In memoria di Caterina
Dopo La grande vacanza
orientale-occidentale (2001) e Il prodigio (2014), le Edizioni
Libreria Dante & Descartes di Napoli, nel piccolo formato che le
contraddistingue, consegnano, in questo luglio del 2020, un testo di
Vincenzo Consolo intitolato Memorie, già pubblicato nella raccolta di
saggi La mia isola è Las Vegas (Milano, Arnoldo Mondadori,
2012).
Questo prezioso libricino gode della prefazione di Claudio Masetta Milone, uno dei soci fondatori dell’associazione «Amici di Vincenzo Consolo», collaboratore anche con il Centro Studi iniziative culturali Pio La Torre, di Palermo. Claudio Masetta Milone è anche uno dei fondatori della «Casa della Letteratura di Vincenzo Consolo» a Sant’Agata Di Militello, paese natio dello scrittore.
A scanso di equivoci e senza
nessun compiacimento verso le proprie motivazioni, Vincenzo Consolo chiarisce
ciò che intende con il vocabolo «Memorie»:
Avrei potuto, o potrei, giunto
alla mia età, riempire pagine e pagine di ricordi, di memorie, ricostruire, al
di là d’ogni validità letteraria, un tempo perduto, stendere una mia, un’umile,
piccola recherche. Ma non è questo il moto e lo scopo del mio scrivere
(p. 5).
Rievocando il rapporto
esistenziale che lega lo scrittore al suo paese di origine, Claudio Masetta
introduce dialetticamente la tematica memoriale, quasi creasse un dialogo tra
sé, il lettore e lo scrittore: «Fare memoria significa essenzialmente narrare»
(p.12). Ma come nasce la narrazione? Nasce innanzitutto dal bisogno insaziabile
di Consolo di ascoltare di nuovo i minimi particolari della sua zona, che siano
geografici, umani, sociali o linguistici. Precisa Claudio Masetta: «L’ascolto
dei fatti santagatesi era lo scoglio da cui, ogni volta, la narrazione spiccava
il volo, nello spazio e nel tempo» (p.12-13).
Ricorrentemente desideroso di
definire la propria identità di uomo e di scrittore (ciò che fece in molti
scritti), Vincenzo Consolo evoca la posizione geografica di Sant’Agata Di
Militello. Comune sito a mezza strada tra Messina e Cefalù, la zona divide la
Sicilia orientale, la Sicilia greca, terra di miti, la cui espressione si
svolge prevalentemente «in forme poetiche, in toni lirici, in scansioni
musicali (p. 25), dalla Sicilia occidentale, influenzata dagli Arabi, un’area
segnata dalla storia, dai molteplici colonizzatori, dai conflitti sociali, e «che
si esprime in forme prosaiche, in toni discorsivi, in scansioni logiche» (p.
26).
Su questa «immaginaria linea»
(p. 27), data la posizione di Sant’Agata di Militello, su questo crinale, nasce
la poetica consoliana.
I ricordi, le memorie legati
a Sant’Agata, pur cari che siano, pur essendo il crogiolo di alcuni suoi
racconti, non bastano a soddisfare la sua creatività che si estende «alla
Sicilia tutta, all’Italia, al Mediterraneo e oltre, (…). Ma [si dispiega] anche
dal presente al passato – o sarebbe meglio dire – ai passati dell’isola»
(Claudio Masetta, «Prefazione», p. 13).
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Il tono si fa man mano più
grave e le domande incalzanti. Quasi con trepidazione, Vincenzo Consolo chiede
a se stesso: «E allora: perché scrivo? Ma perché scrivo in prosa? E perchè
scrivo romanzi o racconti di contenuto storico o sociale» (p. 36). Permeato
dalla superiorità della poesia, si riferisce a componimenti di poeti maggiori
(cita qualche verso della «Ginestra» di Leopardi, allude al poemetto di T. S.
Eliot, «La terra desolata», alla raccolta di Eugenio Montale, Ossi di seppia,
nonché al suo componimento «La bufera»). Consolo si arrende alla constatazione
non priva di rammarico, che non è stato eletto a questo registro:
Scrivo dunque di temi relativi, contingenti, perché
non sono poeta, perché non sono un fanciullo, perché non sono re (non faccio
parte, voglio dire, non sono detentore del potere). Solo i poeti infatti, i
fanciulli e i re possono affrontare gli assoluti, immergersi naufragare
nell’infinito mare dell’esistenza (p. 37).
Fra queste linee, traspare la
figura del viceré Casimiro, personaggio centrale della favola teatrale Lunaria
(1985), opera in cui Vincenzo Consolo si avvicina maggiormente al mito e alla
poesia. Casimiro, essere malinconico e lunare, a metà strada tra re-fanciullo e
poeta, in grado di capire, fino ad un certo punto, la lingua poetica, edenica
di San Fratello (vicino a Sant’Agata), vero baluardo utopico contro il
disfacimento della corte palermitana, su cui regna Casimiro da troppo
tempo.
Come non pensare agli
eccentrici Casimiro e Lucio Piccolo, poeta quest’ultimo che affascinava Consolo?
Sul dritto filo di queste
parole, in un altro breve scritto, «Considerazione sulla forma racconto», in Prodigio
(Edizioni Dante & Descartes, 2014), ricorda la sua scelta narrativa:
…l’unico racconto praticabile mi sembra quello
storico-metaforico (…) ; che un modo per praticare ancora una letteratura
non ipotecata dal potere è quello di risacralizzare il linguaggio, di
restituirgli memoria, tono e modulazione di poesia : riaccostarlo, per
irriducibile, al linguaggio liturgico dei poemi (p. 25).
Consapevole di essere
cresciuto e vissuto per anni in bilico tra Oriente ed Occidente, tra mito e
storia, tra natura e cultura, Vincenzo Consolo approda al nucleo della sua
ricerca letteraria:
E non è questo poi l’essenza della
narrazione ? Non è il narrare, come dicevo, quell’incontro miracoloso, di
ragione e passione, di logica e di magico, di prosa e di poesia ? Non è
questo ibrido sublime, questa chimera affascinante ? (p. 50-51).
Non si può parlare
dell’identità letteraria di Vincenzo Consolo senza evocare il terzo polo
d’influenza della sua poetica: la città di Milano, dove si trasferisce nel
1969. Andirivieni incessanti tra la capitale lombarda e la sua isola ritmano
d’ora in poi la sua vita e la sua produzione. A questa città «progredita, ricca
e allettante, ma anche dura, ma anche pretenziosa» (p. 52-53), Consolo oppone
un orgoglioso riserbo, pur essendo aperto ai fermenti e alla cultura della
metropoli europea. Ma ha continuamente l’attenzione rivolta ai fatti siciliani.
L’attualità di questo ultimo
ventennio è prevalentemente segnata dal fenomeno migratorio. È da tempo giunto
il momento per l’Europa di aiutare popoli che soffrono per le guerre, per le
malattie e la povertà. Le ricchezze si devono oramai condividere con i paesi
più poveri e l’ordine mondiale viene totalmente travolto da questa urgente
necessità. La Grecia e la Sicilia sono le porte di ingresso verso questo nuovo eldorado.
Ventuno anni fa, nel 1999, Vincenzo Consolo era uno tra i pochissimi
intellettuali ad affrontare questa questione nella sua raccolta di saggi Di
qua dal faro (Milano, Arnaldo Mondadori Editore), nel capitolo «Uomini
sotto il sole» (p. 227). Scrive:
Di questi esodi massicci e incessanti le cronache
di ogni giorno ci consegnano tragici episodi: di clandestini soffocati dentro
stive di navi; d’altri, scoperti, gettati in pasto ai pescicani; di bambini
assiderati nei passaggi notturni per valichi montani; di carghi colati a picco
con dentro il loro carico umano; di criminali che trasportano su gommoni e
abbandonano sulle spiagge masse di disperati.
Claudio Masetta ricorda i
momenti trascorsi a parlare con Consolo, in conversazioni in cui la questione,
specie
dacché la Libia è in guerra,
dei profughi riaffiora. Parlano di cultura greca, ma non solo, e di un presente
ostile che provoca l’ira dello scrittore contro il ricordo del tempo
dell’ospitalità siciliana che fu:
E della cultura mediterranea che, (…), si è sempre
sviluppata sotto il segno dell’accoglienza. I fatti di cronaca odierna,
l’innalzamento di barriere laddove un tempo c’erano spiagge d’approdo di
innumerevoli naufraghi che, una volta a terra, nella sua Sicilia, potevano
dirsi sicuri di trovare accoglienza, lo avrebbero fatto urlare di sdegno e
vergogna.
Amava cercare i segni di questa antichissima
tradizione di ospitalità siciliana. Si entusiasmava alle prove dell’avvenuta
integrazione, sul suolo siciliano, di culture e tradizioni diverse (p. 15-16).
Claudio Masetta riporta, in
confidenza, sempre con valore didattico per il lettore, un aneddoto
interessante su questo argomento: quello del santuario della Madonna Nera di
Tindari che è sito nel grandioso golfo di Patti, in provincia di Messina.
Tindari è stata costruita nel 396 A. C. da Dionisio I°, tiranno di Siracusa, al
fine di fronteggiare gli attacchi dei Cartaginesi. Il suo nome originario era Tyndaris.
A picco sul mare, il santuario raccoglie quella singolare Vergine bizantina
nera con il bambino, alto simbolo di accoglienza dei naufraghi, la quale impedì
alla nave che la trasportava di ripartire sul mare, così evitando l’inesorabile
naufragio dovuto alla tempesta.
E Claudio Masetta,
restituendoci lo scrittore Consolo nella sua intera dimensione umana e
umanistica: «Aveva una collezione di santi neri, Vincenzo. Amava quella
collezione come simbolo di felice integrazione» (p. 18).
Con particolare
acuità, Claudio Masetta insiste per ultimo sul bisogno di trasmettere alle nuove
generazioni le chiavi del linguaggio così particolare di Vincenzo Consolo:
al tempo stesso popolare ed erudito. Non si entra facilmente nella prosa
consoliana e lui lo intuiva, lo sapeva. Tanti incontri fece con giovani di
liceo o freschi universitari, molto spesso confrontati al suo linguaggio
stratificato, complesso, a volte criptato. Ma non era mai semplice esercizio di
chiarimento di tale passo, pur studiato nei particolari. Il pubblico liceale o
universitario era da lui prediletto perché vergine da alcun a priori sul
linguaggio letterario. Si dilettava di questi incontri con il giovane pubblico,
quasi dovesse concretizzare la propria vocazione di pedagogo.
Al di là però, si trattava
sempre di infondere ai giovani una certa conoscenza della letteratura
siciliana. Consolo amava tramandare la memoria, e così scrive Claudio Masetta:
«la memoria attraverso la narrazione era per lui fatto da condividere. In modo
particolare con i giovani, a cui si rivolgeva, verso i quali amava riversare il
racconto della Sicilia, della storia, ma soprattutto della letteratura» (p.
19-20).
Per concludere, il libretto Memorie,
racchiude molto del pensiero di Vincenzo Consolo, un pensiero mai uniforme,
così come sono molteplici e variegate le forme della sua espressione letteraria
e della sua poetica.
Claudio Masetta Milone, nel
riproporre la lettura di questo testo, nel sollecito ascolto delle parole
dell’amico scrittore, nel trascriverle, ha il merito (tra tanti altri), di
contribuire in modo originale, ad una più ampia conoscenza del pensiero
universale di Vincenzo Consolo, e a ravvivarne le idee umanistiche con luce
odierna.
Maryvonne Briand
