GIUSEPPE DI MAIO INCONTRA VINCENZO CONSOLO: UNA TESTIMONIANZA INEDITA SULLE FESTE PATRONALI SICILIANE

Miguel Ángel Cuevas (Universidad de Sevilla)

Una mattina dell’agosto 2005 ho accompagnato il documentarista siracusano Giuseppe Di Maio ad un incontro con Vincenzo Consolo nella sua casa di Sant’Agata di Militello. Il regista, alle prese con le sue ricerche sulle feste patronali isolane, ne avrebbe ricavato la testimonianza dello scrittore. L’intervista-conversazione tra i due, finora inedita (e sotto trascritta), costituisce la più articolata riflessione consoliana sull’argomento; solo paragonabile ad un intervento, altrettanto azzeccato ma di portata molto minore, riguardante le fotografie sulle feste religiose di Ferdinando Scianna (Consolo 1980).
Nel 2003, Giuseppe Di Maio aveva fondato a Catania, con Alessandro Aiello, l’Associazione Documenta – Osservatorio Tradizioni Popolari, che nel 2004, con il contributo alla regia di Angelo Di Cataldo, presentò il suo primo film, Di luni s’accumincia lu ran chiantu, un lungo documentario sui lamenti della Passione nell’entroterra isolano, nell’ennese e nel nisseno,[1] che ottenne il premio al miglior documentario nel Festival Taranto Cinema 2005, da una giuria presieduta da Morando Morandini. In questo 2005 Di Maio e Aiello, allontanandosi alquanto dalla prospettiva iniziale (ma dando pure l’avvio ad un interesse che li avrebbe portati a documentare la presenza in Sicilia di svariate manifestazioni artistiche e letterarie, autoctone o meno), girano un breve filmato, 47 frammenti,[2] sulla mia omonima antologia di poesie. Riprendono subito, però, la strada iniziale per dare corso al più proficuo forse dei loro impegni: quello appunto di documentare le tradizioni popolari. Alla fine dell’anno montano Diario di viaggio. Immagini e suoni delle feste patronali in Sicilia,[3] una serie di 24 microdocumentari, a mo’ di schede, girati tra maggio 2004 e settembre 2005, in altrettanti paesi delle province di Agrigento, Catania, Enna, Messina e Siracusa. Un Viaggio a Sutera nel 2009 rinsalda l’incontro con il «suono osseo, di pietra»[4] della musica dei Fratelli Mancuso, già incrociati per De luni s’accumincia lu ran chiantu. E, nel 2011, una serie di sette mediometraggi dal titolo complessivo Pianeta Sicilia illustra l’intento culturale e antropologico su cui poggia l’operato di Documenta: «raccogliere e accostare tanti frammenti, tasselli di un ideale mosaico. […] Stravaganze e stranezze, credenze, cerimonie religiose e riti pre-cristiani si alternano in maniera caotica e magari incoerente formando per sovrapposizione un’immagine […] dell’Isola e dei suoi abitanti».[5] Fanno parte della serie, tra gli altri, i filmati sul catanese Cuntu di Peppa ’a Cannunera; sulla Casa Museo Antonino Uccello a Palazzolo Acreide; sulla Pasqua indiavolata a San Fratello, Prizzi e Adrano; ancora sui Fratelli Mancuso a Sutera o su Maria Attanasio e Caltagirone.[6] Le consonanze con alcuni degli interessi (e con taluni spunti narrativi) che testimoniano certe pagine di Vincenzo Consolo[7] e della stessa Maria Attanasio sono evidenti, così come – per quanto riguarda le feste religiose – la prospettiva che li accomuna: che, scrive l’autrice in Viaggio nel nero, vede le feste religiose come «superstite memoria – che nel sacro riscatta la violenza della storia – di transiti, invasioni, mescolanza di razze […]» (Attanasio 2005: 47).[8]
Sempre nel 2011, Documenta – questa volta è Davide Brusà l’aiuto regista di Di Maio – porta a termine il montaggio di Uocchiu di crapa. Le voci di Sciascia, presentato in anteprima nel novembre 2009 all’Università di Siviglia.[9] L’organizzazione del convegno Diverso è lo scrivere. Scrittura poetica dell’impegno in Vincenzo Consolo (Università di Catania, marzo 2013), ne affida ad Aiello e Di Maio la documentazione.[10] Gli ultimi lavori di Documenta risalgono al biennio ’13–’14, in buona misura legati all’esperienza di Viù Arti Visive:[11] sul pittore catanese Kranti. Segni di un ladro di segni;[12] sull’artista americano Philip Hipwell, Everithyng is abstract;[13] Escribir el hueco – Scrivere l’incàvo, sui versi del mio omaggio allo scultore basco Jorge Oteiza[14], tra gli altri.
Alessandro Aiello continua la sua attività nel collettivo artistico canecapovolto, fonda la Scuola fuori Norma (dove prosegue con le proprie ricerche nel campo del radiodramma, del cinema e la musica sperimentali); già docente all’Accademia di Belle Arti di Palermo, passa a insegnare in quella di Catania. Giuseppe Di Maio, da anni educatore sociale in centri pubblici d’accoglienza per ragazzi disagiati, viene invece nominato nel 2015 giudice onorario del tribunale dei minorenni cittadino.[15] Il regista siracusano è scomparso prematuramente nell’agosto 2020.
Vincenzo Consolo, quella mattina d’agosto a Sant’Agata, mordendosi con gesto caratteristico il labbro inferiore, ironico ma fermo, mi invitò a fare una passeggiata nel paese mentre loro due parlavano di quel che dovevano parlare. C’è attestazione audiovisiva di quell’incontro tra lo scrittore e il documentarista, ma non è stata mai resa pubblica.[16] La registrazione, una ventina di minuti, parte ex abrupto, senza alcuna domanda. L’inquadratura è sempre la stessa: lo scrittore seduto nel divano del soggiorno, qualche incisione antica sul muro dietro lui, e in un angolo il piccolissimo Cristo ligneo che conoscono i frequentatori della casa, trovato tra le macerie di una chiesa diroccata sui Nebrodi.[17]  Ripreso di mezzobusto, lateralmente, non guarda la cinepresa, gesticola poco, tranne quando la testimonianza finisce col diventare conversazione, momenti in cui fissa l’operatore. Eccone il montaggio verbale delle riprese: Nella mia infanzia, adolescenza, non ho memoria di particolari feste religiose, qui nel mio paese, perché è un paese giovane, e quindi si è formato, diciamo, in tempi relativamente recenti. È un paese di pescatori, di contadini, e non avevano delle grandi tradizioni di feste popolari. Ma quando ho preso consapevolezza del luogo dove abitavo, cioè della Sicilia, e ho cominciato a girare, a inoltrarmi in questi paesi dei Nebrodi, che sono dei paesi con antica storia, ho incominciato a vedere le prime feste religiose: per esempio la festa di San Fratello, dei Giudei[18], durante la Settimana Santa; e poi la festa di San Giovanni ad Alcara Li Fusi, che va sotto il nome della festa del Muzzuni;[19] la festa di San Calogero a San Salvatore di Fitalia…[20] Ma sempre qui, in questa zona dei Nebrodi. A San Marco d’Alunzio c’erano anche la festa di San Luca, la festa dell’Aracoeli, cogli incapucciai.[21] Poi, quando incominciavo a frequentare le altre parti dell’Isola, la Sicilia occidentale, la Sicilia orientale, e soprattutto quando ho conosciuto Leonardo Sciascia[22] e andavo a trovarlo a Caltanissetta, allora ho visto la festa delle Vare del Giovedì Santo. Mi ricordo che la prima volta che ho assistito a questa festa c’era, ospite, una ragazza tedesca, che stava facendo la tesi su Leonardo; abbiamo assistito da un balcone alla festa, e alla fine Sciascia ha chiesto alla ragazza: —Cosa te ne sembra?— e lei, da perfetta tedesca, ha detto: —Mi sembra un po’ troppo disordinata—. Disordinata perché questi portatori delle vare, naturalmente, alzavano un po’ il gomito, bevevano… Poi siamo andati a vedere il Venerdì Santo la festa a…
In questo momento, sorridendo, persa forse ogni minima concentrazione nel ricordo cordiale dell’amico e dell’aneddoto, taglia lo scrittore: «Ecco, mi sono inceppato, scusami». Si ferma la registrazione; riparte, e dopo un «Via!» di Di Maio, riprende Consolo: Dopo la festa chiassosa, diciamo, siamo andati il giorno dopo a vedere la processione del Venerdì Santo a Enna, che è una festa severa, con queste confraternite di incapucciati, con i simboli della Passione, che si svolgeva nel silenzio più assoluto, con queste nebbie di Enna che calavano: era veramente una visione suggestiva, una festa un po’ di tipo sivigliano, con queste tuniche bianche e questo capuccio in testa…[23] Ci accompagnava a volte, c’era con noi in queste feste il giovane Ferdinando Scianna,[24] che incominciava allora a fotografare le feste religiose, e da lì poi scaturì il libro che fecero assieme con Sciascia, appunto sulle feste religiose in Sicilia…[25] Poi, naturalmente, ho visto altre feste, la festa di Trapani, le vare bellissime, tutte monocrome in legno scolpito, del Seicento…[26]
Lo scrittore fa un breve silenzio; e continua:
Nei miei libri, questa esperienza e conoscenza delle feste religiose… Nei miei libri narrativi ma anche saggistici, ci sono pagine dedicate a queste feste. Conoscevo poi, naturalmente, i vari folcloristi siciliani, dal Pitrè a Salomone Marino e tutti gli altri. E ho trasferito, a partire dal mio primo libro, La ferita dell’aprile, il momento dello snaturamento, diciamo, e della trasformazione, nel subito dopoguerra, della festa dei Giudei di San Fratello: dove racconto che questi giudei, che erano, che rappresentavano gli antagonisti, gli uccisori di Cristo… ed erano i pastori, i contadini che recitavano questa parte, con questi costumi diavoleschi… erano gli antagonisti di una società, diciamo, più abbiente, i proprietari terrieri… Infatti, in anni lontani questi giudei diventavano anche violenti, perché compivano delle vendette, con delle catene che tenevano in mano, approfittando del fatto che erano mascherati… Ho raccontato appunto di loro, quando alle prime elezioni siciliane del ’47 sono stati portati giù, alla marina come si dice da noi, e usati per fini elettorali: insomma, questi giudei, sviliti, sono stati trasformati in propagandisti elettorali, distribuivano dei volantini per i vari candidati. E mi sembrò il primo svilimento di una tradizione popolare antichissima.[27] Poi anche in altri libri ho raccontato delle feste religiose in Sicilia, dalla Sicilia passeggiata[28] sino allo Spasimo di Palermo, in cui racconto della visita che fa il protagonista Gioacchino Martinez con la moglie a Enna, dove assistono appunto alla processione degli incapucciati del Venerdì Santo…[29] Un anno ho partecipato anch’io al Festino di Santa Rosalia, a Palermo: ho scritto un testo sulla peste di Palermo del 1623…[30]
E qui Consolo, facendo ancora un silenzio, fissa Di Maio con gli occhi spalancati, l’unica volta che questo gesto si presenta in tutta la registrazione: a sottolineare inconsapevolmente quella storia, che avrebbe dovuto essere la cornice del romanzo mai scritto, Amor sacro, del quale restano appunto quelle poche pagine pubblicate in occasione del Festino palermitano del 2000, e qualche appunto sparso qua e là; e a sottolineare, pure, e pure inavvertitamente, il proprio smarrimento: pur essendosi affidato per anni a libri e documenti letti e riletti sull’Inquisizione in Sicilia, su Fra Antonino di Mistretta, sugli ebrei isolani, sull’eresia molinista a Palermo, tra i tanti altri, cercando una saldezza di scrittura dove approdare, mai raggiunta. E procede: La scoperta della Santa sul Monte Pellegrino, insomma tutte le vicende che conosciamo, che sono fra la storia e la leggenda. Quello che sempre mi ha incuriosito è che non c’è una festa popolare per San Benedetto che viene chiamato da Palermo. È un santo questo… era figlio di uno schiavo di San Fratello, era anche lui eremita sul Monte Pellegrino, è stato beatificato. Ma quando c’era la peste a Palermo c’e stata una lotta fra francescani (questo frate era francescano) e gesuiti, per nominare, diciamo, il protettore della città. Vinsero i gesuiti, e allora fu inventata (dico inventata nel senso di inventio) la Santa Rosalia: furono scoperte le ossa sul Monte Pellegrino e quindi la Santuzza divenne la santa protettrice di Palermo. San Benedetto, sconfitto, venne dal re di Spagna esportato in Sudamerica, naturalmente con intenti politici, per tenere buone le popolazioni di colore. Questo santo è molto popolare in Argentina, in Perú, in tutta l’America Latina. E quel quartiere di Borges, che lui chiama Palermo, in effetti è San Benito de Palermo, intitolato appunto a questo santo nero, a questo santo schiavo che viene proprio da San Fratello, beatificato per il suo essere stato eremita sul Monte Pellegrino. Ecco la contrapposizione fra questo santo di colore e la Santa, Rosalia, che discendeva addirittura (perché le è stato creato un albero genealogico, suo padre si chiamava Sinibaldo), discendeva addirittura da Carlomagno, era nobile, vergine, bianca, e quindi prevalse. Dico che bisognerebbe riscoprire questi santi di colore in Sicilia, per esempio la Madonna del Tindari, i San Calogeri. Bisognerebbe veramente, in questo nostro mondo che ormai si sta trasformando, con l’arrivo di questi poveri immigrati disperati, bisognerebbe riscoprire la storia di questi santi di colore in Sicilia.[31]
Ancora uno stacco nella registrazione. E ancora il via! dell’operatore: In quest’isola dove l’uomo è solo, come ci ha insegnato Pirandello, è chiuso nella sua individualità, nella poca attesa che ha dalla parte sociale, dalla parte esterna, nella chiusura nell’ambito famigliare…, le feste religiose, come ci ha insegnato Sciascia, erano un momento di grande socialità, di aggregazione sociale, il momento in cui il siciliano usciva dalla sua solitudine e dove avveniva la comunicazione, avvenivano gli incontri, ed erano momenti assolutamente unici, e importanti anche per cercare di liberare le chiusure dell’uomo siciliano. Cogli anni poi queste feste religiose, rivedendole qualche volta come mi capita, si sono assolutamente snaturate, sono diventate molto esteriori, sono in mano alle varie pro loco… Voglio dire che i partecipanti alla festa ripetono per gli altri, sopratutto per quelli che li riprendono: finisce il momento religioso, e finisce anche il momento della comunicazione sociale, della partecipazione collettiva, e quelli che partecipano alla festa non sono più spettatori e partecipi ma, come dire, attori, attori di uno spettacolo che poi rivedranno a casa loro alla televisione. La televisione, senza demonizzarla, ma forse bisognerebbe farlo, ha trasformato la nostra vita, e quindi ormai l’individuo vive nella solitudine della sua casa, vive nei momenti di pausa, così, guardando quello che Quasimodo chiama il video della vita: io lo chiamo il video della morte. Questo nostro ormai è un paese che io chiamo telestupefatto, e i risultati poi si vedono in ogni campo, insomma, nel campo religioso ma anche politico e culturale, in ogni senso, in ogni aspetto della vita: chi non appare non è, non esiste, quindi bisogna cercare in tutti i modi di apparire, come sto facendo io in questo momento. C’è un’assoluta trasformazione che non sappiamo a cosa ci porterà: certo, a una omologazione del tutto in cui siamo immersi e che stiamo vivendo anche nel modo di esprimersi, nei modi di abbigliarsi, di vestirsi: basta guardare le nostre ragazze, i nostri ragazzi, col ventre al vento e i pantaloni sul ginocchio, il borsetto a tracolla e la testa rapata, così come hanno visto il commissario Montalbano alla televisione. C’è questo uniformarsi ai messaggi televisivi. E quindi anche le feste religiose, ahimè!, che avevano una loro verità e una loro profondità storica, ne hanno sofferto in questa trasformazione culturale.[32]
A questo punto interviene l’osservatore delle tradizioni popolari Di Maio, il documentarista delle feste patronali, e la testimonianza diviene infine conversazione, sotto l’unico sguardo attento che registra la cinepresa, quello dello scrittore Consolo: «Però —dice Di Maio—, a questo proposito ti volevo chiedere una cosa. Tra le tradizioni popolari nell’ambito siciliano, forse la festa popolare di tipo religioso è quella che invece resiste di più. I canti popolari già è difficile riscontrarli, e anche i lamenti stessi di cui abbiamo già trattato.[33] Quelli, con difficoltà resistono. Invece, ancora oggi, quasi a ogni paese, la festa popolare religiosa si mantiene. Come mai? Avresti una risposta?» «Ci devo pensare, Giuseppe —risponde lo scrittore—. Tu, come la interpreti questa qui, questa conservazione? Ci sono ormai delle piccole isole, qua e là…» «No —incalza Di Maio—, io quello che dico è che però ogni paese riesce ancora a conservare la propria festa del Santo». «Sì» —annuisce Consolo. «Quindi —prosegue l’operatore—, da un punto di vista sociale, in qualche modo, ancora il ruolo della Chiesa… io da questo punto di vista la volevo impostare… riesce ancora ad attecchire…» «Sì» —ripete lo scrittore. E continua Di Maio: «Allora, è un problema ancora di fede, nonostante tutto…» E Consolo: «Io dubito, sinceramente. Forse non lo è mai stato un fatto di fede; era un fatto, appunto, di tradizione popolare, di tradizione culturale, perché insomma… u siciliano[34] non crede in Dio, crede nei Santi» —e sorride sornione.
«Non so» —si sente la voce di Di Maio. Di nuovo uno stacco. Siamo alla conclusione delle riprese. Parla Consolo: Ricordo, col fenomeno dell’emigrazione meridionale nel nord dell’Italia, collaboravo allora con il«Tempo illustrato», un giornale molto bello dove scriveva Pasolini, Giorgio Bocca, Davide Maria Turoldo… Sono andato a fare un’inchiesta in un quartiere periferico di Milano che si chiama Pioltello Limito, dove c’era una comunità di Pietraperzia, perché c’erano le trafile del ricamo e si era formata questa comunità di pietraperziesi[35]. E lì questi siciliani avevano trasferito anche la loro festa popolare, che era quella del Venerdì Santo con il Cristo morto e con i lamenti. Si erano fatti rifare la statua come quella del paese che avevano lasciato, identica, e quindi facevano questa processione il Venerdì Santo. Il parroco a un certo punto gli impedì di fare i lamenti, dicendo: —Ma cosa è questo, questi lamenti arabi? —chiamandoli con disprezzo arabi; veramente non sopportando l’intrusione, diciamo, di una cultura, di una tradizione siciliana antichissima in questo contesto industriale di Milano, della Lombardia.[36] Fine della registrazione. Ma, tra parentesi, un’ultima postilla: come non la sopportava nemmeno, questa intrusione, pur in ben diverse chiavi e progressive, Elio Vittorini; testimone Stefano D’Arrigo[37].

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

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[1] Presentato in anteprima all’Università di Aquisgrana nel gennaio 2004, in occasione di un Incontro con la cultura siciliana organizzato dal Prof. Hans Felten (trailer disponibile in https://vimeo.com/156239216).[2] Prima alla Biblioteca Comunale di Caltagirone nel luglio 2005, per la presentazione dell’antologia (edita da Altavoz, 2005) a cura di Josephine Pace.[3] Presentato in anteprima, in fase ancora di riprese e quindi di montaggio, nel corso della rassegna La paura mangia l’anima (Teatro Club, Catania, marzo 2005).[4] Sottotitolo del documentario; disponibile in https://vimeo.com/140891538. Prima al Palazzo Reburdone di Caltagirone in occasione del 4º Festival Internazionale di Poesia (dicembre 2009).
[5] Dal comunicato stampa per la presentazione di Pianeta Sicilia al cinema King Cinestudio di Catania nel febbraio 2012 ((trailer disponibile in https://vimeo.com/156239996. [6] Il documentario completo sulla scrittrice calatina disponibile in codice QR in Adamo, Cuevas 2023: 17; anche in https://www.youtube.com/watch?v=9YeqDw3nmgA. [7] Oltre a quanto ha a che fare con le feste religiose (su cui infra), cfr. la testimonianza consoliana su Antonino Uccello in La casa di Icaro [1981] (Consolo 1988: 582-589). [8] Sulla festa religiosa cfr. pure Attanasio 2000: 23-29; anche le poesie della prima sezione (Gorgo della parola infanzia) della silloge Blu della cancellazione (Attanasio 2016: 17-33), che erano state già stampate con qualche variante nel libro di fotografie sulle feste patronali di Massimo Siragusa Credi (Siragusa 2003) nel quale partecipa anche Vincenzo Consolo con il racconto Il teatro del sole (già pubblicato da Interlinea nel ’99). [9] Il documentario venne proiettato a chiusura delle giornate di studio su Leonardo Sciascia Per un ritratto dello scrittore (trailer disponibile in https://vimeo.com/156240347); cfr. Trapassi 2012. [10] Sul convegno, organizzato da Doroty Armenia, tra i primi – se non il primo – dedicato alla memoria dello scrittore scomparso l’anno precedente, cfr. Galvagno 2015. [11] Sede temporanea dell’Associazione Documenta, Viù Arti Visive apre nel centro storico di Catania nel 2013 uno spazio espositivo che per due anni ospita mostre fotografiche e pittoriche, presentazioni di libri, letture poetiche, proiezioni cinematografiche. Altri documentari del periodo: La Sicilia di Peter Waterhouse [sul poeta tedesco] (2013; trailer disponibile in https://vimeo.com/138844456; filmato completo in https://www.youtube.com/watch?v=34Pw2kyA2Ws), Quattro canti [sull’omonimo gruppo musicale] (2013; disponibile in https://vimeo.com/140886375), Percorsi siciliani. Outsider art. Viaggio alla scoperta dell’arte clandestina siciliana [2014] (trailer disponibile in https://vimeo.com/143537241). [12] Prima a Viù Arti Visive per la mostra dell’artista, dicembre 2013; disponibile in https://vimeo.com/156246106. [13] Prima alla mostra del pittore a Viù, curata da Giovanni Miraglia, aprile 2014; disponibile in https://vimeo.com/156247381. [14] Libro edito da Il Girasole, 2011. Prima del filmato a Viù nel maggio 2014 (trailer disponibile in https://vimeo.com/90202763), per la chiusura della mostra Mànnara. Operette umorali di Navamuel, con il titolo La vanga nell’aria. Poesie per Jorge Oteiza. [15] Gli appunti precedenti rendono conto inevitabilmente parziale di un’attività e di un materiale cinematografico ancora tutto da inventariare e catalogare; sarebbe auspicabile un’attenta ricognizione negli archivi personali di Alessandro Aiello e Giuseppe Di Maio, allo scopo di un’accurata ricerca sul loro lavoro di documentazione antropologica. Altri filmati di Documenta: Festa della Focara di San’Antonio Abate a Novoli (2006; trailer disponibile in https://vimeo.com/156241049), Teatrabilità (2006), Tarantafest (2007), Le donne e la guerra (2008), Santo Stefano Quisquina. Il ritorno in Wolfswagen (in Pianeta Sicilia, 2011), L’incanto. Puntalazzo (ivi), Il bastone siciliano (2012; trailer disponibile in https://vimeo.com/122986412), L’anti-Gattopardo [su Goliarda Sapienza] (2012; trailer disponibile in https://vimeo.com/122960172). [16] Ringrazio della generosa disponibilità la compagna di Giuseppe Di Maio, Mariagrazia Spedale. L’intervista-conversazione rimase inedita in attesa di un contributo – più volte richiesto e mai concesso – dalla Regione Siciliana per un film che avremmo realizzato su La Sicilia passeggiata. Allo stato di solo soggetto è rimasto pure un altro progetto comune, che riguardava un percorso cinematografico sui testi di Consolo nel suo risvolto visivo, ovvero sui riferimenti figurativi della sua opera. [17] Mi informa Claudio Masetta Milone, che cura con ammirevole zelo il sito ufficiale https://vincenzoconsolo.it/ e la casa letteraria dedicata allo scrittore nel Castello Gallego di Sant’Agata di Militello, che il Cristo (32x29x2 cm. circa), probabilmente settecentesco, è stato rinvenuto in una chiesa rasa a terra da una frana nella campagna dell’antico borgo di Castania, abbandonato tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento; restaurato, venne disposto su una lastra di cristallo (45x35x1 cm.), montata su un piccolo cubo di marmo rosso. [18] Documentata da Aiello e Di Maio nel documentario Pasqua indiavolata, in Pianeta Sicilia, cit. [19] Documentata da Diario di viaggio, cit. (riprese il 24-6-04). [20] Ivi (riprese il 20-08-05). [21] La cosiddetta festa dei Patroni a San Marco d’Alunzio porta in processione le statue di San Marco e San Nicola. Diario di viaggio documenta la festa di San Basilio (riprese il 2-8-04). [22] Sul rapporto tra i due scrittori cfr. Cuevas 2012. [23] Sullo stesso argomento, e quasi con le stesse parole, cfr. Consolo 2016b: 73s. [24] Il fotografo bagherese collaborò qualche anno dopo con Consolo in una sorta di reportage (Consolo 1969), «un racconto scandito sotto forma di otto didascalie numerate a corredo di altrettante fotografie», come scrive Nicolò Messina (Messina 2017), che ha esumato il testo come una tra le fonti di L’olivo e l’olivastro (1994). Sul rapporto tra i due si veda Consolo 1980. [25] Sciascia 1965, Il discorso di Consolo sull’argomento è mutuato in buona misura da questo scritto sciasciano: particolarmente per quel che riguarda l’interpretazione della festa dei Giudei a San Fratello, le riflessioni sulla festa religiosa come quasi unica occasione conviviale di uscita dall’isolamento coatto, o sulla non religiosità stricto sensu di tali manifestazioni nel popolo siciliano (cfr. ivi: 1162ss.). D’altronde, non è da escludere che Consolo si sia imbattuto nel saggio di Sciascia per la prima volta in quel frate Antonino da Mistretta, che tanta parte avrà nella praticamente non-scrittura dell’ultimo progettato romanzo, Amor sacro (cfr. ivi: 1150). [26] Cfr. Consolo 2009. [27] Cfr. il capitolo VIII de La ferita dell’aprile (Consolo 1963: 79-81); cfr. anche una breve sequenza del IV ne Il sorriso dell’ignoto marinaio (Consolo 1976: 202; un intero paragrafo di Conversazione a Siviglia s’intitola «La sarabanda dei giudei» (Consolo 2016b: 69s.); cfr. Pasqua indiavolata, cit.Nello stesso capitolo del romanzo d’esordio una brevissima sequenza riprende l’usanza di offrire dei soldi alle statue in processione (Consolo 1963: 82), particolare documentato in ben sei delle schede di Diario di viaggio. [28] Nell’explicit del capitolo secondo e per una gran parte di quello successivo (cfr. Consolo 1990a: 42, 45-50, 58s.). Alcuni di questi brani passano nei capitoli XI e XIII de L’olivo e l’olivastro e nel saggio La rinascita del Val di Noto [1991] confluito in Di qua dal Faro (Consolo1999) (per le procedure della manipolazione testuale cfr. Consolo 2016a: 97, 99; note 14 e 29).Alcune delle feste a cui fa riferimento Consolo sono state documentate in Diario di viaggio: San Paolo a Palazzolo Acreide (riprese il 23-6-04), la corsa dei “Nudi” per Sant’Alfio a Lentini (riprese il 10-5-04), Sant’Alfio, Cirino e Filadelfo a Trecastagni (ripreseil 10-5 del ’04 e ’05). Una filastrocca sui nomi dei tre santi ritorna nel cap. I de La ferita dell’aprile (Consolo 1963: 7). [29] Cfr. Lo Spasimo di Palermo, cap. VI (Consolo 1998: 932). [30] Cfr. i testi di Consolo, senza titolo, scanditi da apparenti sottotitoli tra cui ricompaino alcune didascalie goyesche già presenti nel cap. VII de Il sorriso dell’ignoto marinaio,nella brossura del Festino palermitano del 2000 (Consolo et. al. 2000: 13, 26-31). [31] La presenza di San Benedetto di San Fratello detto il Moro ricorre nella scrittura di Consolo, dalle Notizie che corredano il testo di Lunaria (Consolo1985: 341s), ai saggi La pesca del tonno in Sicilia [1986](Consolo 1999: 1023s.) e La retta e la spirale [1995] (Consolo 1999: 1235), al racconto Il miracolo [2000](Consolo 2012: 175-177); l’autore gli dedica diversi articoli su periodici e giornali (Consolo 1990b, 1995, 2000); compare pure nelle pagine per il Festino palermitano (Consolo et.al. 2000). In una stanza dell’appartameno milanese di Vincenzo Consolo e Caterina Pilenga era appesa un’icona raffigurante San Benedetto, opera dell’artista Beppe Madaudo (CIC esemplari numerati, interventi serigrafici e manuali ad olio su tavola preparata a gesso e colla, 60×50 cm.); il quadro si conserva nella casa letteraria del Castello Gallego nel paese natio dello scrittore (ringrazio ancora Claudio Masetta Milone per queste informazioni).Santa Rosalia (oltre a Consolo et. al. 2000., e soprattutto alla malia del nome – della santa, della fanciulla, della cantatrice, della modella – che impregna Retablo, Consolo 1987) è presente in Lunaria, sia nella favola teatrale che nelle note riportate nelle Notizie (Consolo 1985: 289, 349s., 355s.). Diario di viaggio documenta tre feste di San Calogero: due nell’agrigentino, nel capoluogo (riprese il 3-7-05) e a Naro (riprese il 8-6-04; al San Calogero di Naro assomiglia, «nerissimo di barba e pelle», frate Agrippino in Le pietre di Pantalica, Consolo 1988: 484); una nel messinese, a San Salvatore di Fitalia (riprese il 20-8-05; durante le feste per il santo in «Fitalia di montagna» si svolge parte del capitolo V de La ferita dell’aprile, Consolo 1963: 44-48); sempre in Diario di viaggio, ancora un’altra scheda documentaria sulla festa di San Cono di Naso (ME; riprese l’1-9-04), la cui statua presenta le sembianze di un gigante nero, come secondo la leggenda apparve per cacciare gli invasori turchi (sul santo e la suggestione dei nomi cfr. Il barone magico, Consolo 1988: 601). [32] Un risvolto satirico di questa riflessione nel racconto E poi la festa del patrono [1990] (Consolo 2012: 139-142). [33] Fuoricampo, c’è da supporre; ché, ripeto, non ero presente alla registrazione. [34] Così si sente nell’audio della registrazione, con l’articolo dialettale. [35] Sulla colloraborazione a «Tempo illustrato» cfr. Consolo 1993: 36; di questi reportages si legge pure nell’autobiografia appena velata del racconto E Ciro vide Anna Magnani [2008] (Consolo 2012: 228-230]). L’«inchiesta» in questione in Consolo 1970. [36] Altri testi consoliani in cui sono presenti in vario modo festività religiose: Befana di novembre [1960-70] (Consolo 2012: 11-13), Fra Contemplazione e Paradiso [1988] (Consolo 1999: 1058-1065, 1061), Il flusso perenne (Consolo 2003) Sicilia in festa (Cosolo 2007). [37] Cfr. Cuevas 2021. [Da: Coriasso, Cristina, Varela-Portas, Juan (eds.), «Con angelica voce…». Studi in onore di Rosario Scrimieri Marín, Ledizioni, Milano, 2023, pp. 293-310]
[1] Presentato in anteprima all’Università di Aquisgrana nel gennaio 2004, in occasione di un Incontro con la cultura siciliana organizzato dal Prof. Hans Felten (trailer disponibile in https://vimeo.com/156239216).[2] Prima alla Biblioteca Comunale di Caltagirone nel luglio 2005, per la presentazione dell’antologia (edita da Altavoz, 2005) a cura di Josephine Pace.[3] Presentato in anteprima, in fase ancora di riprese e quindi di montaggio, nel corso della rassegna La paura mangia l’anima (Teatro Club, Catania, marzo 2005).[4] Sottotitolo del documentario; disponibile in https://vimeo.com/140891538. Prima al Palazzo Reburdone di Caltagirone in occasione del 4º Festival Internazionale di Poesia (dicembre 2009).
[5] Dal comunicato stampa per la presentazione di Pianeta Sicilia al cinema King Cinestudio di Catania nel febbraio 2012 ((trailer disponibile in https://vimeo.com/156239996. [6] Il documentario completo sulla scrittrice calatina disponibile in codice QR in Adamo, Cuevas 2023: 17; anche in https://www.youtube.com/watch?v=9YeqDw3nmgA. [7] Oltre a quanto ha a che fare con le feste religiose (su cui infra), cfr. la testimonianza consoliana su Antonino Uccello in La casa di Icaro [1981] (Consolo 1988: 582-589). [8] Sulla festa religiosa cfr. pure Attanasio 2000: 23-29; anche le poesie della prima sezione (Gorgo della parola infanzia) della silloge Blu della cancellazione (Attanasio 2016: 17-33), che erano state già stampate con qualche variante nel libro di fotografie sulle feste patronali di Massimo Siragusa Credi (Siragusa 2003) nel quale partecipa anche Vincenzo Consolo con il racconto Il teatro del sole (già pubblicato da Interlinea nel ’99). [9] Il documentario venne proiettato a chiusura delle giornate di studio su Leonardo Sciascia Per un ritratto dello scrittore (trailer disponibile in https://vimeo.com/156240347); cfr. Trapassi 2012. [10] Sul convegno, organizzato da Doroty Armenia, tra i primi – se non il primo – dedicato alla memoria dello scrittore scomparso l’anno precedente, cfr. Galvagno 2015. [11] Sede temporanea dell’Associazione Documenta, Viù Arti Visive apre nel centro storico di Catania nel 2013 uno spazio espositivo che per due anni ospita mostre fotografiche e pittoriche, presentazioni di libri, letture poetiche, proiezioni cinematografiche. Altri documentari del periodo: La Sicilia di Peter Waterhouse [sul poeta tedesco] (2013; trailer disponibile in https://vimeo.com/138844456; filmato completo in https://www.youtube.com/watch?v=34Pw2kyA2Ws), Quattro canti [sull’omonimo gruppo musicale] (2013; disponibile in https://vimeo.com/140886375), Percorsi siciliani. Outsider art. Viaggio alla scoperta dell’arte clandestina siciliana [2014] (trailer disponibile in https://vimeo.com/143537241). [12] Prima a Viù Arti Visive per la mostra dell’artista, dicembre 2013; disponibile in https://vimeo.com/156246106. [13] Prima alla mostra del pittore a Viù, curata da Giovanni Miraglia, aprile 2014; disponibile in https://vimeo.com/156247381. [14] Libro edito da Il Girasole, 2011. Prima del filmato a Viù nel maggio 2014 (trailer disponibile in https://vimeo.com/90202763), per la chiusura della mostra Mànnara. Operette umorali di Navamuel, con il titolo La vanga nell’aria. Poesie per Jorge Oteiza. [15] Gli appunti precedenti rendono conto inevitabilmente parziale di un’attività e di un materiale cinematografico ancora tutto da inventariare e catalogare; sarebbe auspicabile un’attenta ricognizione negli archivi personali di Alessandro Aiello e Giuseppe Di Maio, allo scopo di un’accurata ricerca sul loro lavoro di documentazione antropologica. Altri filmati di Documenta: Festa della Focara di San’Antonio Abate a Novoli (2006; trailer disponibile in https://vimeo.com/156241049), Teatrabilità (2006), Tarantafest (2007), Le donne e la guerra (2008), Santo Stefano Quisquina. Il ritorno in Wolfswagen (in Pianeta Sicilia, 2011), L’incanto. Puntalazzo (ivi), Il bastone siciliano (2012; trailer disponibile in https://vimeo.com/122986412), L’anti-Gattopardo [su Goliarda Sapienza] (2012; trailer disponibile in https://vimeo.com/122960172). [16] Ringrazio della generosa disponibilità la compagna di Giuseppe Di Maio, Mariagrazia Spedale. L’intervista-conversazione rimase inedita in attesa di un contributo – più volte richiesto e mai concesso – dalla Regione Siciliana per un film che avremmo realizzato su La Sicilia passeggiata. Allo stato di solo soggetto è rimasto pure un altro progetto comune, che riguardava un percorso cinematografico sui testi di Consolo nel suo risvolto visivo, ovvero sui riferimenti figurativi della sua opera. [17] Mi informa Claudio Masetta Milone, che cura con ammirevole zelo il sito ufficiale https://vincenzoconsolo.it/ e la casa letteraria dedicata allo scrittore nel Castello Gallego di Sant’Agata di Militello, che il Cristo (32x29x2 cm. circa), probabilmente settecentesco, è stato rinvenuto in una chiesa rasa a terra da una frana nella campagna dell’antico borgo di Castania, abbandonato tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento; restaurato, venne disposto su una lastra di cristallo (45x35x1 cm.), montata su un piccolo cubo di marmo rosso. [18] Documentata da Aiello e Di Maio nel documentario Pasqua indiavolata, in Pianeta Sicilia, cit. [19] Documentata da Diario di viaggio, cit. (riprese il 24-6-04). [20] Ivi (riprese il 20-08-05). [21] La cosiddetta festa dei Patroni a San Marco d’Alunzio porta in processione le statue di San Marco e San Nicola. Diario di viaggio documenta la festa di San Basilio (riprese il 2-8-04). [22] Sul rapporto tra i due scrittori cfr. Cuevas 2012. [23] Sullo stesso argomento, e quasi con le stesse parole, cfr. Consolo 2016b: 73s. [24] Il fotografo bagherese collaborò qualche anno dopo con Consolo in una sorta di reportage (Consolo 1969), «un racconto scandito sotto forma di otto didascalie numerate a corredo di altrettante fotografie», come scrive Nicolò Messina (Messina 2017), che ha esumato il testo come una tra le fonti di L’olivo e l’olivastro (1994). Sul rapporto tra i due si veda Consolo 1980. [25] Sciascia 1965, Il discorso di Consolo sull’argomento è mutuato in buona misura da questo scritto sciasciano: particolarmente per quel che riguarda l’interpretazione della festa dei Giudei a San Fratello, le riflessioni sulla festa religiosa come quasi unica occasione conviviale di uscita dall’isolamento coatto, o sulla non religiosità stricto sensu di tali manifestazioni nel popolo siciliano (cfr. ivi: 1162ss.). D’altronde, non è da escludere che Consolo si sia imbattuto nel saggio di Sciascia per la prima volta in quel frate Antonino da Mistretta, che tanta parte avrà nella praticamente non-scrittura dell’ultimo progettato romanzo, Amor sacro (cfr. ivi: 1150). [26] Cfr. Consolo 2009. [27] Cfr. il capitolo VIII de La ferita dell’aprile (Consolo 1963: 79-81); cfr. anche una breve sequenza del IV ne Il sorriso dell’ignoto marinaio (Consolo 1976: 202; un intero paragrafo di Conversazione a Siviglia s’intitola «La sarabanda dei giudei» (Consolo 2016b: 69s.); cfr. Pasqua indiavolata, cit.Nello stesso capitolo del romanzo d’esordio una brevissima sequenza riprende l’usanza di offrire dei soldi alle statue in processione (Consolo 1963: 82), particolare documentato in ben sei delle schede di Diario di viaggio. [28] Nell’explicit del capitolo secondo e per una gran parte di quello successivo (cfr. Consolo 1990a: 42, 45-50, 58s.). Alcuni di questi brani passano nei capitoli XI e XIII de L’olivo e l’olivastro e nel saggio La rinascita del Val di Noto [1991] confluito in Di qua dal Faro (Consolo1999) (per le procedure della manipolazione testuale cfr. Consolo 2016a: 97, 99; note 14 e 29).Alcune delle feste a cui fa riferimento Consolo sono state documentate in Diario di viaggio: San Paolo a Palazzolo Acreide (riprese il 23-6-04), la corsa dei “Nudi” per Sant’Alfio a Lentini (riprese il 10-5-04), Sant’Alfio, Cirino e Filadelfo a Trecastagni (ripreseil 10-5 del ’04 e ’05). Una filastrocca sui nomi dei tre santi ritorna nel cap. I de La ferita dell’aprile (Consolo 1963: 7). [29] Cfr. Lo Spasimo di Palermo, cap. VI (Consolo 1998: 932). [30] Cfr. i testi di Consolo, senza titolo, scanditi da apparenti sottotitoli tra cui ricompaino alcune didascalie goyesche già presenti nel cap. VII de Il sorriso dell’ignoto marinaio,nella brossura del Festino palermitano del 2000 (Consolo et. al. 2000: 13, 26-31). [31] La presenza di San Benedetto di San Fratello detto il Moro ricorre nella scrittura di Consolo, dalle Notizie che corredano il testo di Lunaria (Consolo1985: 341s), ai saggi La pesca del tonno in Sicilia [1986](Consolo 1999: 1023s.) e La retta e la spirale [1995] (Consolo 1999: 1235), al racconto Il miracolo [2000](Consolo 2012: 175-177); l’autore gli dedica diversi articoli su periodici e giornali (Consolo 1990b, 1995, 2000); compare pure nelle pagine per il Festino palermitano (Consolo et.al. 2000). In una stanza dell’appartameno milanese di Vincenzo Consolo e Caterina Pilenga era appesa un’icona raffigurante San Benedetto, opera dell’artista Beppe Madaudo (CIC esemplari numerati, interventi serigrafici e manuali ad olio su tavola preparata a gesso e colla, 60×50 cm.); il quadro si conserva nella casa letteraria del Castello Gallego nel paese natio dello scrittore (ringrazio ancora Claudio Masetta Milone per queste informazioni).Santa Rosalia (oltre a Consolo et. al. 2000., e soprattutto alla malia del nome – della santa, della fanciulla, della cantatrice, della modella – che impregna Retablo, Consolo 1987) è presente in Lunaria, sia nella favola teatrale che nelle note riportate nelle Notizie (Consolo 1985: 289, 349s., 355s.). Diario di viaggio documenta tre feste di San Calogero: due nell’agrigentino, nel capoluogo (riprese il 3-7-05) e a Naro (riprese il 8-6-04; al San Calogero di Naro assomiglia, «nerissimo di barba e pelle», frate Agrippino in Le pietre di Pantalica, Consolo 1988: 484); una nel messinese, a San Salvatore di Fitalia (riprese il 20-8-05; durante le feste per il santo in «Fitalia di montagna» si svolge parte del capitolo V de La ferita dell’aprile, Consolo 1963: 44-48); sempre in Diario di viaggio, ancora un’altra scheda documentaria sulla festa di San Cono di Naso (ME; riprese l’1-9-04), la cui statua presenta le sembianze di un gigante nero, come secondo la leggenda apparve per cacciare gli invasori turchi (sul santo e la suggestione dei nomi cfr. Il barone magico, Consolo 1988: 601). [32] Un risvolto satirico di questa riflessione nel racconto E poi la festa del patrono [1990] (Consolo 2012: 139-142). [33] Fuoricampo, c’è da supporre; ché, ripeto, non ero presente alla registrazione. [34] Così si sente nell’audio della registrazione, con l’articolo dialettale. [35] Sulla colloraborazione a «Tempo illustrato» cfr. Consolo 1993: 36; di questi reportages si legge pure nell’autobiografia appena velata del racconto E Ciro vide Anna Magnani [2008] (Consolo 2012: 228-230]). L’«inchiesta» in questione in Consolo 1970. [36] Altri testi consoliani in cui sono presenti in vario modo festività religiose: Befana di novembre [1960-70] (Consolo 2012: 11-13), Fra Contemplazione e Paradiso [1988] (Consolo 1999: 1058-1065, 1061), Il flusso perenne (Consolo 2003) Sicilia in festa (Cosolo 2007). [37] Cfr. Cuevas 2021.
[Da: Coriasso, Cristina, Varela-Portas, Juan (eds.), «Con angelica voce…». Studi in onore di Rosario Scrimieri Marín, Ledizioni, Milano, 2023, pp. 293-310]

Foto Ferdinando Scianna

SICILIA IN FESTA – FOTO DI GIUSEPPE LEONE

SICILIA IN FESTA – FOTO DI GIUSEPPE LEONE
 Pubblicato in “Feste per un anno”Eidos-Fondazione Buttitta 2007 pag. 11-12


 “La mitologia […] questo ha potuto con sicurezza affermare: che i fenomeni del cielo e della terra nel loro periodico ripetersi e rinnovarsi han dato luogo a molte pratiche e usanze come a molti miti e leggende.” Scrive Giuseppe Pitrè nel volume Spettacoli e feste (1) della Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane. E Sebastiano Aglianò, in Questa Sicilia, scrive a sua volta:”InSiciliailcarattere sacro dei misteri greci, la prostrazione islamica al Dio onnipotente hanno confuso i loro germi con quelli più vivi del cristianesimo” (2) Fenomeni dunque del cielo e della terra hanno creato i più antichi miti, e quelli della Grecia, i più significativi per noi. Hanno creato il mito primitivo e pregnante della terra, del buio e della luce, dell’inverno e della primavera. Il mito primigenio, vogliamo dire, di Demetra e di Persefone. “Demetra dalle belle chiome, dea veneranda, io comincio a cantare,/ e con lei la figlia dalle belle caviglie, che Aidoneo rapi.. così l’Inno di Omero a Demetra(3). E in questa madre dolente che ricerca la figlia rapita si è voluto vedere, nelle feste pasquali, l’Addolorata alla ricerca del Figlio. Lampante ancora ci sembra lo scivolamento pagano nella liturgia cristiana, nella festa di San Giovanni, il 24 giugno, nel solstizio d’estate. Festa che si fa in vari paesi, ma singolare è quella di Alcara Li Fusi, un paesino dei Nebrodi. Al mattino si svolge la processione con la statua del Santo. Alla sera, in ogni contrada del paese, si apparecchiano gli altarini del muzzuni, una brocca senza manici dentro cui si son fatti germogliare orzo e frumento. Intorno all’altarino, uomini e donne intonano canti d’amore. Dello stesso senso della festa di San Giovanni, della netta separazione del rito pagano dal rito cristiano, ci sembra il rito rappresentato da Pirandello ne La sagra del Signore della Nave. Ma torniamo alla Settimana Santa, ai riti del passaggio dalla morte alla resurrezione, alla vita. Già nell’alto medioevo, nel mondo cristiano, avveniva nelle chiese la recita del Mistero, la Sacra Rappresentazione per celebrare la Settimana Santa. E in Sicilia? La Sicilia, che al tempo dei greci aveva avuto i grandi teatri di Taormina, di Segesta, di Siracusa, dove Eschilo fece rappresentare per la prima volta le Etnee, con i Bizantini, gli Arabi e i Normanni non ebbe più rappresentazioni teatrali. Bisogna arrivare al 1563, quando, col viceré Medinaceli, fu rappresentato a Palermo, nella chiesa di Santa Maria della Pinta, l’atto, detto appunto della Pinta, scritto da Merlin Cocai, pseudonimo di Teofilo Folengo. L’atto della Pinta fu l’inizio di una serie di sacre rappresentazioni, di recite di opere teatrali nelle chiese, nei monasteri e finanche nei cimiteri delle varie città di opere teatrali nelle chiese, nei monasteri e finanche nei cimiteri delle varie – città e paesi di Sicilia. Erano storie di martirii di santi, ma erano soprattutto, durante la Settimana Santa, rappresentazioni del Mortorio, della Passione di Cristo; erano opere come il Cristo morto di Ortensio Scammacca, Funerale di Giesù di Giuseppe Riccio, Cristo condannato e Cristo al Calvario di padre Benedetto da Militello, Il riscatto di Adamo nella morte di Gesù Cristo di Filippo Orioles. A Trapani, come a Prizzi e in altri centri, la sacra rappresentazione cominciava la Domenica delle Palme, con la benedizione dei rami delle palme, tra musiche e scampanate. Dopo, nei giorni della Settimana Santa, la rappresentazione diveniva sempre più drammatica, come avveniva a Palermo lungo il Cassaro, con la Danza Macabra o Trionfo della Morte. Il culmine si raggiungeva, negli ultimi tre giorni della Settimana Santa, con la recita della Passione di Cristo, che prendeva a Erice il nome di Casazza. Nome, Casazza, dicono gli storici di volta in volta, venuto in Sicilia dalla Lombardia, dalla Toscana o dalla Spagna, ma che significa sempre la grande casa in cui avveniva la sacra rappresentazione. C’erano, in queste rappresentazioni, quelli che dovevano recitare l’ ingrata parte degli uccisori di Cristo, dei Giudei, come avveniva e avviene ancora, a San Fratello e a Geraci Siculo. Per i sanfratellani però l’interpretazione della parte dei Giudei forse ingrata non è. Nei loro sgargianti costumi diavoleschi, con trombe e catene in mano, quei contadini, pastori, boscaioli carbonai, sembra che interpretino fino in fondo, con convinzione, la loro parte di “cattivi”. Scrive Nino Buttitta: “Nel giovedì e nel venerdì precedenti la Pasqua le strade di San Fratello sembrano ripercorse dall’agitazione e dal tripudio dei giorni di carnevale. Salti, corse, sgambetti, saggi di equilibrismo [..], canti, rumori di catene, squilli di tromba, clamorosamente annunciano la presenza dei Giudei”(4). E ancora due altri etnologi, rispettivamente di San Fratello e di Mistretta, Rubino e Cocchiara, ci parlano di questi Giudei. Feste, feste in Sicilia: feste calendariali, feste religiose. “Che cosa è una festa religiosa in Sicilia? ” si chiede Leonardo Sciascia (5). E così risponde usando una grammatica freudiana e insieme pirandelliana: “E’ una esplosione esistenziale; l’esplosione dell’es collettivo, in un paese dove la collettività esiste soltanto a livello dell’es. Poiché è soltanto nella festa che il siciliano esce dalla sua condizione di uomo solo” (6). Una solitudine troppo rumorosa verrebbe da dire con Bohumil Hrabal. Ru-more, chiasso, movimento, luce, colore che ritroviamo nel Carnevale, nel Natale, nella Pasqua e nelle feste patronali dei vari paesi di Sicilia, fissati nelle straordinarie fotografie di questa mostra di Giuseppe Leone. Giuseppe Leone, con Sellerio, Scianna, Minnella e altri, appartiene alla grande scuola dei fotografi siciliani, scuola che è speculare, azzardiamo dire a quella letteraria. Speculari, le due scuole, perché leggono interpretano, “rappresentano”, ciascuna a suo modo, la ricca realtà siciliana. Cento e più foto sono in questa mostra di Leone. In cui sono fissate le immagini delle feste, religiose e no, di tanti paesi di Sicilia, dal Natale di San Michele di Ganzeria e Barrafranca, al Carnevale di Chiaramonte Gulfi, di cui ci ha lasciato memoria Serafino Amabile Guastella; e ancora, la Settimana Santa, dalla Domenica delle Palme di Leonforte e di Gangi, al Giovedì e Venerdì Santo di Trapani e di Enna, ai Diavoli di Prizzi, e le feste patronali, dalle tre sante patrone di Palermo, Catania e Siracusa, Rosalia, Agata e Lucia,alla festa di San Giuseppe a Santa Croce di Camerina,di San Silvestro a Troina, Sant’ Alfio, con la corsa dei “nudi”, a Lentini e Trecastagne, a quella di San Paolo a Palazzolo Acreide… Sono immagini, queste di Leone, della profonda storia, della ricca cultura siciliana. Immagini che rimarranno, in questo nostro tempo di cancellazione d’ogni memoria, d’ogni tradizione, di omologazione culturale, come gli “annali” della nostri storia. Milano, 18.2.07 Vincenzo Consolo (1) Giuseppe Pitrè “Spettacoli e feste” pag. XI – Luigi Pedone Lauriel Palermo 1881 (2) Sebastiano Aglianò “Questa Sicilia” A.Mondadori editore 1950 (3) Inni Omerici a cura di Filippo Cassola -pag. 39 – Fondazione Lorenzo Valla – A. Mondadori editore 1981 (4) Nino Buttitta in “Feste religiose in Sicilia” di Leonardo Sciascia – foto di Fernando Scianna – Leonardo da Vinci Editrice – Bari 1965 – pagina senza numerazione (5) Leonardo Sciascia in “Feste religiose in Sicilia” idem come sopra pag.30 (6) Idem come sopra

Vincenzo Consolo – Sant’Agata di Militello – 2007

La Pasqua di Giuseppe Leone – Monterosso Almo
Il Maestro Giuseppe Leone
Vincenzo Consolo e Giuseppe Leone – bosco della Miraglia

Vincenzo Consolo, viene intervistato in occasione della mostra alle scuderie del Quirinale dedicata a Antonello Da Messina – 2006

Julian Pacheco. Muro di Spagna


di Vincenzo Consolo

E’ aperta a Milano una mostra del pittore antifascista spagnolo Julian Pacheco, noto nel nostro paese fin da quando ritirò clamorosamente le proprie opere dalla Biennale di Venezia, perché non voleva in nessun modo essere accomunato – nella mostra sulla Spagna ad artisti compromessi al regime  prima di Franco poi di Juan Carlos
Vincenzo Consolo scrittore, e giornalista siciliano, autore fra l’altro de Il sorriso dell’ignoto marinaio, ha scritto il saggio introduttivo del catalogo di questa mostra. A lui abbiamo chiesto di presentare la mostra di
Julian Pacheco per i lettori di Fronte popolare.

Nella primavera del ’65, durante lavori di restauro, furono aperte a Palermo, in quel famoso palazzo che va sotto il nome di Steri, fosca costruzione trecentesca della famiglia Chiaramonte, adibita poi a carcere dell’inquisizione (<<E qui nelle notti scure e rigide d’inverno quando il vento fischi sinistro, par di sentire come cupi gemiti di sepolti vivi e strida orribili di torturati… >>, scrive l’etnologo Giuseppe Pitrè), furono scoperte, dicevamo, delle celle che , con l’abolizione del Sant’Uffizio (1782), erano state murate e mai più da nessuno viste, nemmeno dal Pitrè stesso, che nel 1906 delle mura di altre celle di questo carcere aveva decifrato scritte, graffiti, disegni, riportando tutto nel libro Del Sant’Uffizio a Palermo e di un carcere di esso. E un giorno di quella primavera, dunque, alla notizia della scoperta di quelle celle << inedite>>, ci demmo convegno a Palermo  per visitarle, Leonardo Sciascia,  che aveva appena pubblicato Morte dell’inquisitore, la cui vicenda in quel carcere si svolgeva, il fotografo Ferdinando Scianna, il poeta spagnolo Gonzalo Alvarez e il sottoscritto. Forte dovette essere l’impressione di quella visita, della lettura delle scritte sui muri (una me ne ricordo, ironica e amara, che diceva press’a poco: <<Allegro, o carcerato, chè se piove o tira vento, qui al sicuro sei>>) se, a distanza d’anni – io posso dire ora obiettivamente, e spero sia chiaro che sono costretto a parlare di me per dire d’altro – nel mio romanzo Il sorriso dell’ignoto marinaio ho immaginato delle scritte sui muri di un carcere che dei contadini rivoltosi avevano lasciate. Questi muri e queste scritte di rabbia, di rivolta, me li trovai materializzati, <<reali>>, nei quadri di Julian Pacheco: frammenti, pezzi di stacco, di riporto di muri di quel grande carcere dell’Inquisizione che è stato, che continua a essere la Spagna, nonostante la morte per putrefazione del dittatore-belva, nonostante gli abbracci e i baciamano a papi e capi di stato del re-infante scappato da una malriuscita, rappresentazione teatrale di secoli passati.
Julian Pacheco, spagnolo della Mancia, nasce nel ’37, in piena guerra civile, l’anno della battaglia del Jarama, di Guadalajara, in cui il fascismo e l’antifascismo italiano si scontrarono in terra di Spagna, e l’anno del bombardamento nazista di Guernica. Contadino e povero, viene avviato a quel mestiere – <<arte>> lo chiamano gli impostori – di torero in cui i ragazzi proletari di Spagna vengono sacrificati a un tragico tòtem
 in cui il rituale di morte che esalta l’istinto delle masse fino al delirio, all’ ottundimento della ragione (il goyesco << sueno de la razon >>),
all’ assopimento della coscienza storica.
Pacheco scappa da questa Spagna dell’inquisizione e del delirio ed è esule a Parigi ( vuole scrivere, dice, un libro sulla corrida, sulla miseria della corrida) e qui entra nel gruppo della << Nuova figurazione >>, con Aillaud, Arroyo, Del Pezzo, Recacati, Pozzati, etc. Subito la pittura di Pacheco è realistica ed espressionistica, di immediata e violenta denunzia di una realtà storico-politica violenta e criminale, pittura nella quale è bandito ogni attardo formale, ogni concessione alle squisitezze estetiche. Sono immagini dir e con facce di maiale, di caudilli con naso a becco, di rapaci carnivori, di cardinali funzionari carabineros soddisfatti e ottusi da cibi e da bevande, come in quel Banchetto nel Mozambico di brueghelliano ricalco in cui vengono servite teste mozze di negri.
L’altro timbro di Pacheco sono questi muri: Muro del Toledo, Muro de Canete, de Aragon, de Barcelona, de Cadiz… fino a quel grande Muro di Spagna dove, sopra le scritte, emerge l’ironico e amaro manifesto a trompe-l’oeil che annuncia. <<Plaza de Burgos – 6 revolucionarios vascos – seran tourturados y a muerte – Matadores: Francisco Franco. Carrero Blanco – Sobresaliente J. Carlos de Bordon>>.
Questo Muro di Spagna ci ricorda immediatamente il famoso e stereotipato lorchiano << bianco muro di Spagna >>, per coglierne la differenza, il diverso messaggio, oltre e al di là d’ogni valutazione d’ordine poetico o estetico, ammesso che sia possibile. Tra un abbagliato e abbagliante, antico e immutabile muro bianco << sconciato >> da scritte, graffiti, disegni, vi è la differenza che tra l’esistenza e la storia di quella storia che scaturisce da una << morada vital >>, come dice Americo Castro, e che immediatamente politica. Ma<, anche nella storia, ci sono muri e muri, segni e segni. Il muro è stato usato anche dal potere per tracciarvi a grandi lettere ordinate la propria retorica opprimente, l’iterazione ossessiva dei propri imperativi. E, in pittura, segni sono anche di Tapies, di Klee, di Burrio Capogrossi, ma di una realtà narrabile e non storicizzabile che ci porta a condizioni primigenie, come quella segnata dai petroglifi dei Camuni o di Lascaux e Altamira, o dai disegni ingenui e << felici>> dei bambini. Ma oltre quei muri e questi segni, c’è una scrittura murale che è scrittura notturna e furtiva, cioè d’opposizione, scrittura popolare e politica, libro d4el popolo sempre cancellato e sempre riscritto. Pacheco ha riportato sulla tela frammenti di questi muri, compiendo opera di recupero e di memoria: perché quelle scritte di protesta (REY NO – ABAJO – NO – FAI  -PAZ – REP…) non si dimentichino quando i nuovi regimi faranno stendere sui muri di Spagna veli di bianco, di rosa o di grigio. Quei nuovi regimi che già cominciano a stemperare e a mischiare i colori per mascherare in quella Spagna le nuove carceri, le nuove inquisizioni.
Pacheco, combattente radicale e libertario, avverte questo, e la sua pittura e i suoi gesti allora si fanno sempre più netti e inequivocabili, come quello per esempio, di ritirare le sue opere dal padiglione spagnolo della Biennale di Venezia del ’76, non volendosi trovare vicino e confuso con pittori contrabbandati per oppositori ma che col regime di Franco avevano trescato: sempre succede, ovunque, che alla fine di una dittatura o di un regime i trasformismi emergono, si mettono al servizio del potere nuovo. E anche in Italia, lo sappiamo è già successo.

Pubblicato da Fronte popolare
Edizioni Movimento Studentesco
6 marzo 1977

Julian Pacheco

Un terremotato a Milano racconto a cura di Vincenzo Consolo fotografie di Ferdinando Scianna

Sono nato a Gibellina, di anni ventitré. Imparai il meccanico a Salemi, non mi ricordo niente, sentii un gran boato e il tetto che s’aprì, ho visto il cielo per un attimo, le stelle.La zappa l’ho lasciata a chi gli pare, con la meccanica si può espatriare. Stava Gibellina sopra la timpa tutt’attorno al castello e alla chiesa, a San Nicola. Al castello ci andai per la scuola:c’erano dammusi, catoi murati, passi e sospiri, voci di spirti, d’anime legate. Anche qui, in questi sotterranei alla stazione, i treni fanno un rintrono come il terremoto. Ho lasciato nelle baracche la madre e la sorella. Gli altri sono rimasti sotto terra. Le bambine, gonfie, occhi invetrati, erano pupe, bambole di fiera. La sorella più non parla, sì e no con la testa è il massimo che dice. I passaporti a vista, sotto la tenda: via, senza tante storie. Con me ci sono paesani, una incinta si lamentò tutta la notte. Altri non so di dove sono, ma qualcuno mi sembra conoscente. Molti ci vengono a guardare. Siamo profughi,sì, terremotati, con le borse, i sacchi, le coperte. Ci aiuteranno,sì, però l’affronto resta. Dicono che ci daranno alloggio e un lavoro. Io, per me, voglio emigrare in Svizzera. C’è la nebbia qua, che mangia case, gente, come là mangiava pàmpini, racemi.
da L’olivo e l’olivastro
vincenzo consolo

dalla rivista Nuovo Sud maggio 1962