Al centro del dialogo, che procede in toni acri e pungenti, è il contrasto tra una cultura aristocratica e separata, “la malacologia terrestre e fluviatile”, di cui il barone siciliano si sentiva fiero e pago, e un’attualità di eventi (i moti risorgimentali del ’56 a Cefalù e poi l’insurrezione di Alcara nel ’60) rispetto ai quali non si poteva non prendere posizione. Qui la frase pronunciata dal barone si sostanzia di un paragone con la moderna ottica, per sottolineare l’illusorietà degli studi se rimangono distanti dalle questioni ordinarie della realtà. Al modello di necessità ed obbligo si affiancano alcune riflessioni di diverso tono, che correggono l’eccesso di autocritica del protagonista e incitano a seguire l’impulso delle passioni. L’inclinazione verso l’approfondimento del sapere e il fascino dell’avventura possono unirsi, in effetti, con l’attrazione per la giustizia e la dominazione della ragione. Attraverso il discorso del Mandralisca con l’Interdonato Consolo esibisce una convinzione morale rilevata dal rapido ammonimento e nello stesso tempo dalla domanda retorica. La lezione di Consolo va qui al di là dell’esempio stilistico: si tratta di un’affinità nell’indagare l’uomo con acume e ironia. Seguendo ottica adottata, con lo stesso spregiudicato realismo psicologico Consolo sostiene che nessun’azione è veramente pura, disinteressata e schietta allo sguardo di chi con la luce della mente vede addentro le cose. È il caso del padre di Petro, protagonista del romanzo Nottetempo, casa per casa sofferente di licantropia che attraverso questa forma di teriomorfismo rappresenta il dolore universale. Si spalancò la porta d’una casa e un ululare profondo, come di dolore crudo e senza scampo, il dolore del tempo, squarciò il silenzio di tutta la campagna. Un’ombra rotolò sotto la luna, tra i rovi e le rocce di calcare. Corse, uomo o bestia, come inseguito, assillato d’altre bestie o demoni invisibili. Ed eccitò col suo lamento, col suo latrar dolente, uccelli cani capre. Fu un concerto allor di pigolii di guaiti di belati quale al risveglio del mondo sull’aurora o al presentimento, per onde d’aria o il vibrare sommesso della terra, d’un diluvio rovinoso, d’un tremuoto. N, 6 Il padre del protagonista diventa vittima di forze incontrollabili causate da uno stato di depressione permanente e l’espressione terrificante del lato scuro della sua psiche viene accompagnato da una facoltà di ipersensibilità che gli permette di vedere e sentire le cose in un modo ben più profondo. Seguendo le ricerche di Julia Kristeva in merito, si può azzardare la constatazione che il depresso sia un osservatore lucido, che vigila notte e giorno sulle sue sventure e sui suoi malesseri, e l’ossessione di vigilanza lo lascia perennemente dissociato dalla sua vita affettiva nel corso dei periodi “normali” che separano gli attacchi melanconici47. Così assegnando allo sguardo un ruolo demiurgico, Consolo crede nell’efficacia dei buoni ammaestramenti e non dubita che il senso della vista possa indirizzare alla giusta percezione. Dall’accostamento fra morale e pittura risulta più chiara l’esigenza di consolidare la “purezza” e la “forza” di un’azione con la “libertà” e la “disinvoltura” della libera creazione. Un atteggiamento morale di natura può derivare da un’assidua applicazione che solo nell’uomo veramente abile si muta in una seconda natura.
47 Cfr. J. Kristeva: Sole nero. Depressione e melanconia. Milano, Feltrinelli, 1998, pp. 52—53
L’allontanamento Il viaggio o la fuga?
Il tema del viaggio è un contenuto della
realtà extratestuale e dell’immaginario (tanto dell’autore quanto del lettore)
che ritorna in opere diverse: si ripete dunque in forme riconoscibili pur
articolandosi ogni volta in modi irripetibili all’interno di costruzioni dotate
ognuna di una propria individualità. Questo contenuto può riguardare
personaggi, passioni, ambienti, eventi, immagini1 . Il viaggio è un evento. In
genere si tratta di un accadimento che coinvolge due o più persone: dopo un
percorso (di una di esse o di tutte, non importa), esse entrano in contatto fra
loro in modo volontario o involontario, programmato in partenza o del tutto
casuale2 . Nel 1993 Consolo ammette: I poli poi, per ragioni di vita e per
scelta ideologica, si sono allontanati, sono diventati Palermo e Milano. E
questi due poli mi hanno fatto essere, oltre che laconico, scrittore scisso,
dalla doppia anima, dal doppio accento. Ma forse no, forse allo storicismo del
vecchio mondo palermitano ho sostituito lo storicismo dell’attuale mondo
milanese3 . I lettori entrano nel mondo della narrazione consoliana attratti non
da questa frase tradizionale “C’era una volta” ma tramite un procedimento ben
diverso e cioè l’uso della congiunzione che apre la storia. E la chiarìa
scialba all’oriente, di là di Sant’Oliva e della Ferla, dall’imo sconfinato
della terra sorgeva nel vasto cielo, si spandeva — ogni astro, ogni tempo
rinasce alle scadenze, agli effimeri, ai perenti si negano i ritorni, siamo
figli del Crudele, pazienza. N, 5 E poi il tempo apre immensi spazi,
indifferenti, accresce le distanze, separa, costringe ai commiati — le braccia
lungo i fianchi, l’ombra prolissa, procede nel silenzio, crede che un altro gli
cammini accanto. SP, 11 Quando la voce del narratore inizia in questo modo, non
è difficile, come sostiene Remo Ceserani, “sospendere la sua vita normale, abbandonare
il mondo in cui scorre la sua vita e trasferirsi, se si sente attirato dalla voce
del narratore e dall’interesse delle vicende narrate […]”4 . Il lettore subito
sin dall’inizio ha impressione di affrontare la continuazione della storia già
raccontata. Consolo riesce a trasformare il passato, anche quello lontano, in
una realtà somigliante agli eventi presenti. Il ciclo della narrativa
consoliana ammette la rappresentazione della Sicilia in varie fasi della sua storia.
L’azione del romanzo Nottetempo3, casa per casa si svolge a Cefalù, negli anni
del sorgere del fascismo. Non è racconto di viaggio, o guida, tuttavia con un
viaggio si onclude. Qui Petro vive una sua educazione sentimentale, politica,
letteraria, scontando sulla propria pelle lo sforzo del rapporto con una realtà
che sfugge ad ogni razionalità, che si lascia dominare da quella “bestia
trionfante” che stravolge quel mondo, che sembra fargli perdere antichi
equilibri e antichi profumi, e trova nel fascismo la sua più compiuta
incarnazione5 . C’è il risentimento verso una patria perduta e le persone che
non si accorgono della perdita. E qui non si parla solo di un confine
siciliano, ma di un oggi che comprende anche altri luoghi. Certo, il discorso
della lingua è chiaro. Consolo ha sempre cercato di scrivere in un’altra lingua
ed è quello che ha sempre irritato i critici, il fatto di “uscire dai codici,
di disobbedire ai codici”6 .
Il viaggio di Nottetempo, casa per casa, è la fuga di Petro da un mondo nel
quale egli vede la civiltà in via di travolgimento e per il quale avverte ormai
odio, al punto da fargli maturare una condizione che egli non sa se, ed
eventualmente quando, vorrà modificare, e quando eventualmente (“Non so adesso”
dice, quasi come Fabrizio Clerici diceva dell’itinerario che avrebbe potuto
prendere l’ulteriore sua peregrinazione) perché le ragioni dell’odio sono per
lui diverse da quelle che muovono l’anarchico Schicchi, non politiche in senso stretto,
non di fazione: e tali ha scelto di mantenerle “in attesa che passi la bufera”,
senza fraintendimenti e perciò nello stesso esilio vivendo scostato da
Schicchi, nella cui prassi riconosce la stessa matrice che ha causato la sua
partenza, “la bestia dentro l’uomo che si scatena ed insorge, trascina nel
marasma, la bestia trionfante di quel tremendo tempo, della storia, che
partorisce orrori, sofferenze” (N, 170)7 . La partenza di Petro assume un
valore emblematico, e in realtà, diventa aterritoriale. 5 Il romanzo Nottetempo, casa per casa contiene
il numero maggiore di elementi raffiguranti la nozione di allontanamento:
l’allusione all’inespresso, alla ritrazione, al rischio dell’afasia, del
silenzio. Pervenuto in prossimità di Tunisi, rimasto solo sul ponte del
piroscafo, Petro lascia cadere in mare un libro che l’anarchico gli aveva posto
in mano per alimento politico, e pensa ad un suo quaderno, sentendo che,
“ritrovata calma, trovate le parole, il tono, la cadenza, avrebbe raccontato,
sciolto il grumo dentro, avrebbe dato ragione, nome a tutto quel dolore” (N,
171): un quaderno perciò egli porta con sé quale viatico dell’esilio, dove
potrà da lontano nominare il dolore, e perciò — comprendendolo — risolverlo, e
questo è tutto il corredo che la sua scelta presuppone8 . Il protagonista di
Nottetempo, casa per casa è un esiliato che rompe a un tratto la condizione di esilio
attraverso la scrittura, diversamente dagli altri, dal padre, ad esempio, che
non può farlo. Il libro si apre con una scena notturna in cui si disegna la
figura oggi rara della malinconia, desueta almeno, in cui la depressione si
svela nel rapporto con la luna piena: quella del licantropo. La cultura
popolare ci ha tramandato vari frammenti intessuti su questa figura, dominata
da un dolore insopportabile che equivale ad un esilio. Come dice l’epigrafe
della Kristeva posta all’inizio del libro, quel dolore equivale a vivere sotto
un sole nero, che può anche stare per l’immagine della luna. È un tentativo di
liberazione dell’angoscia attraverso l’animalità, la fuga, la corsa9 . La
coscienza del dolore proprio e altrui indica una prospettiva che rende
possibile la riflessione su un altra persona. La sofferenza non è qualcosa di
peggiore che richiede il rimandere nascosti. Al contrario, è necessario
prenderla in considerazione quando si vogliono determinare i limiti del potere
umano. Consolo, indicando la sofferenza come l’esperienza fondamentale
dell’esistenza, non si discosta dal discorso sempre più urgente sulla
condizione degli emarginati nel mondo postmoderno. Così Petro fugge, come
Consolo, e “spariva la sua terra mentre egli se ne andava (N, 168).
Petro è spinto da una parte dalla forza
irrazionale di un fascismo che prometteva giustizia e riscossa, specchietti
delle allodole delle dittature incipienti, dall’altra è attratto da quel
socialismo-anarchico la cui contestazione, però, gli appare violenta e
drasticamente tragica. Decide per una ”fuga”, che non è disimpegno, ma scelta
chiara, il che illustra la scena finale: “si ritrovò il libro dell’anarchico,
aprì le mani e lo lasciò cadere in mare” (N, 171). La marginalità del gesto,
tuttavia, non gli scongiura la necessità della fuga da Cefalù, dalla città che
aveva amato nelle cose e nelle persone, e che ora gli era caduta dal cuore “per
quello ch’era avvenuto, il sopravvenuto, il dominio che aveva presa la peggiore
gente, la più infame, l’ignoranza, la violenza, la caduta d’ogni usanza,
rispetto, pietà…” (N, 166); e perciò egli si spinge all’esilio in Tunisia, dove
si reca partendo nottetempo da Palermo, su di un vapore che pure nasconde il
capo anarchico Paolo Schicchi (altro personaggio reale)10. Anche Consolo,
quando si è trasferito a Milano aveva intenzione di raccontare quella Milano
dei contadini siciliani che diventano operai. Ben presto capì che per farlo
aveva bisogno della distanza della metafora storica. È quello che Cesare Segre
acutamente ha sottolineato come peculiarità del suo modo di scrivere: “è il
distanziamento, il bisogno di distanziarsi, anche geograficamente”11. Il motivo
del viaggio, nel primo lavoro: La ferita dell’aprile, si svolge sul doppio
versante del riportarsi all’indietro dell’io narrante al tempo della propria
adolescenza, e di un attraversamento di diversi piani linguistici alla ricerca
di uno stile che si conquista una propria misura espressiva12. E per restituire
alla storia il misterioso e l’ignorato che è nell’uomo e nella collettività,
Consolo sceglie fin da questo primo romanzo la dimensione della memoria e
l’idea del viaggio13. Il labirinto evidenzia cioè nella sua stessa forma
figurale, in quanto metafora assoluta che si sostanzia di un retroterra
religioso e mitologico, la struttura del congetturare dialettico, di quel
mirare alla fine 10 del processo ermeneutico come al proprio fine, implicito
nel viaggioverso-il-centro e nel viaggio-di-ritorno di Teseo come in tutte le
successive varianti del mitologema14. In appendice ai capitoli di più acuminato
spessore del suo romanzo, Il sorriso dell’ignoto marinaio, Consolo ha inserito,
infatti, un ventaglio di documenti storici che fanno corpo organico con la
narrazione, esplicitando ciò che essa lascia nel margine dell’intuitivo. Aldo
M. Morace sostiene che così viene spezzata l’unità tipica del racconto storico,
ma anche la finzione narrativa stessa, in modo da chiamare in causa il lettore,
secondo l’esigenza brechtiana dello straniamento e secondo la suggestione
adorniana circa la necessità, per l’opera d’arte, di portare impresse nelle
proprie strutture formali le stigmate della negatività rinunciando alla forma
compatta ed armoniosa che attesterebbe la conciliazione con la società
esistente15. Se il romanzo, e in particolare il romanzo storico si esprime
attraverso le tensioni formali, come sostiene Flora Di Legami16, la prosa di
Consolo corrisponde pienamente a questa immagine. L’autore introduce,
trasformato, il topos ottocentesco del manoscritto: esso non è più l’espediente
narrativo su cui costruire la trama del romanzo, ma un documento immaginario
capace di suffragare, con la sua verosimiglianza linguistica, l’effettualità
degli avvenimenti narrati. E così il Mandralisca, mosso dall’ansia di
verificare le affermazioni dell’Interdonato, compie un viaggio in alcuni paesi
del messinese, che gli farà conoscere le condizioni di miseria e sfruttamento
in cui versano i contadini, ma soprattutto lo porterà ad essere testimone
diretto dell’insurrezione di Alcara contro i Borboni nel maggio 1860. Quello del
Mandralisca risulta un viaggio di tipo vittoriniano, di progressiva maturazione
e di crescita etico-politica, ma anche di discesa del nostro tempo. Interviste
a Leonardo Sciascia, Vincenzo Consolo, Gesualdo Bufalino, Ignazio Buttita, dal
programma radiofonico di Loredana Cacicia e Sergio Palumbo, prodotto e
trasmesso da Rai Sicilia nel 1991. Palermo, Officine Grafiche Riunite, 2013, p.
52. L’intellettuale
al caffé. Incontri con testimoni e interpreti all’interno
delle contraddizioni della storia e della ragione, di cui sperimenta
l’impotenza operativa17. Nel contesto della dominazione anche fisica delle
nuove forze — come prova di contrapposizione ad esse — appare anche il problema
delle riflessioni morali che espongono solo la dimensione degli abusi. Consolo
la rievoca tramite l’introduzione della situazione di caos: accanto alle forze
naziste spuntano le proteste degli operai, crescono l’incitazione intorno alla
Targa Florio e infine la sconfitta degli anarchisti. Questo caos viene
preceduto nella narrazione dal segnale riferito alla follia della famiglia
Marano, il che suggerisce la conseguente spirale della perdita di senno. Solo
la ragione si oppone al regime, al male atavico dell’uomo, alla distruzione
della memoria e dei valori della terra e della società18: Ora sembrava che un
terremoto grande avesse creato una frattura, aperto un vallo fra gli uomini e
il tempo, la realtà, che una smania, un assillo generale, spingesse ognuno
nella sfasatura, nella confusione, nell’insania. E corrompeva il linguaggio, stracangiava
le parole, il senso loro, il pane si faceva pena, la pasta peste, la pace pece,
il senno sonno. N, 140 Il linguaggio, trasgressivo e straniato, arcaicizzante e
artificioso, nasce da una spinta molto forte, così da richiedere una strategia
di difesa e di allontanamento, e una immersione nella vita “nel suo infinito
variare”. È un linguaggio che diviene canto, sonante e alto, fatto di cadenze e
ritmi poetici (per esempio, di ben individuabili, ossessivamente presenti,
endecasillabi: “E la chia-rì-a scial-ba all’- or-ien-te / di là di
Sant’-O-li-ve-del-la Fer-la”)19. Consolo ha spesso affermato di sentirsi parte
di una linea della letteratura italiana che proviene dalla Sicilia e che
comprende Verga, Pirandello, Vittorini, Brancati, Tomasi di Lampedusa,
Sciascia, ma nello stesso tempo ribadisce17 la provenienza da una zona
periferica d’Italia. La sua narrazione diventa la testimonianza della credenza
nella possibilità dei contributi innovativi alla cultura da quella isolana20. L’abbandono
della predominanza del senso della vista a favore dell’abilità del parlare
implica la riduzione della distanza rispetto all’oggetto dell’analisi. La
facoltà di parlare richiede la mancanza di dominazione e indica invece l’impegno
dei processi cognitivi nelle differenti prospettive degli interlocutori. La
Sicilia attraversata da Clerici è quella storica del primo Settecento, afflitta
da povertà, ignoranza e violenza; e tuttavia i vari paesi diventano contrade dell’anima
dove pensieri ed emozioni balzano in primo piano, e i personaggi incontrati
hanno sempre consistenza reale e favolosa, come i ladri delle terme segestane.
Sono luoghi in cui il narratore sospende il tempo della narrazione per
abbandonarsi all’incanto del mondo favoloso e lontano. Lo spazio sociale con i
suoi conflitti non è, in questo romanzo, il centro palpitante; lo percorre
invece una vibrata inquietudine ed un febbrile desiderio di lontananza21. Nel
romanzo Lo spasimo di Palermo l’autore legge una vicenda personale e
collettiva, partendo da un tempo che apre immensi spazi. In principio è la
lontananza, la terra straniera e il distacco che “costringe ai commiati”22. Nel
caso del protagonista del romanzo menzionato, lo scrittore Gioacchino Martinez,
cupo e angosciato eroe che vuole rappresentare la realtà senza incanto, che era
quello di un sogno infantile, e smuovere altri ricordi. Sono proprio i ricordi
che lo devastano e nello stesso tempo lo mantengono in vita: il protagonista torna
in Sicilia, da dove se ne era fuggito, per l’impossibilità di opporsi alla
violenza, all’ingiustizia. È un affondo nel rammarico, nei dolori della
memoria: l’adolescenza nel dopoguerra siciliano, l’amato zio studioso di
botanica, l’adorata Lucia che poi sposerà e perderà con strazio, il rifugio in
una Milano ritenuta proba, antitesi al ma
rasma 20, gli anni del terrorismo e la pena per il figlio compromesso. Piero Gelli parla direttamente del risveglio di un’illusione: la città civile di Porta, Verri e Beccaria, di Gadda e Montale non esiste più, sommersa dalle acque infette dell’intolleranza e dalla melma della corruzione23. Se si prende per esempio la descrizione dell’albergo che sebbene non sia un luogo sotterraneo, rivela tutta la sua angustia: “La dixième muse era il nome dell’albergo. L’angusto ingresso, il buio corridoio…” (SP, 11). Spostandosi all’indietro nei ricordi assomigliava ai rifugi antiaerei o alle cantine. Dopo il bombardamento all’oratorio Chino ”tornò affannato nell’androne, attraversò il cavedio, discese nel catoio” (SP, 16). È significativo anche che cupi, nascosti ed in profondità siano i luoghi in cui si consuma la relazione fra il padre di Gioacchino e la siracusana. Quindi colpa e menzogna da cui Chino fugge sempre, in modo antonimico, seguendo il percorso contrario, verso la luce e la superficie. È la fuga da una realtà che non vuole conoscere. Una tana sarà anche il luogo prediletto dal ragazzo per i suoi giochi e le sue fughe: “Corse al marabutto, al rifugio incognito e sepolto dal terriccio” (SP, 19). A un certo momento del libro il protagonista parla così: “Non so adesso… Adesso odio il paese, l’isola, odio questa nazione disonorata, il governo criminale, la gentaglia che lo vuole… odio finanche la lingua che si parla”. Mai come adesso la scrittura si ritaglia come il luogo di una distanza difficilmente colmabile in cui non ci sono luoghi cui dedicare una presunta fedeltà: “Dietro queste parole scopertamente riferite all’oggi c’è il risentimento personale di chi scrive verso un luogo che ha dovuto lasciare”24. Una soluzione più simile al concetto di viaggio si può da ricavare nel romanzo Retablo. La seconda sezione del libro, quella centrale o la più distesa, è il diario di viaggio che Clerici scrive per Teresa Blasco, la donna amata, da cui cerca di allontanarsi compiendo la sua “peregrinazione” attraverso la Sicilia. È solo attraverso il “collaudato23 contravveleno della distanza”, infatti, che Clerici riesce a ritrovare quell’“aura irreale o trasognata” che gli consente di dedicarsi alla scrittura e alla pittura (R, 87). E per ottenere il necessario estraniamento, analogo a quello operato dallo scrittore di Sant’Agata di Militello con il trasferimento a Milano, fungono spesso da testimoni o il cavaliere e l’artista lombardo Clerici, o il mistificatore inglese: Crowley. Lo stile barocco, fitto di sicilianismi, fornisce il coinvolgente e inconfondibile colore locale25.
Title: Rompere il silenzio : i romanzi di Vincenzo Consolo Author: Aneta Chmiel Citation style: Chmiel Aneta. (2015). Rompere il silenzio : i romanzi di Vincenzo Consolo. Katowice : Wydawnictwo Uniwersytetu Śląskiego.
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1 F. Orlando: Costanti tematiche, varianti estetiche e precedenti storici. In: M. Praz: La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica. Firenze, Sansoni, 2003 [1996], p. VII. 2 R. Luperini: L’incontro e il caso. Narrazioni moderne e destino dell’uomo occidentale. Roma—Bari, Editori Laterza, 2007, pp. 4—8. 168 Capitolo V: L’allontanamento V. Consolo: La poesia e la storia. In: Gli spazi della diversita. Atti del Convegno Internazionale. Rinnovamento del codice narrativo in Italia dal 1945 al 1992. Leuven —Louvain-la Neuve—Namur—Bruxelles, 3—8 maggio 1993. Vol. 2. A cura di S. Vanvolsem, F. Musarra, B. Van den Bossche. Roma, Bulzoni, 1995, pp. 583— 586.4 A. Bernardelli, R. Ceserani: Il testo narrativo. Istruzioni per la lettura e l’interpretazione. Bologna, Il Mulino, 2013, p. 135. Il viaggio o la fuga? 169 G. Ferroni: La sconfitta della notte. “L’Unità” 1992, il 27 aprile. 6 R. Andò: Vincenzo Consolo: La follia, l’indignazione, la scrittura. “Nuove Effemeridi” 1995, n. 29, p. 11. 7 S. Mazzarella: Dell’olivo e dell’olivastro, ossia d’un viaggiatore. “Nuove Effemeridi” 1995, n. 29, p. 63. 170 Capitolo V: ” (N, 168). Petro è spinto da una parte dalla for8 Ibidem, pp. 63—64. 9 R. Andò: Vincenzo Consolo…, pp. 8—9. S. Mazzarella: Dell’olivo e dell’olivastro…, pp. 62—63. 11 V. Consolo: Fuga dall’Etna. La Sicilia e Milano, la memoria e la storia. Roma, Donzelli editore, pp. 9—10. 12 F. Di Legami: Vincenzo Consolo. La figura e l’opera. Marina di Patti, Pungitopo, 1990, p. 12. 13 Ibidem, pp. 7—9. 172 Capitolo V: , 14 Cfr. K. Kerényi: Nel labirinto. Torino, Bollati Boringhieri, 1983, p. 9. 15 Cfr. A.M. Morace: Orbite novecentesche. Napoli, Edizioni Scolastiche Italiane, 2001, pp. 212—213. 16 Cfr. F. Di Legami: Cfr. F. Di Legami: Vincenzo Consolo…, pp. 24—25. 18 Cfr. C. Ternullo: Vincenzo Consolo: dalla Ferita allo Spasimo. Catania, Prova d’Autore, 1998, p. 58. 19 R. Ceserani: Vincenzo Consolo. “Retablo”. “Belfagor” 1988, anno XLIII, Leo S. Olschki, Firenze, pp. 233 — 234. 174 Capitolo V: L’allontanamento cfr. A. Bartalucci: L’orrore e l’attesa. Intervista a Vincenzo Consolo. “Allegoria. Rivista quadrimestrale” 2000, anno XII, nn. 34—35, gennaio—agosto, 21 Cfr. F. Di Legami: Vincenzo Consolo…, p. 40. 22 G. Amoroso: Il notaio della Via Lattea. Narrativa italiana 1996—1998. Caltanisetta—Roma, Salvatore Sciascia Editore, 2000, p. 464. Cfr. P. Gelli: Epitaffio per un Inferno. La rabbia e la speranza di Consolo. “L’Unità” 1998, il 12 ottobre, p. 3. 24 R. Andò: Vincenzo Consolo…, p. 11.
Vincenzo Consolo — essenza della sicilitudine
— Penso che vincere un premio come lo Strega possa essere, per uno scrittore serio, un’assicurazione contro i faccendoni, e il dilagare della carta. — La carta seppellisce i libri. Una volta gli scrittori lavoravano con la speranza nel futuro1 . Senza troppa esagerazione si può affermare che il tono essenziale della prosa consoliana rimane soprattutto riflessivo e didascalico. E se con questo ci si vuole riferire ad una remota disposizione che si ripresenti nelle opere degli scrittori siciliani, e cioè, una ricorrenza di quella peculiarità, nominata da Leonardo Sciascia una “specie di follia”. In questa zona discorsiva, acquista un rilievo massimo la figura di Luigi Pirandello atteggiata nell’argomentativo e sofistico ritmo di un ragionatore e di un maestro tutto volto a spiegare e insegnare. Ma questa razionalizzante sicilitudine non è da credere che s’aggiri in una forma di cattedratica istruzione o di astratta lezione2 . Al contrario, la meditazione svolta dell’autore, pur nei confini dello schema prestabilito si avvia di acute analisi e di fini notazioni psicologiche
1 F. Parazzoli: Il gioco del mondo. Dialoghi sulla vita, i sogni, le memorie […]. Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, 1998, p. 23. 2 Cfr. M. Tropea: Nomi, „ethos”, follia negli scrittori siciliani tra Ottocento e Novecento. Caltanissetta, Edizioni Lussografica, 2000, p. 5.
essenza della sicilitudine che superano i consueti limiti del comune repertorio morale. Pirandello, nel modo più autonomo, è riuscito a collegare i motivi siciliani come: mania, follia e superstizioni e grandi temi dello smarrimento dell’animo dell’uomo. Si potrebbe dire, a titolo non solo di paradosso, che lo scrittore avverta la presenza della conoscenza della vita nella totalità dei suoi aspetti come il frutto di un’esperienza non gradita e tendenzialmente rifiutata. Invece la liberazione dei sentimenti e dell’invenzione dal peso del reale presuppone un’intensa partecipazione ad esso, non un rifiuto, non un esilio, ma un’accettazione contrastata e difficile. Ad una maggiore immediatezza d’espressione si torna con l’esperienza di Vitalino Brancati che distingue la cultura della Sicilia in due grandi suddivisioni: “[…] quella occidentale degli arabi, dei cavilli, delle sottigliezze, della malinconia, di Pirandello e di Giovanni Gentile e dei mosaici; e quella orientale dei Fenici, dei Greci, della poesia, della musica, del commercio, dell’inganno, di Stesicoro, Verga, Bellini, San Giuliano”3 . Con le opere di Brancati si rimane sempre nella stessa dimensione della poesia invasa dalla follia che forma la peculiarità dell’anima e della cultura siciliana. Secondo Mario Tropea l’esistenza di una “letteratura siciliana” costituisce una figurazione di una insularità affermata non solamente dal punto di vista storico e antropologico. Nella sua sostanza si conferma una tonalità narrativa della psicologia umana4 . Allo sguardo satirico di Brancati, l’universo siciliano non appare come lo spazio di cui celebrare il fasto, né tanto meno la sede in cui si elaborano progetti politici; esso diviene piuttosto il bersaglio privilegiato di un processo di smascheramento, teso a mettere a nudo l’incapacità dei rappresentanti del potere, l’interesse dei cittadini e il loro stato di umiliante soggezione. In questo senso appare emblematico il punto di vista di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, pieno d’ironia, pensata come sintesi di distacco aristocratico. Forse ha capito che allo scrittore non si chiede più l’eroismo di una classe feudale, ma la naturale mutevolezza di caratteri osservati nella
3 Ibidem, p. 6. 4 Cfr. ibidem.
realtà quotidiana. L’ottica dall’interno con cui il mondo della Sicilia è narrato compare nella presenza di nozioni dell’ironia e della storia. L’isola ha una sua storia che la genera e rigenera. Nella scelta di una narrazione mimetica l’insularità diventa una proprietà imprescindibile. Consolo non inventerebbe l’isola se non vi fosse venuto al mondo, se nella vita, nella scrittura non fosse venuto incontro ad esso e se non l’avesse raccontato tramite le vicissitudini dei compaesani. Pubblicando i suoi scritti, Consolo ha salvato dall’oblio inerente all’oralità le storie dolorose e fragili. Sembra che, simbolicamente, lo scrittore abbia saldato un debito nei confronti degli interlocutori del paese natio. Non si tratta, in questa analisi, di propugnare uno scavalcamento delle gerarchie né di rinnegare gli interessi degli scrittori; invano si cercherebbe in queste opere un progetto di riforma della società in base a nuovi valori. Mondo insulare e mondo della penisola sembrano impermeabili. Eclettico Capuana non tanto lontano dalla realtà del naturalismo di Verga rappresenta la follia proprio tramite uno studio “clinico”. Nella poetica che sembra quella di un generico realismo, Consolo varca la soglia della finzione e recupera le forme testuali della verità quasi documentaria: struttura e tono del reportage, appendici forniti dalla storia, narrazione in terza persona. Un’idea di narrazione polimorfica potrebbe risultare una necessità di inquadrarsi all’interno di una prospettiva di moderno umanesimo delle contraddizioni. Ferruccio Parazzoli ha ammesso di sentirsi come Ismaele — il protagonista di Moby Dick. Invece, però di andarsene per mare, lo studioso si accontenta di svolgere la ricerca tra gli amici5 . In Mondadori, la sua casa editrice, Consolo viene considerato uno dei più ascoltati scrittori italiani. “Quando dice fa opinione” — ricorda Parazzoli6 . Se lo scrittore si riferisce alla quotidianità politica, lo fa direttamente come nella constatazione rapportata alla situazione del settembre del 1994: “Io credo che chi ci governa sia affetto da una grave malattia mentale. […] Tutti i suoi gesti, tutte le sue azioni, tutti
5 Cfr. F. Parazzoli: Il gioco del mondo…, p. 54. 6 Ibidem.
gli ordini, tutto quanto lui dispone è all’insegna dell’irrazionalità e della follia”7 .
Prendendo le mosse dal mito sul Cavallo inventato da Ulisse, Consolo cerca di individuare un’ipotesi fondamentale dell’illusione vissuta dall’Italia dopo la seconda guerra mondiale; l’illusione dell’Itaca e cioè dell’armonia, della storia e degli affetti. Dopo le tragedie subite c’era bisogno di razionalità e di ordine che potevano essere visti come tappe di un possibile recupero della ragione. Va poi sottolineato, sul piano delle corrispondenze fra la ragione e la follia che questa oscillazione è diventata una costante della storia dell’Italia. Consolo dichiara decisamente il desiderio di testimoniare il senso storico del suo tempo. In questo caso la testimonianza riguardante la situazione del paese è un espediente narrativo esemplare della tecnica della trasformazione che si gioca su capovolgimenti. La generazione di Consolo ha conosciuto un mondo che era la civiltà contadina è che poi ha cominciato a sostituire la vita con le cose, con la merce. In conseguenza è accaduto lo spostamento della centralità dell’essere e la sua sostituzione con l’avere. La rapidità di questo processo ha lesionato anche le altre sfere dell’attività umana. Secondo Consolo il movimento delle masse contadine ha portato alla distruzione della cultura popolare. Anche un discorso svolto dallo scrittore sui colpevoli di questo stato di cose indica chiaramente i politici un primo luogo e poi gli intellettuali. Questa idea di responsabilità sopravvive nella coscienza letteraria consoliana, specialmente quanto il narratore sottolinea la propria provenienza siciliana. In questo paesaggio dell’Italia corrotta e arrettrata, Milano è cominciata ad essere considerata come la città dell’utopia, senza sopraffazione e violenza. Non è quindi per un caso nemmeno da questo punto di vista, in fondo, che Vincenzo Consolo come Verga e Vittorini, approdì a Milano. Con il passare di tempo nasce la delusione. La cosa da notare subito è la convinzione di Consolo della responsabilità maggiore della Milano moderna, siccome più dotata nel campo di lavoro e di cultura, della digradazione e dell’avvilimento.
7 Ibidem, p. 25.
Si capisce ancora meglio, così, perché sia proprio quest’inclinazione a renderci più coscienziosi e più sensibili ai problemi della realtà circostante. Esaminando il percorso dello sviluppo del romanzo politico, Consolo pronuncia apertamente la sfortuna di Sciascia e di Pasolini. Il primo è stato dimenticato, il secondo invece, è stato imbalsamato in una nicchia di santità laica. Nelle sue narrazioni ci si rivolge come un’ultima volta a uno spazio e a un tempo che stanno per svanire definitivamente. Attingendo ai maestri come Verga, Pirandello, Vittorini, Consolo vuole mettere in evidenza una realtà che si può raccontare. Non consumata dall’informazione, dalla televisione o dai giornali ma capace di far sopportare e di capire la realtà. Una delle caratteristiche di questo modo robusto di narrare è quel ricorso frequente alla parola “armonia” che è diventata una parola chiave nel suo vocabolario di scrittore. Si scopre così che, correntemente alla sua essenza patetica, questa parola, come specchio e rappresentazione dello sguardo che lo affronta, può diventare un espediente che renderà più facile il conciliarsi con la vita e con la realtà. È altrettanto importante mettere in evidenza un’altra costante della produzione letteraria consoliana e cioè, la volontà di decifrare un passato remoto. L’atteggiamento di protesta contro la dissacrazione del nostro tempo. Gli elementi della materia che diventano veri e propri protagonisti della memoria di Consolo sono tra l’altro: le pietre, le piante e il mare. La loro capacità di ipostatizzare lo sguardo che li contempla e di oggettivarlo in una forma visibile, non si trasforma mai in pura contemplazione ma cambia nell’esperienza interiore. La memoria del mondo ormai dimenticato e trascurato diventa anche il modo per salvarlo. Con questo espediente lo scrittore vuole opporsi al senso della precarietà del mondo moderno. Nella prefazione al saggio di Basilio Reale lo scrittore constata: Ho sempre pensato la letteratura siciliana (e non solo la letteratura, ma la pittura, la scultura, la musica: l’arte insomma) svolgersi su due crinali, su due filoni o temi distinti: quello della storia e quello dell’esistenza (o della natura, o del mito)8 .
8 V. Consolo: Prefazione. In: B. Reale: Sirene siciliane. L’anima esiliata in “Lighea” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Bergamo, Moretti & Vitali Editori, 2001, p. 15.
La memoria di quel mondo viene conservata anche nella dimensione di fuga dal paese. La fuga che è possibile forse solo in letteratura. La letteratura come possibilità di staccarsi dalla Sicilia, pur restando in Sicilia: l’esilio dall’interno. Molto legato ai valori come l’orgoglio, l’umiltà e il pudore, Consolo constata che la mancanza di pudore che ormai fa parte di ogni settore dell’attività umana, lo disorienta e offende. La paragona a una forma di violenza, come nei teatri anatomici quando si squadernavano i corpi. Parlando dell’importanza della memoria, lo scrittore rievoca la testimonianza di Pirandello, vissuta a circa due anni e legata ad un’eclisse solare che diventa un autentico archetipo della scrittura pirandelliana e un’ipostasi che è presente anche nella narrativa di Consolo9 . La prova di ricostruire questa memoria storica riguarda un mondo in cui la memoria sta per annullarsi. Ne rimangono solo delle apparenze e degli stereotipi. Per salvare questa realtà acquisisce soprattutto una forza dell’espressione linguistica, il richiamo alla lingua: unico segno realmente distintivo e significativo di appropriazione del mondo nelle possibilità di narrarlo, il che vuol dire per Consolo di ricrearlo narrativamente. Non a caso Giulio Ferroni riconosce allo scrittore il merito di essersi mosso alla ricerca di un linguaggio capace di unire in sé “la curiosità storica e razionale di Sciascia e il violento plurilinguismo di Gadda”10. Per Consolo la forza stilistica e inventiva diventa simbolo dell’aspirazione barocca a inglobare i diversi aspetti del reale in un complesso eterogeneo, ma organizzato. Le stesse ansie e inquietudini che, come si è visto, stanno a fondamento della ricerca dello scrittore siciliano, permeano altrettanto la prosa di diversi autori legati alla loro terra, alla loro regione, al loro quartiere. Il rapporto con il nichilismo del Novecento, la crisi di valori, la redifinizione dell’identità, i temi fondamentali non solo dell’opera di Consolo non solo hanno volto l’attenzione di molti su
9 Consolo, questa prosa, la nomina “la memoria di un’eclisse”, cfr. F. Parazzoli: Il gioco del mondo…, p. 29. 10 G. Ferroni: Storia della letteratura italiana. Milano, Einaudi, 1991, p. 129.
questi problemi ma sono anche stati oggetto di analisi di vari critici11. Joanna Ugniewska, nella parte conclusiva del saggio di Matteo Collura ci ricorda che l’autore, attingendo al modello vittoriniano del viaggio orientato verso i luoghi dell’isola d’infanzia e di origine, definisce la propria narrazione come il percorso verso luoghi dove la memoria è stata imprigionata12. Nel corso del Novecento la critica aveva riesaminato con accenti più serrati il ruolo degli autori siciliani. Alcuni di loro come Elio Vittorini e Leonardo Sciascia e un po’ più tardi Giuseppe Tomasi di Lampedusa sono stati premiati con il Nobel per la letteratura, gli altri hanno goduto un notevole successo editoriale. Nel quadro di questo pensiero siciliano non sarà luogo d’azione a sancirne il suo carattere originale. È vero che le narrazioni consoliane sono ambientate nella Sicilia, ma accade che le opere degli autori rievocati presentino i contesti geografici più neutri e generici. Da questo punto di vista, dunque, la provenienza potrebbe risultare un mero dato anagrafico. Ma in effetti la personalità consoliana era lungi dal limitarsi a tale rapporto tra la terra di nascita e le scelte future, tra l’aspirazione e i contrasti della vita, rapporto in certo modo risolto nella posizione dello scrittore di estrema apertura verso il reale, quale era propria di una scrittura che avverte in sé il continuo bisogno di nuovi orizzonti e di nuove situazioni. Se si volesse configurare la letteratura d’arte come perenne conflitto di “rappresentazione” e di “intellettualità”, si dovrebbe tornare mentalmente allo Stilnovismo, ma la presenza del momento intellettualistico è percepibile anche nell’arte moderna. Nel suo saggio dedicato agli scrittori siciliani del Novecento, Massimo Naro constata che l’atteggiamento intellettuale degli scrittori isolani si innesta sulla loro provenienza, non solo nel senso anagrafico o geografico, ma molto più profondamente, con le implicazioni etiche come antichi modi
11 Cfr. G. Pellegrino: Lotta, memoria e responsabilità: Eraldo Affinati. In: Scrittori in corso. Osservazioni sul racconto contemporaneo. A cura di L.A. Giuliani, G. Lo Castro. Soveria Mannelli, Rubbettino, 2012, p. 155. 12 Cfr. M. Collura: Na Sycylii. Przeł. J. Ugniewska. Warszawa, Fundacja Zeszytów Literackich, 2013, p. 158.
di percepire il mondo a partire dalla terra di nascita13. L’esperienza siciliana diventa una specie di prospettiva nella quale gli autori contrappongono l’isola ad ogni terraferma. Più netti sono i contorni dell’isola, più il mondo fa da sfondo, diventa il miraggio. Così, quando lo sguardo degli scrittori entra “dentro” l’isola, la descrizione della concretezza fisica dello spazio non perde mai di vista gli elementi “strutturali” della Sicilia stessa. Una concretezza descrittiva che non trascura la peculiarità funzionale di questa scrittura, di esprimerne la gratitudine e la nostalgia. Questa caratteristica dell’ottica siciliana viene confermata fortemente nell’analisi del titolo dell’opera di Antonio Di Grado Finis Siciliae14 svolta da Anna Tylusińska-Kowalska nella parte introduttiva al volume dedicato alla produzione artistica di Leonardo Sciascia, Gesualdo Bufalino, Vincenzo Consolo, Luisa Adorno e Matteo Collura15. Nel commentare il titolo del libro citato del Di Grado e il contenuto del proprio volume, la studiosa sottolinea la funzione del diversificato paesaggio siciliano da cui scaturisce il mito della tradizione, del legame con la terra di nascita e della storia non sempre felice. Pirandello ha già definito le caratteristiche di questa specie di ottica, usando il termine “raziocinare” per questo modo di esaminare: volutamente più lento, più pacato, meno calcolante e più poetico, ma sempre capace di focalizzare l’attenzione sulle questioni problematiche e urgenti del tempo. Le cose hanno un volto diverso nel senso che qui sono appunto gli scrittori a porsi delle domande che nelle altre parti del mondo si pongono dei filosofi: sull’esistenza, sulla verità, sulla giustizia e sul potere. Gli echi dello stesso dibattito sorgono nei pensieri di Gesualdo Bufalino che si chiedeva se ciò che l’uomo sperimenta sia conclusivo o provvisorio, reale o illusorio? Nelle sue
13 Cfr. Sub specie typographica. Domande radicali negli scrittori siciliani del Novecento. A cura di M. Naro. Caltanissetta—Roma, Salvatore Sciascia Editore, 2003, p. 6. 14 A. Di Grado: Finis Siciliae. Scrittura nell’isola tra resistenza e resa. Acireale— Roma, Bonanno, 2005. 15 Cfr. Literacki pejzaż Sycylii. Leonardo Sciascia, Gesualdo Bufalino, Vincenzo Consolo, Luisa Adorno, Matteo Collura. Red. A. Tylusińska-Kowalska. Warszawa, Wydawnictwo DiG, 2011, p. 9.
opere l’isola diventa metafora della teatralizzazione della vita16. Vale ancora aggiungere che nella sua ricerca appare chiara la volontà di valutare questa “qualità interrogante” della letteratura siciliana. Questo capitolo, di carattere esclusivamente introduttivo, si limita a considerare alcuni nomi e testi esemplari di questa lunga e complessa storia letteraria. La problematicità della letteratura siciliana si comprende nell’antirazionalità della poesia di Bartolo Cattafi, nell’opposizione tra certezza e dubbio nei libri di Giuseppe Antonio Borgese, nella contrapposizione tra fede e follia nei testi di Lucio Piccolo e Carmelo Samonà nella rappresentazione della dignità umana nelle opere di Elio Vittorini, nella ricerca del senso della vita in Francesco Lanza o in Nino Savarese, nella felicità perduta in Ercole Patti, nel nichilismo esistenziale in Sebastiano Addamo, nel dramma dell’emigrazione nella poesia di Stefano Vilardo, nell’impegno intellettuale di Vincenzo Consolo, nella protesta contro le violenze quotidiane di Dacia Maraini, nell’angoscia esistenziale nella narrativa di Gianni Riotta, Giosuè Calaciura e Roberto Alajmo. Consolo si realizza nella sua coscienza dell’intellettuale, egli misura costantemente la propria sorte d’uomo di cultura. Allude in questo modo alla tradizione l’iniziatore della quale viene considerato Dante — il primo intellettuale in senso moderno. Il sapere ritrovato è tutto orientato in senso “morale” e la reintegrazione della cultura nel destino dell’uomo segno un punto fermo nella storia della civiltà letteraria17. La caratteristica che unisce ambedue i personaggi è la coscienza “militante”. Alla letteratura siciliana è stato quindi assegnato il privilegio di colmare un ritardo, a sua volta necessario per riflettere sul valore e sulla ragione dell’esistenza umana. Giulio Ferroni denuncia la tendenza ad apparizione degli scrittori impegnati su altri terreni. Lo scrittore si pone cioè di fronte a un mondo passato e la sua continuità nel mondo postmoderno con gli strumenti mentali e catalogatori con cui aveva sempre osservato la
16 Cfr. J. Ugniewska: O zaletach peryferyjności, czyli jak można być Sycylijczykiem. W: Literacki pejzaż Sycylii…, p. 37. 17 Cfr. S. Battaglia: Mitografia del personaggio. Milano, Rizzoli Editore, 1968, p. 516.
resistenza della Sicilia continuamente decrescente18. Di qui il richiamo ad un rapporto difficile ma molto efficace tra memoria storica e ricerca linguistica, alle quali Consolo riconosce di essere “a livello d’indagine”. Un “livello” situato evidentemente nell’aver stabilito un nuovo rapporto con la realtà in cui appaiono mutati i fattori stessi del passato. Alla narrativa ha assegnato il dovere di confrontare la violenza del passato e quella del presente e provare la presenza della stessa continuità di un modo di soffrire e di cercare la via di salvezza. L’interesse per questi scrittori, che, con precisa terminologia, sono stati definiti siciliani, non è un fatto recente, ma ancora in fase di sistemazione critica. Nell’ottica della ricezione che esprime l’orizzonte dell’opera letteraria, si scorge negli scrittori siciliani la coscienza di un dramma e di un dissidio psicologico e quindi la profonda serietà morale dell’ispirazione. L’indagine più recente, mentre respinge l’interpretazione che fa degli autori siciliani le figure periferiche, accetta alcune conclusioni critiche precedenti, ma le integra con una nuova serie di proposte e di riconoscimenti. Vincenzo Consolo vive nella tradizione segnata dagli studiosi quasi esclusivamente per il fatto che fu l’amico, l’ammiratore e l’ereditario letterario di Leonardo Sciascia. Ma accanto a questa immagine esiste un’altra figurazione civica di Consolo, quella del letterato enciclopedico, che fa sentire nelle sue opere, con l’ardore della scoperta e l’ansia di comunicarla, tutto l’amore della scienza, della storia e della cultura. E non è da dimenticare il contegno civile di Vincenzo Consolo. Anche se opera nell’ambiente milanese, in uno stadio di involuzione più profonda, non è lontano dall’atteggiamento di partecipazione. Anzi, risulta propenso a stabilire fra la letteratura e la vita quotidiana un legame, in cui si celebri la nuova teorizzata libertà e dignità del letterato. La letteratura che prende avvio dalla Sicilia è caratterizzata dalla straordinaria pluralità e varietà delle voci in cui si esprime 18
Cfr. G. Ferroni, A. Cortellessa, I. Pantani, S. Tatti: Storia della letteratura italiana. La letteratura nell’epoca del postmoderno. Verso una civiltà planetaria 1968—2005. Vol. 17. Milano, Mondadori, 2005, p. 87.
31 il sentimento di una cultura letteraria assai più complessa e insieme obbediente a molte sollecitazioni. Una letteratura di transizione, segnata da parecchie fortissime personalità di orgogliosi cantori della propria terra e capostipiti della civiltà antica, e da una propensione ai tentativi e agli esperimenti, in cui si rispecchia la vita difficile, contradditoria, irta di delusioni e di utopie, di un mondo che si dibatte nella travagliosa ricerca di un nuovo ordine politico, morale ed intellettuale. Esperienza intima e reale è quella che Consolo invera nelle sue opere e che egli fa conoscere distinguendo, su un fondamento assiologico due cose: il valore metaforico di vicende individuali nelle quali ciascuno può ritrovare le proprie passioni e il valore universale dei fatti della storia siciliana con le loro proiezioni ed interpretazioni. Bisogna quindi accostarsi alle opere consoliane come a una cronaca, i cui personaggi rappresentano una specie di dramatis personae, capaci di facilitare il passaggio dalla confessione e dall’indagine psicologica e antropologica ai processi della conoscenza di una più profonda e più complessa realtà, quella che non vive costretta nei limiti di questo, cioè, isolano, spazio. Il significato che assumono gli eventi riportati da Consolo nelle narrazioni, per esempio la strage che conclude il suo ultimo romanzo, risulta assai vasto. Lo spasimo di Palermo sembra una sconfitta della ragione di fronte alla violenza, invece secondo il messaggio metaforico può assumere il valore della presa di coscienza della società civile rinata. Nei romanzi consoliani vi è presente un’immensa esperienza di vita, ed è presente come può esserla a chi non solo la contempla ma anche a chi si mescola fra la vita. I flashback che illuminano l’infanzia difficile dei protagonisti consoliani, la fuga dall’isola e il deludente soggiorno a Milano sono raccontati come il dramma umano che appartiene all’universale travaglio. Questa prosa ci offre, alle soglie della civiltà postmoderna, un’ampia documentazione di fatti e di figure, un quadro mobile e profondo delle società e delle storie diverse. Non sorprende affatto, quindi, che in polemica con l’esistenza e la funzione del confine gli scrittori siciliani non abbandonassero il carattere della loro terra, indicando come correlato della sua consi – 32 Capitolo I: Vincenzo Consolo — essenza della sicilitudine stenza non la limitatezza causata dal mare, ma la fermezza della vicinanza del continente. Nell’immaginario degli autori siciliani l’isola risulta dunque un paesaggio percepito prima staticamente (da lontano) e poi dinamicamente (dall’interno), in una dialettica giustapposta tra “dentro” e “fuori”, tra spazio guardato e spazio vissuto che corrisponde alla duplice essenza dell’isola stessa, che è per definizione un luogo d’accesso posto al confine con mare, uno spazio in cui si abita in uno spazio in cui si viaggia. Per i siciliani le relazioni di spostamento seguono questa fenomenologia lineare di inoltramento (varcare il confine, passare il mare), che si accorda a un’inclinazione all’esplorazione delle direzioni ben determinate come: l’America, l’Italia e l’Europa occidentale. Nell’intreccio di queste istanze antitetiche ancora più nitido sembra il capovolgimento della situazione siciliana, che affonda in complesse dinamiche sociali e antropologiche. La Sicilia, dall’essere terra di emigrazione, è diventata la terra di immigrazione. La sintesi più valida del ribaltamento avvenuto, la dobbiamo a Leonardo Sciascia che nel suo racconto intitolato Il lungo viaggio presenta la partenza dei clandestini da una spiaggia tra Gela e Licata in cui adesso approdano gli immigrati dal Nordafrica. Un’attenzione più dettagliata al rapporto fra la letteratura e la storia viene espressa molte volte nei libri degli scrittori siciliani contemporanei. All’efficacia della storia reinterpretata dalla scrittura non si può non accostare quella della produzione letteraria sempre più florida che spesso coincide con la prima. L’attenzione per la scrittura siciliana è un fenomeno rilevante e procede di pari passo con le vere esplorazioni delle presenze letterarie che si compiono sempre più sistematicamente. Accanto agli autori e ai temi di massima rappresentatività, vi si trovano quelli più recenti che completano l’artistico panorama siciliano. Tra gli argomenti narrati quelli più frequenti riguardano l’espatrio (in America, in Africa, in Germania) e l’attuale condizione della penisola siciliana. Non di rado gli scrittori siciliani tendono a rappresentarsi in questo luogo in cui si concretizza la loro invenzione. Del ritorno in Sicilia scrivono dunque: D’Arrigo, Brancati, Vittorini, Consolo. Secondo Ignazio Romeo: “Tornare significa infatti anche, metaforicamente, Vincenzo Consolo — essenza della sicilitudine 33 scavare in se stessi e nella propria storia, cercare l’estraneo in quello che si è familiare: guardare, insomma, in profondità e a distanza”19. Ma è vero anche che da questo spazio limitato fisicamente si aprono i grandi percorsi della cultura e della fantasia. Sono due elementi fondamentali che reggono l’asse assiologico della letteratura siciliana, il primo riguardante il dibattito relativo all’attuale e storica esistenza umana e il secondo relativo alla letteratura stessa e il suo ruolo nella nostra modernità. Non si tratta di due realtà distintive che finiscono con lo scontrarsi ma di due componenti che complementandosi occupano un posto considerevole nel panorama letterario non solo siciliano o italiano. La forza dell’autoriflessione letteraria degli scrittori siciliani finisce nella maggior parte dei casi come il metadiscorso. Le domande sul senso dell’arte, poste da Verga e Pirandello — i primi esploratori di tale problematica, hanno un carattere ben definito. Una specie di slittamento metonimico da una fase di lotta per la ricchezza ad uno stadio di lotta per la parola, il contrasto essere/apparire, la permanenza del binomio vita/teatro diventano motivi costanti di chi vuole autointerrogarsi. Non meraviglia dunque il fatto che tutto ciò che Pirandello nomina nei Quaderni di Serafino Gubbio operatore ”il tumulto della civiltà” trae l’ispirazione dalla figura leopardiana del poeta “inattuale” che ha provocato la discussione sulla relazione tra la scrittura e la lettura, l’autore e il pubblico20. Si radica ai nostri occhi l’opinione che la Sicilia sia soltanto il simbolo, l’espediente che consente di stabilire un contatto tra l’uomo e la sua identità. Vincenzo Consolo si dedica alla stesura delle sue opere ricorrendo alla pluralità linguistica che caratterizza la sua espressione letteraria. Accanto all’uso del lessico dell’italiano comune, il prosatore si serve del dialetto siciliano con delle varietà di re19 I. Romeo: Passare il mare. Dall’emigrazione all’immigrazione: cento anni di memorie e racconti nelle pagine degli scrittori siciliani. Palermo, Regione Siciliana, Assessorato dei beni culturali ed ambientali e della pubblica istruzione, Dipartimento dei beni culturali, ambientali e dell’educazione permanente, 2007, p. 12. 20 Cfr. L. Fava Guzzetta: Dalle domande della scrittura alle domande sulla scrittura. La coscienza letteraria dei siciliani. Caltanissetta, Sciascia, 2003, p. 11. 34 Capitolo I: Vincenzo Consolo — essenza della sicilitudine gistri e di toni dal domestico familiare al lirico-volgare21. Giuseppe Bellia, analizzando il modo di scrivere consoliano, parla dell’autonomo sviluppo del filone gaddiano rafforzato dalla ricerca costante di linguaggi antichi, di tradizioni locali e di ritualità arcaiche. E nell’affermato gusto barocco dello scrittore riconosce il meccanismo di un reperimento o di un ritrovamento della parola e non della sua invenzione22. Rifiuta le parole e i pensieri comuni, cerca con accuratezza quelle che rinchiudono il più d’accessori, esimio soprattutto nella scelta degli epiteti e dei verbi. Mira ad esprimere molto in poco. Ha l’idolatria della parola, non solo come espressione dell’idea, ma staccata, presa in sé come suono, attento a separare le parole nobili dalle plebee, le poetiche dalle prosaiche, ed raccontare tutto con sincerità. Anche nell’uso delle parole poetiche Consolo segue l’ultimo Verga che invade lo strato sintattico introducendo le formule dubitative. Con questo procedimento lo scrittore ha dichiarato l’allontanamento dal centro ed ha espresso la mancanza di una univocità dei significati23. La prosa consoliana manifesta un’inquietudine uguale causata dall’assenza dell’interlocutore immediato inscrivendosi nell’attuale discorso sulla comunicazione letteraria. Lia Fava Guzzetta nomina Consolo “un intellettuale meridionale, consapevole di una ‘ferita’, di una esclusione e di uno sradicamento”24 che si applica allo studio profondo del passato troppo facilmente rifiutato dalla società odierna. La difficoltà sta nell’impossibilità dell’abbinare la parola di oggi alla rappresentazione della Sicilia di una volta. La narrazione che avviene per frammenti viene paragonata a volte alla dimensione del reportage giornalistico. Anche Giuseppe Traina nel suo saggio dedicato allo scrittore siciliano mette in rilievo l’importanza di questo genere destinato da Consolo alla testimonianza degli avvenimenti accaduti negli ultimi anni come, per esempio, i funerali dello studente Walter Rossi, militante della sinistra extraparlamentare ucciso
21 Cfr. G. Passarello: Un’isola non abbastanza isola. Palermo, Palumbo, 2007, p. 136. 22 Cfr. G. Bellia: L’obliquo percorso della memoria. La scrittura di Vincenzo Consolo tra storia, ritualità e sdegno. In: Sub specie typographica…
23 Cfr. L. Fava Guzzetta: Dalle domande della scrittura…, p. 15. 24 Ibidem, p. 19.
35 dai neofascisti25. Perciὸ, per evitare l’ambiguità del discorso, Consolo ricorre più volte ad un referente diverso dalla scrittura, appartenente invece al campo delle arti figurative, come i quadri di Antonello, di Caravaggio e di Raffaello, i dipinti di Clerici. Il romanzo Lo spasimo di Palermo vuole essere infatti la manifestazione della forza stilistica orientata verso la ricreazione di una speranza di giustizia e di razionalità nel modo in cui dominano oppressione e terrore anche se la sospensione della comunicazione tra un padre e un figlio espressa tramite il motivo di una lettera rimane una tra le scene più suggestive di questo romanzo che tratta dell’impossibilità della continuazione di scrivere. Consolo è cosciente delle conseguenze della postmodernità così come lo era George Steiner che nel Linguaggio e silenzio parla dell’esaurimento dell’era verbale e del dominio delle forme “postlinguistiche” e addirittura del silenzio parziale26.
25 Cfr. G. Traina: Vincenzo Consolo. Fiesole, Cadmo, 2001, p. 21. 26 Cfr. G. Steiner: Linguaggio e silenzio. Milano, Garzanti, 2001, p. 56.
Aneta Chmiel ” Rompere il silenzio I romanzi di Vincenzo Consolo“