Giulia Falistocco
Ne Il
sorriso dell’ignoto marinaio Consolo
riprende la lezione di Manzoni, ma decostruisce la forma romanzesca attraverso
una struttura complessa e una forte sperimentazione linguistica. Il romanzo
storico rimane per Consolo un modo per rappresentare metaforicamente il
presente, sebbene non più in maniera innocente, ma per mezzo di forme
parodiche, atte a superare un’arte ironica-borghese. L’articolo quindi analizza
le strategie rappresentative e allegoriche con cui Consolo dà nuovo spessore al
romanzo storico, riuscendo a conservare un vigore etico e politico.
Dopo
tredici anni di silenzio, a seguito de La ferita dell’aprile, nel
1976 Vincenzo Consolo pubblica Il sorriso dell’ignoto marinaio. Il
suo secondo romanzo è un’opera necessaria, «nata da esperienze private e da
eventi pubblici» (Consolo 2015: 1255), con la quale l’autore affronta
metaforicamente il passato e il presente siciliano. Per Consolo lo scrittore,
infatti, da Zola in poi, non può sottrarsi alla Storia, «se non a rischio
dell’accusa di complicità e di collaborazione col potere che perpetra
ingiustizie e delitti» (Consolo 2015: 1173). Il romanzo propone una metafora
politica e sociale, dunque, che tenta di superare il “silenzio artistico”, per
dirla con parole dello stesso Consolo, e di sperimentare le potenzialità
rappresentative del romanzo.
2La
planimetria metaforica del romanzo è strutturata attraverso l’immagine della
chiocciola, come ha mostrato Cesare Segre nel suo illuminante saggio (Segre
1991), archetipo ancestrale, «origine della percezione, conoscenza e
costruzione» (Consolo 2015: 1254). Attraverso quest’immagine, Consolo dà forma
alla materia narrata, con l’intento di allargare nel tempo, «verticalizzare»
(Consolo 2015: 1255), il suo messaggio. L’obiettivo ultimo dell’autore, però, è
quello di mostrarne il superamento: solo l’evasione dal carcere-chiocciola può
ridurre lo spazio comunicativo fra testo linguistico e contesto situazionale.
Nel pensiero di Consolo, quindi, la sfida alla chiocciola si coniuga con la
sperimentazione del romanzo storico. Il punto focale, o, come direbbe Consolo,
«l’angolo acuto» (Consolo 2015: 1255) di questo triangolo, è il quadro di
Antonello da Messina: L’ignoto marinaio. Con il suo sorriso
ironico, il ritratto è espressione dell’élite intellettuale, di cui l’autore
mostra le mancanze, i limiti e le storture. Il raziocino culturale, in
particolare di stampo illuminista, viene smascherato, con lo scopo di mostrare
in ultimo la fragilità della parola: la letteratura deve quindi prendere
coscienza della sua “impostura”, della sua soggettività e temporalità.
- 2 Come scrive Spinazzola: «I Viceré, I
vecchi e i giovani, Il Gattopardo costruiscono una
sorta di (…)
3In
questo articolo si intende analizzare gli elementi di questo triangolo
(chiocciola, ritratto e romanzo) attraverso i quali Consolo sperimenta e supera
il romanzo storico, genere ricorrente nella più recente letteratura siciliana2.
4I
capitoli chiave che ci consentono di entrare nel cuore del romanzo sono gli
ultimi quattro, composti dalle lettere che Mandralisca invia a Giovanni
Interdonato (compreso l’ultimo capitolo costituito dalla trascrizione delle
epigrafi). Queste nascono dalla necessità di narrare i moti di Alcàra Li Fusi;
ma l’impossibilità di trovare le parole della memoria dà origine a una
requisitoria rivolta al suo alter ego, che si trasforma con lo
scorrere delle pagine in una confessione. Le aporie della Storia diventano,
quindi, il vero oggetto della lettera: la loro risoluzione passa attraverso
l’immagine della chiocciola, simbolo della memoria personale e collettiva.
- 3 Dietro questa dichiarazione possiamo intravedere i
modelli letterari dell’autore: se da un lato S (…)
5Nell’ottavo
capitolo, intitolato Il carcere, l’ambientazione è nel castello di
Maniforti, che nasconde nelle sue fondamenta la prigione, in cui vengono
portati i condannati di Alcàra Li Fusi. Il carcere ha la forma di «un’immensa
chiocciola con la bocca in alto e l’apice in fondo, nel bujo e putridume»
(Consolo 2015: 235). È uno schema elicoidale che appunto, seguendo il
suggerimento dello stesso Consolo, serve a «conoscere com’è la storia che
vorticando dal profondo viene; immaginare anche quella che si farà
nell’avvenire» (Consolo 2015: 238). La forma della conchiglia, essendo
tridimensionale, unisce spazio e tempo, ed è proprio quest’ultimo che
«verticalizza» la struttura. Come ha individuato Turchetta, «la progressione
lineare del racconto si sovrappone costantemente al ripetersi di strutture
analoghe» (Turchetta 2015: XLIX) che appunto mimano la chiocciola. Il romanzo
infatti è composto da una serie di piani temporali apparentemente disgiunti, ma
che nascondono molteplici connessioni. Capire l’iter vorticoso
della Storia è compito del lettore quanto del protagonista Mandralisca.
Attraverso l’immagine della chiocciola, quindi, l’autore organizza la
narrazione: la sua forma semi-labirintica serve a dare un’orditura agli eventi
storici, creando una spirale, di «estremi» e di «intermedi» (Segre 1991: 81)
che, parafrasando le parole di Segre, si alternano o si mescolano. Attraverso i
suoi vari significati, inoltre, la chiocciola rappresenta il corso degli
eventi, tanto quanto le modalità con cui vengono rappresentati. Con il suo
intreccio di voci e di echi il carcere-conchiglia, infatti, assume un valore
meta-letterario, dando forma alla lingua che per Consolo deve racchiudere
l’ordine illuminista e il disordine barocco: «una lingua che resta molteplice
volge dal basso all’alto, dal mondo popolare e dal mondo classico» (Consolo
2015: 1237)3.
- 4 La citazione, presa da L’ordine delle
somiglianze di Leonardo Sciascia insieme a Cronaca rimata d (…)
6La
rappresentazione della chiocciola si realizza attraverso il gioco delle
somiglianze, «scandaglio delicato e sensibilissimo» (Sciascia 1998: 35)4. È
sempre Consolo, attraverso le parole del Mandralisca che ci fornisce la chiave
di lettura delle procedure narrative. L’arco di ingresso al carcere, infatti,
ha nove pietre portanti per lato «con figure a bassi rilievi, diverse, ma
ognuna che somiglia o corrisponde all’altra allato della pila opposta, e unica
la chiave, che divide o congiunge, tiene le due spinte, l’ordine contrapposto
delle somiglianze» (Consolo 2015: 235). Per entrare nella chiocciola bisogna
passare quindi tra immagini simili, ma in contrasto; tra queste solo la chiave
non ha un corrispettivo: è l’inizio, il centro della chiocciola «che divide o
congiunge» (Consolo 2015: 235). Non a caso «sull’ordine delle somiglianze è
strutturato il sistema conoscitivo del barone di Mandralisca» (Traina 2011:
59): a lui infatti Consolo affida il compito di interpretare lo schema della
chiocciola. Il romanzo perciò dovrà rifarsi a questo impianto gnoseologico,
perché, come scrive sempre Traina, la sfida al labirinto passa per l’assunzione
della sua forma. Ne Il sorriso dell’ignoto marinaio, perciò, sono
presenti una serie di elementi simmetrici, ma allo stesso tempo in contrasto:
tre in particolare sono importanti nell’andamento dell’opera: i moti di Cefalù
e Alcàra Li Fusi, Giovanni Interdonato e il Ritratto dell’ignoto.
7I
moti di Cefalù del 1856 sono sedati dall’esercito borbonico, portando alla
condanna degli organizzatori. Si tratta di una rivolta che vede la
partecipazione dell’alta borghesia liberale, presentata con elementi tra il
tragico e il melodrammatico (Spinuzza ad esempio è descritto con tono di pietas dal
narratore). La rivolta di Alcàra Li Fusi, che occupa il romanzo dal terzo
capitolo fino alla fine, è invece ad opera dei contadini. Anche questa viene
sedata nella violenza, ma dai rappresentanti della borghesia liberale. Apparentemente
speculari i due moti sono in realtà “contrapposti”: sono i due modi di dare
corpo alla parola “Libertà”, come si chiarirà più avanti. Anche la figura di
Giovanni Interdonato subisce un capovolgimento: nella seconda parte del romanzo
infatti Mandralisca incontra l’omonimo cugino del rivoluzionario, «somigliante
a me nel nome e cognome solamente, ché per il resto discordiamo» (Consolo 2015:
229), colui che attraverso l’inganno riesce a sedare il moto di Alcàra Li Fusi.
In ultimo abbiamo il Ritratto di Antonello, il cui sorriso ironico da simbolo
della ragione illuministica passa ad essere luciferino e malefico alla fine del
romanzo.
8L’aporia
della Storia-chiocciola perciò si realizza nell’aporia delle somiglianze:
«somiglia, ecco tutto» scrive Sciascia ne Il gioco delle somiglianze (Sciascia
1998: 35). La lumaca, metafora della Storia “vorticosa”, perciò, diventa una
figura claustrofobica, negazione di vita, come il carcere di Maniforti, luogo
di dolori e affanni dal quale bisogna uscire. È sempre Mandralisca, nella
lettera a Interdonato, che ne dà una lucida spiegazione:
Vidi
una volta una lumaca fare strisciando il suo cammino in forma di spirale,
dall’esterno al punto terminale senza uscita, come a ripeter sul terreno, più
ingrandita, la traccia segnata sopra la sua corazza, il cunicolo curvo della
sua conchiglia. E sedendo e mirando mi sovvenni allor con raccapriccio di tutti
i punti morti, i vizi, l’ossessioni, le manie, le coartazioni, i destini, le
putrefazioni, le tombe, le prigioni… Delle negazioni insomma d’ogni vita, fuga,
libertà e fantasia, d’ogni creazion perenne, senza fine… (Consolo 2015: 217).
9La
chiocciola è, quindi, riprendendo le parole di Segre, «metafora plurima»,
allegoria delle «ingiustizie del potere», dei «privilegi della cultura», «della
proprietà come usurpazione» (Segre 1991: 80).
10La
visione della Storia si associa alla riflessione sul linguaggio. «Cos’è stata
la storia sin qui», scrive Consolo attraverso Mandralisca, se non «una
scrittura continua di privilegiati» (Consolo 2015: 215). La Storia è una
narrazione soggettiva, ad appannaggio di una determinata classe sociale,
definita dall’autore come «coloro che possedevano i mezzi del narrare» (Consolo
2015: 215), e tra questi anche il romanziere-scrittore non ne è avulso. La
giustapposizione tra documento e fiction dovrà, perciò, essere letta come la
messa in discussione del racconto storico, non più fonte di veridicità. Come
scrive Turchetta, «per tutta la vita Consolo ha messo in discussione lo statuto
della parola, denunciandone gli invalicabili limiti, la falsità o quanto meno
la tendenziosità e la dubbia legittimità, la sua inevitabile determinatezza,
storica e soggettiva» (Turchetta 2015: XXV). Ne Il sorriso dell’ignoto
marinaio il maggiore esempio della polisemia linguistica è
rappresentato dalla parola “Libertà”. Continuando a citare dalla lettera del
Mandralisca:
e
dunque noi diciamo Rivoluzione, diciamo Libertà, Egualità […] e gli altri, che
mai hanno raggiunto i dritti più sacri e elementari, la terra e il pane, la
salute e l’amore, la pace, la gioja e l’istruzione, questi dico, e sono la più
parte, perché devono intender quelle parole a modo nostro? (Consolo 2015: 216).
11Infatti
se per la borghesia liberale “libertà” indentifica una serie di diritti
astratti e immateriali, per i contadini, per coloro che non hanno il mezzo del
narrare, libertà è la terra. La polisemia della parola è un chiaro riferimento
alla novella di Verga, intitolata appunto Libertà. Questa si
conclude con le amare riflessioni di uno dei rivoltosi di Bronte condannati a
morte: «Il carbonaio mentre tornavano a mettergli le manette, balbettava: –
Dove mi conducete? – In galera? – O perché? Non mi è toccato neppure un
palmo di terra! Se avevano detto che c’era la libertà…» (Verga 2013: 325).
12La
messa in discussione dell’istituto storia si lega, inoltre, a un progetto
politico che deve mettere in scacco i soprusi di «coloro che hanno il mezzo del
narrare». L’ambientazione scelta da Consolo è il Risorgimento: momento di
contraddizioni e conflitti che deve essere liberato dalla sua patina
oleografica e retorica. Consolo infatti scrive:
durante
la campagna siciliana esplodono subito le contraddizioni, il conflitto tra i
due modi di intendere il Risorgimento: quello popolare, come rivoluzione e
riscatto sociale; e quello borghese intellettuale, come liberazione dalle
dominazioni straniere del paese, come unità politica sotto forma di repubblica
o di monarchia. (Consolo 2003)
- 5 La chiocciola, infatti, tra i suoi molteplici
significati può assumere anche una valenza salvific (…)
13L’autore
denuncia il crimine della proprietà, «la più grossa, mostruosa, divoratrice
lumaca» (Consolo 2015: 220), che può essere proprietà della terra, quanto
proprietà della parola. Simbolo della “proprietà” intellettuale è proprio il
sorriso dell’ignoto, immagine dell’equilibrio tra «cupezza» e «riso» e della
ragione «una lama d’acciao», «lucida» e «tagliente» (Consolo 2015: 144), come
la definisce il narratore. Mandralisca, unicum nella società
erudita siciliana, sente il bisogno di sottrarsi alle imposture della storia:
deve perciò compiere una catabasi nelle profondità della chiocciola-carcere per
riemergerne un uomo cambiato5. È lo
stesso Interdonato a riconoscere le particolarità del barone:
voi
invece, barone, mi dovete permettere, perché non siete un pazzo allegro, un
imbecille o calacàusi come la maggior parte degli eruditi e dei nobili
siciliani… Voi siete un uomo che ha le capacità di mente e di cuore per poter
capire (Consolo 2015: 160)
14L’inganno
della lumaca viene, dunque, smascherato da Mandralisca: dopo una vita passata a
cercare e catalogare questi piccoli molluschi, non rimane altro che schiacciare
quei gusci vuoti, bearsi del rumore delle chiocciole frantumate.
15L’impossibilità
di conoscere la Storia attraverso la parola è una frattura epistemologica,
sentita con forza da Consolo, che causa la crisi dell’intellettuale-scrittore.
Questo deve, perciò, rinunciare al suo ruolo demiurgico, distaccato e ironico,
e diventare l’opposto del ritratto che invece sembra fissare tutti negli occhi.
La sua «impostura», un tempo origine di conoscenza, ora si rivela una chimera
da affrontare. Così quel sorriso, un tempo «fiore d’intelligenza e sapienza, di
ragione», diventa «pungente», «fiore di distacco e eleganza, d’aristocrazia,
dovuta a nascita, a ricchezza, a cultura o potere che viene da una carica»
(Consolo 2015: 219). Il rimedio potrebbe essere quello di scrivere la Storia
dal punto di vista di coloro che non possiedono il mezzo del narrare; tuttavia
lo scarto «di voce e di persona» (Consolo 2015: 215) non può essere eliminato,
poiché la nascita e la formazione dello scrittore generano un vizio di forma
insuperabile. Consolo, infatti, non mette sotto scacco solo la narrazione
storica, ma anche qualsiasi forma di riproduzione del reale: «quando un
immaginario meccanico istrumento tornerebbe al caso, che fermasse que’ discorsi
al naturale, siccome il dagherrotipo fissa di noi le sembianze. Se pure,
siffatta operazione sarebbe ancora ingiusta» (Consolo 2015: 216). Anche la
forma d’arte più immediata, in presa diretta, come potrebbe essere il cinema o
il documentario, alluse in queste parole, non sono sufficienti a superare
l’impostura.
16«Che
più, che fare?» (Consolo 2015: 218) si chiede il Mandralisca. La soluzione
arriva da un altro personaggio. L’antagonista per eccellenza del sorriso,
infatti, è Catena, colei che per prima riconosce l’aspetto «greve, sardonico,
maligno» (Consolo 2015: 221) del ritratto e lo sfregia nel punto finale del
labbro. Un gesto che Mandralisca comprende solo alla fine del romanzo e lo
porta ad esclamare: «Ho capito: lumaca, lumaca è anche quel sorriso!» (Consolo
2015: 219). Catena, per quanto non compaia come personaggio attivo, ha quindi
un ruolo chiave per la comprensione dell’opera. Bouchard analizza la
rielaborazione parodica di Catena rispetto alla tradizione risorgimentale. La
ragazza, infatti, prima presentata come una semplice tessitrice, quasi «topos
dell’isterismo femminile» (Bouchard 2013: 45), si rivela in seguito paladina
della causa risorgimentale.Catena è quindi un personaggio complesso, allegoria
dell’inventio e detentrice del genio creatore: la tovaglia con
l’albero delle quattro arance ne è la manifestazione. La descrizione del ricamo
è affidata allo sguardo distante della baronessa Parisi: «sembrava quella
tovaglia – pensò la baronessa – ricamata da una invasa dalla furia, che
con intenzione ha trascurato regole numeri misure e armonia, fino a sembrare
forse che la ragione le fosse andata a spasso» (Consolo 2015: 167-168). In
questa «mescolanza dei punti più disparati» (Consolo 2015: 168), perciò, va
rintracciato il progetto poetico di Consolo: il romanzo si origina dalla libera
creatività, dando vita all’alternanza delle voci, rinascita della società.
Bisogna notare che il «furore» (Consolo 2003) è la qualità attribuita
dall’autore ai più alti poeti della tradizione letteraria: Virgilio, Dante,
Petrarca e Leopardi.
17Le
scritte, l’ultima testimonianza lasciata dal Mandralisca nel capitolo conclusivo,
sono appunto frutto dell’immaginazione e della libertà creativa: evadono dal
carcere-chiocciola portando il messaggio di «libertà» dei contadini di Alcàra
Li Fusi. È qui, però, che interviene Consolo in persona, dando in ultimo al
lettore il senso della sua poetica: le scritte infatti sono un artificio
dall’autore stesso. In questo dialetto sanfratellano, siciliano e letterario si
mescolano in un pastiche polivocalico, «sintesi linguistica»,
come scrive Segre, «della Sicilia medievale e barocca, feudale e popolare,
cittadina e contadina» (Segre 1991: 86). La scrittura in questo modo diventa
nemica della lumaca-labirinto, permettendone appunto la fuga.
18Lo
scrittore, perciò, per poter evadere dal carcere-chiocciola, non può rinunciare
all’impostura, ma aggirarla con l’immaginazione. Un percorso che egli compie in
solitudine «per combattere il potere e il conformismo imposto dal potere»
(Consolo 2015: 1173), scrive Consolo, solo così si potrà realizzare la libertà
di linguaggio che è appropriazione di verità ed emotività. Lo stesso processo è
indicato dal Mandralisca per i contadini di Alcàra: «tempo verrà in cui da soli
conquisteranno que’ valori, ed essi allora li chiameranno con parole nuove,
vere per loro, e giocoforza anche per noi, vere perché i nomi saranno
intieramente riempiti dalle cose» (Consolo 2015: 217).
- 6 In precedenza questo saggio-racconto, Un
giorno come gli altri, fu inserito da Enzo Siciliano in (…)
19Il
modello che Consolo deve superare è quello razionale e ironico di Sciascia e
Manzoni, così da approdare a una letteratura terrigna, perché «a guardar sotto,
sotto la lumaca intendo, c’è la terra, vera, materiale, eterna» (Consolo 2015:
219). Nella poetica di Consolo questo non significa mai accostarsi alla realtà
con ingenuità e spontaneità, ma è piuttosto un procedere di labor lime,
di complessa sperimentazione, in grado di accogliere tutte le forme espressive.
«Il narrare», scrive Consolo, è un’«operazione che attinge quasi sempre dalla
memoria», questa però, a differenza dello scrivere, «mera operazione di
scrittura impoetica», non può cambiare il mondo, «perché il narrare è
rappresentare il mondo, cioè ricrearne un altro sulla carta» (Consolo 2012: 92)6.
Eppure, prosegue l’autore, «il narratore dalla testa stravolta e procedente a
ritroso, da quel mago che è, può fare dei salti mortali, volare e cadere più
avanti dello scrittore, anticiparlo… questo salto mortale si chiama metafora»
(Consolo 2012: 92). Il sorriso dell’ignoto marinaio, infatti, evita
un approccio mimetico, ma è intarsiato di analogie, simmetrie tra i personaggi
e tra le parti dell’opera (operazione che verrà ripresa anche in Retablo,
con i tre capitoli che mimano la pala d’altare). Il romanzo è composto per
blocchi, così da disorientare il lettore, non lasciandosi mai
all’affabulazione: si pensi al passaggio dall’appendice del capitolo due, in
cui vengono presentati i moti di Cefalù, a Morti Sacrata.
Autocosciente della sua finzionalità, Il sorriso dell’ignoto marinaio non
permette al lettore di adagiarsi in una lettura empatica e melodrammatica.
20In
conclusione, l’analisi fin qui condotta permette di delineare cosa sia il
romanzo storico per Vincenzo Consolo, attraverso il confronto con altre opere.
Il primo paragone deve essere fatto con un altro romanzo composto nello stesso
periodo e uscito a soli due anni di distanza, nel 1974: La Storia.
Nel romanzo di Elsa Morante, come in Consolo, storia e romanzo non dialogano,
ma vengono giustapposti. Morante, anche lei interessata a creare un linguaggio
per le vittime del potere, predilige una lingua limpida e comunicativa,
riformulando il rapporto tra epos e romanzo. Per l’autrice la letteratura gioca
ancora un ruolo prioritario, in grado di illuminare le verità del reale.
Consolo, invece, manifesta una crisi più profonda che coinvolge romanzo e
linguaggio integralmente: questi condividono le stesse aporie, le stesse
storture. Storia e invenzione, perciò, non si amalgamano, ma messi difronte
l’uno all’altro condividono la stessa parità gnoseologica. Il campo d’indagine
del romanzo storico, perciò, come sostiene Giovanna Rosa, va ricercato
«nell’effetto di storia» (Rosa 2010: 50): tesi ancora più vera nel Novecento,
visto che la Storia ha perso il suo carattere monolitico. Consolo, potremmo
parafrasare, porta all’estremo la decostruzione del linguaggio creando
“l’effetto di romanzo”. La riflessione dell’autore inizia proprio dal mettere
in discussione l’istituto del genere, dando vita ad un romanzo che fa
deflagrare il conflitto, prima di tutto linguistico. Il sorriso
dell’ignoto marinaio, in maniera anti-affabulatoria, è «un romanzo storico
che è la negazione del romanzo, come narrazione filata di una storia, e della
Storia, come esplicazione degli avvenimenti» (Segre 1991: 77).
21L’afasia,
possibile conseguenza dell’arbitrarietà della memoria, viene eclissata in
favore di una parola che ritrova forza nello sperimentalismo di Gadda e
Pasolini, ma soprattutto nel confronto con la grande tradizione del romanzo
storico siciliano. «Il romanzo storico, e in specie in tema risorgimentale»,
scrive Consolo, è «passo obbligatorio, come abbiamo visto, di tutti gli
scrittori siciliani, [ed] era per me l’unica forma possibile per
rappresentare metaforicamente il presente, le sue istanze, le sue problematiche
culturali» (Consolo 2003). Verga, Pirandello, ma soprattutto Tomasi di
Lampedusa, sono i modelli di riferimento. Consolo però sceglie una via diversa
rispetto agli autori siciliani: non un anti-romanzo, o contro-romanzo storico,
ma una scrittura che manifesti il superamento:
per
me il suo linguaggio e la sua struttura volevano il superamento in senso etico,
estetico, attraverso mimesi, parodia, fratture, sprezzature, oltranze
immaginative dei romanzi d’intreccio dispiegati e dominati dall’autore, di
tutti i linguaggi logici, illuministici, che, nella loro limpida serena
geometrizzazione, escludevano le “voci” dei margini (Consolo 2015 1258)
22Il
Gattopardo in particolare, non a caso chiamato dall’autore romanzo della
fine, segna un momento di frattura nel romanzo risorgimentale. Con la sua
intelligenza razionale, la propensione per le idee astratte, il principe di
Salina è il coronamento dell’atemporalità, del distacco armonico
dell’intellighenzia siciliana. Passato il turbolento dibattito, infatti, Il
Gattopardo è stato riconosciuto per quello che era, «un classico»
(Consolo 2015: 1150). Consolo, invece, interessato a sperimentare le
potenzialità del romanzo in un’epoca «senza speranza», ritiene che questo possa
sopravvivere, ma solo sotto forma parodica e metaforica. Polivocalità e
decostruzione del romanzo sono gli elementi per poter realizzare il processo di
mediazione metaforica, ultimo orizzonte percorribile per rapportarsi con la
realtà. Quindi il romanzo per Vincenzo Consolo può vivere solo sotto forma
parodica, perché esso stesso è una parodia della realtà, un’impostura.
BIBLIOGRAFIA
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NOTE
2 Come
scrive Spinazzola: «I Viceré, I vecchi e i giovani, Il
Gattopardo costruiscono una sorta di caso letterario plurimo,
fascinoso e sconcertante. Di solito, un’opera viene presa a modello da altri
scrittori, della stessa età o di epoche successive, in quanto ha ottenuto
successo. Qui invece ci troviamo di fronte a una serie di romanzi palesemente
imparentati fra loro, ma senza che il primo e nemmeno il secondo abbiano
incontrato fortuna, tutt’altro» (Spinazzola 1990: 7). Anche Il sorriso
dell’ignoto marinaio può essere aggiunto alla triade di romanzi
proposti da Spinazzola: benché se ne distanzi per stile e intento, il
riferimento a queste opere è costante.
3 Dietro
questa dichiarazione possiamo intravedere i modelli letterari dell’autore: se
da un lato Sciascia infatti rappresenta la purezza linguistica, dall’altro
Piccolo raffigura il caos barocco, una lingua classica e al tempo stesso
ancestrale. Rispetto a Sciascia il rapporto è particolarmente importante, ma
allo stesso tempo ambiguo; è Consolo stesso infatti ad alludere al distacco
avvenuto da Sciascia attraverso Il sorriso dell’ignoto marinaio:
«ha un altro significato ancora quel ritratto, che molto bene ha colto
Sciascia. “Questo libro è la storia di un parricidio” ha detto riferendosi allo
sfregio che il ritratto ha sulle labbra» (Consolo 1993: 43).
4 La
citazione, presa da L’ordine delle somiglianze di Leonardo
Sciascia insieme a Cronaca rimata di Giovanni Santi, è
inserita da Consolo nell’incipit del romanzo.
5 La
chiocciola, infatti, tra i suoi molteplici significati può assumere anche una
valenza salvifica. Traina fa riferimento al significato archetipico della
conchiglia «simbolo prettamente femminile associato ai poteri magici della
matrice – passa dalla simbologia mitica alla simbologia cristiana, come segno
di perpetuo rinnovamento, dunque di resurrezione: forse, per Consolo, di
rivoluzione» (Traina 2011: 62).
6 In
precedenza questo saggio-racconto, Un giorno come gli altri, fu
inserito da Enzo Siciliano in Racconti italiani del Novecento,
edito per Mondadori nel 1983.
Notizia
bibliografica
Giulia Falistocco, «La
scrittura come fuga dal carcere della Storia Il sorriso dell’ignoto
marinaio», reCHERches, 21 | 2018, 77-85.
Notizia
bibliografica digitale
Giulia Falistocco, «La
scrittura come fuga dal carcere della Storia Il sorriso dell’ignoto
marinaio», reCHERches [Online], 21 | 2018,
online dal 05 octobre 2021, consultato il 07 décembre 2022. URL:
http://journals.openedition.org/cher/1189; DOI:
https://doi.org/10.4000/cher.1189
Giulia Falistocco
reCHERches, 21 | 2018, 77-85.
