Categoria: Eventi
Lecce, una giornata di studi dedicata allo scrittore siciliano Vincenzo Consolo
Lecce, una giornata di studi dedicata allo scrittore siciliano Vincenzo Consolo. Incontri agli Olivetani e alla Liberrima
LECCE – Una giornata di studi dedicata all’opera dello scrittore siciliano Vincenzo Consolo. E’ quanto è in programma a Lecce, mercoledì 20 aprile 2016, su iniziativa della cattedra di Letteratura italiana contemporanea del professor Antonio Lucio Giannone dell’Università del Salento.
Organizzata in occasione della pubblicazione dell’opera completa dello scrittore nei “Meridiani” Mondadori, l’evento sarò articolata in due momenti.
Alle ore 11, nel Padiglione Chirico del Monastero degli Olivetani, si terrà un seminario di studi con il professor Gianni Turchetta, ordinario di Letteratura Italiana contemporanea all’Università degli Studi di Milano e curatore del Meridiano, su “Il sorriso dell’ignoto marinaio e Le pietre di Pantalica di Vincenzo Consolo: un (anti-) romanzo storico e un romanzo storico potenziale”. Alle ore 18.30, presso la Libreria Liberrima (Corte dei Cicala,1 – Lecce) sarà presentata “Consolo. L’opera completa”, alla presenza del curatore Gianni Turchetta, del professor Giannone e di Maria Teresa Pano, dottoranda di ricerca presso l’Ateneo salentino.
Vincenzo Consolo è uno degli esponenti più significativi della letteratura italiana del secondo Novecento. Nato nel 1933 a S. Agata di Militello (Messina), nel 1968 si trasferì a Milano in seguito all’assunzione in RAI, in qualità di funzionario addetto ai programmi culturali. Qui vivrà e lavorerà fino alla sua morte, avvenuta nel gennaio 2012, alternando frequenti e sofferti ritorni in Sicilia. Fra i suoi romanzi “La ferita dell’aprile” (1963), con cui esordì in campo letterario; “Il sorriso dell’ignoto marinaio” (1976), considerato il suo capolavoro; “Retablo” (1987, premio Grinzane); “Nottetempo, casa per casa” (1992, premio Strega); “Lo Spasimo di Palermo” (1998). Consolo ha svolto anche un’intensa attività giornalistica e saggistica, quest’ultima parzialmente raccolta nella silloge “Di qua dal faro” (1999).
Vincenzo Consolo. L’homme, l’écrivain, l’intellectuel (Strasbourg)
« VINCENZO CONSOLO : L’HOMME, L’ECRIVAIN, L’INTELLECTUEL »
Université de Strasbourg
29 et 30 septembre 2016
« Vincenzo Consolo ci ha lasciati, e il dolore incomincia a sfumarsi di rimpianto. Al dolore della perdita si mescola ora la consapevolezza, anche, dei mutamenti che questa perdita ha implicato per il quadro attuale della narrativa italiana. » ha scritto Cesare Segre.
Vincenzo Consolo è uno dei nuovi classici del Novecento. La sua opera, a partire soprattutto dal Sorriso dell’ignoto marinaio del 1976, ha mostrato una complessità della riflessione veicolata da quel « mirabile impasto linguistico » che ha assunto le forme più diverse nei diversi generi praticati.
Per ricordarne la figura di scrittore e di intellettuale, il dipartimento d’italiano dell’Università di Strasburgo organizza due giornate di studi, il 29 e 30 settembre 2016.
Gli abstract in lingua francese o italiana (dieci righe accompagnate da una nota biobibliografica dell’autore) dovranno essere inviati entro il 20 maggio a frabetti@unistra.fr
Comitato Scientifico
Stefania Cubeddu (Université Paris X Nanterre)
Emanuele Cutinelli-Rendina (Université de Strasbourg)
Anna Frabetti (Université de Strasbourg)
Daragh O’Connell (University College Cork)
Enza Perdichizzi (Université de Strasbourg)
Laura Toppan (Université de Lorraine, Nancy)
Gianni Turchetta (Università di Milano)
Walter Zidarič (Université de Nantes)
« Vincenzo Consolo nous a quittés et la douleur commence à s’estomper dans le regret. A la douleur de cette perte, s’ajoute aujourd’hui la conscience des changements que cette disparition a engendrés dans le contexte actuel de la littérature italienne. » a écrit Cesare Segre.
Vincenzo Consolo est l’un des « nouveaux classiques » du XXème siècle. Son œuvre, à partir notamment du Sourire du Marin inconnu (1976) montre une complexité de la réflexion, toujours véhiculée par cette « admirable mixture linguistique », sous les formes les plus diverses, dans les différents genres fréquentés.
Pour approfondir la portée de l’activité d’écrivain et d’intellectuel de Consolo, le département d’Italien de l’Université de Strasbourg organise deux journées d’études les 29 et 30 septembre 2016.
Les propositions de communications (dix lignes en italien ou en français) doivent parvenir, avec une notice biobibliographique de l’auteur, avant le 20 mai, à cette adresse :
frabetti@unistra.fr
Comité Scientifique
Stefania Cubeddu (Université Paris X Nanterre)
Emanuele Cutinelli-Rendina (Université de Strasbourg)
Anna Frabetti (Université de Strasbourg)
Daragh O’Connell (University College Cork)
Enza Perdichizzi (Université de Strasbourg)
Laura Toppan (Université de Lorraine, Nancy)
Gianni Turchetta (Università di Milano)
Walter Zidarič (Université de Nantes)
RESPONSABLE : Frabetti
URL DE RÉFÉRENCEhttp://cher.unistra.fr
http://www.fabula.org/actualites/vincenzo-consolo-l-homme-l-ecrivain-l-intellectuel_73404.php
Letto in occasione dell’evento “Le parole (non) sono pietre. Viaggio nella scrittura di Vincenzo Consolo”, Teatro Franco Parenti, 24 marzo, 2016
https://soundcloud.com/francesco-marzano-2/rosario-lisma-legge-vincenzo-consolo-retablo
Le parole ( non sono) pietre
Giovedì 24 marzo alle ore 21
Le parole (non sono) pietre
Viaggio nella scrittura di Vincenzo Consolo
Gianni Turchetta
dialoga con Paolo Di Stefano
Letture di Rosario Lisma
L’iniziativa è realizzata in occasione della pubblicazione de L’opera completa di Vincenzo Consolo nella collana I Meridiani di Mondadori a cura di Gianni Turchetta.
Con il patrocinio del Dipartimento di Scienze della Mediazione Linguistica
e di Studi Interculturali dell’Università degli Studi di Milano.
Biglietto TFP cortesia € 3,50
Informazioni e prenotazioni
Teatro Franco Parenti, via Pier Lombardo 14 – Milano
biglietteria@teatrofrancoparenti.it; tel. 02. 59995206
Un filo d’erba al margine del feudo da ” La mia isola è Las Vegas “
Carmine Battaglia
Un filo d’erba al margine del feudo
Via del Sole scende stretta tra il muro laterale del Palazzo e una ringhiera di ferro sul dirupo. Era in ombra a quell’ora. Il sole batteva invece sulle pietre di via Murorotto e sul portale d’arenaria ricamata del Palazzo. La ringhiera di ferro di via del Sole era quella d’un terrazzo sospeso, navigante.
Il vecchio con lo scialle sporse nel vuoto il braccio e con l’indice a corno percorreva la linea ondulata che disegnavano nel cielo terso i monti tutti attorno, dalle spalle del paese fino al mare.
– Motta – diceva fermando il dito su un punto biancastro lungo la costa dei monti. E poi – Pettineo, Castelluzzo, Mistretta, San Mauro… – Posò lo sguardo sul mare, ripiegò il braccio, si tirò sulla spalla lo scialle scozzese che gli era scivolato. Stesi io il braccio nel vuoto oltre la ringhiera e indicai il mare. – Quelle macchie azzurre sono isole, Alicudi, Filicudi, Salina… Più in là c’è Napoli, il Continente, Roma…
– Roma – ripeté il vecchio. Volse le spalle al mare e continuò a indicare le montagne, ora con un breve cenno del capo: – Cozzo San Pietro, Cozzo Favara, Fulla, Foieri…
L’ulivo, fitto ai piedi dei monti, diradava, spariva verso l’alto. Poi vi erano costole nude, scapole, e qua e là ciuffi di sugheri, di castagni.
Il vecchio sedette sulla panchina di pietra e, la faccia tra due sbarre della ringhiera, appuntò gli occhi sullo spiazzo erboso sotto il dirupo. Ragazzi vi giocavano, tra pecore al pascolo, piccoli, appiattiti sul prato, silenziosi. Uccelli con larghe ali planavano sulla valle. La strada a serpentina, grigia di fango rappreso, partiva dalle prime case del paese, passava tra alberi d’eucalipto e d’acacia, circondava il prato, accostava una vasca d’acqua stagnante e finiva in un cancello di lamiera arrugginita. Il sole di questo primo pomeriggio era tutto ammassato nella tenera valle, suscitava tremuli vapori.
Al di là del cancello, dentro, il cerchio del muro, nel tabuto fresco di vernice, era Carmelo Battaglia, il sindacalista di Tusa ammazzato su una trazzera, una mattina di marzo, con due colpi a lupara, e messo in ginocchioni, con la faccia per terra. La valle declinava dolce fino alla balza d’Alesa (le sue mura massicce, l’agorà, i cocci d’anfora e le colonne spezzate affioranti tra gli ulivi, la bianca Demetra dal velo incollato sul ventre abbondante). In fondo, Tusa Marina, col suo castello sull’acqua smagliante e triangoli di vele sui merli.
Nel ventitrè ammazzarono il padre Battaglia, con colpi a lupara, su una trazzera, e gli riempirono la bocca di pietre e di fango. Il vecchio s’era tirato fin sulla nuca e gli orecchi lo scialle scozzese, aveva chiuso gli occhi e reclinato il mento sul petto.
Il piano della Piazza era tagliato a rettangoli e trapezi di luce. La torre medievale, al centro, massiccia, quadrata, aveva due facce illuminate. Uccelli neri, con lieve fruscio, facevano la spola tra la Matrice e la torre. Via Pier delle Vigne si perdeva tra vecchie case. Via Matteotti, dall’ogiva dell’antica porta, scendeva ripida e larga verso le case nuove. Un vecchio cantava nella piazza, seduto al sole davanti alla porta della società Agricola. Un altro vecchio stava immobile dall’altra parte; e altri tre dentro, nel vano interrato della società, immobili attorno a un piccolo tavolo su cui batteva il sole. Il vecchio sulla porta cantava con gli occhi in cielo e un sorriso sulle labbra. Cantava: – Al natio fulgente sol / qual destino ti furò –; e poi daccapo: – Qual destino ti furò / al natio fulgente sol –; sempre avanti e indietro su quelle parole.
Un’automobile nera venne giù da via Alesina, attraversò la Piazza e scese per via Matteotti. Vi era dentro un ufficiale dei Carabinieri con le stelle d’argento sulle spalle e altri signori col cappello. Il vecchio interruppe il suo canto e poi riprese.
Via Alesina era tutta in ombra, stretta e lunga, tra alte case, dalla Piazza fino al Belvedere. I vicoli verticali erano assolati. Cespi di bàlico fiorito, viola e giallo, spuntavano dalle crepe delle case e ficodindia da sopra i tetti. Da un balcone del vicolo penzolava la testa d’un asino, pensosa nel sole. Il municipio e la cooperativa Risveglio Alesino. Sul portone del municipio era scolpito lo stemma della città: un grosso cane muscoloso sopra una torre, le zampe posteriori contratte, sul punto d’avventarsi, i denti scoperti (1860: «In più luoghi, come a Bronte, a Tusa e altrove, i Consigli municipali, costituiti dai Governatori distrettuali, erano composti di elementi della grossa borghesia o dell’aristocrazia di proprietari terrieri, avversi alle rivendicazioni contadine e ai fautori e capi del movimento per la divisione delle terre demaniali»).
Una giovane bellissima, dietro i vetri d’una piccola finestra, ricamava. Divenne viva, aprì la finestra, si sporse, allungò il braccio bianco e fece segno che dovevo ancora andare avanti e poi salire per il vicolo.
Bussai e venne ad aprire una donna in nero. Mi fece strada per uno stretto corridoio celeste che sbucava in una grande stanza celeste. È il celeste, abbagliante per le mosche, latte di calce mischiato con l’azolo. Sei donne tutte nere erano attorno alla ruota della conca: la figlia, la moglie, due sorelle e altre due parenti di Carmelo. Parlava la giovane figlia, il fazzoletto nero annodato sotto il mento e ancora il velo nero che le scendeva per le spalle, gestiva con le sue mani guantate di nero. La madre, accanto, non parlava perché muta, muta e paralitica. Solo gli occhi aveva vivi.
– Sì, fece il soldato e, finita la guerra, venne a piedi da Trieste. Passò lo Stretto su una barca e, a Messina, prima che attraccassero, si buttò in acqua per toccare prima la Sicilia, ma non sapeva nuotare. Il pescatore calabrese lo dovette afferrare per i capelli per salvarlo. Rideva molto quando raccontava questo. Diceva che allora, a vent’anni, era sventato come un caruso.
– Sempre l’ha avuta questa idea socialista, ma di più quando tornò dalla guerra. Diceva che i contadini, i bovari sono sempre state malebestie. Sempre a limosinare un palmo di terra o un po’ d’erba al limite del feudo. Ma non parlava molto in casa, aveva le parole giuste, contate. Questa di mia madre era una pena forte che portava in cuore: venti anni che è allogo, un male di nervi.
– Partiva alle quattro, alle cinque, secondo la stagione, col mulo, per il feudo. A volte si restava là e si portava un poco di pasta e una boatta di salsina. Questa volta doveva restarci per due giorni.
– Sì, voglio che si scopra al più presto l’assassino. Voglio conoscerlo. Voglio vedere in faccia questo che insulta i morti, che li mette in ginocchioni.
– No, neanche i vivi s’insultano. Ma di più i morti, specie se in vita sono stati sempre latini, diritti, cavalieri.
La madre mugolò e cominciò a piangere. La figlia le prese le mani, se le portò sulle gambe e, tenendovi sopra le sue, si mise a cullargliele.
La stanza era piena di penombra. C’era solo la luce rossa di un lumino davanti alla fotografia di Carmelo vestito da soldato, sopra il comò. Le donne stavano tutte chiuse nei loro scialli e mute. Una prese la paletta di rame e rimestò la brace nella conca.
– Nessun desiderio, nessun progetto. L’unica sua idea era quella di aggiustare questa casa».
Il sole era tramontato e, all’uscita del paese, sopra un muretto della strada, erano seduti un prete grosso e un prete magro. Quello magro, scuro, era venuto da Cesarò per predicare il quaresimale. Quello grosso, chiaro, era del paese.
– Un uomo buono, benvoluto da tutti. Parlava poco ma spartano. No, in chiesa mai. Ci andavo io a casa sua, una volta al mese, per confessare e comunicare la moglie. Poveretta, mi scriveva i peccati su un foglio di carta.
Passavano i contadini per la strada, tornavano a gruppi dal lavoro, gli uomini sul mulo e le donne a piedi. – Vossia benedica – salutavano.
– Benedetto – rispondeva il prete.
– Tra loro, si ammazzano, tra loro bovari.
– Benedetto.
Le montagne là di fronte erano diventate viola, di un viola tenero sfumato.
Questi Nebrodi, alti di fronte al mare, sono di una bellezza impareggiabile. Ora, con le prime ombre della sera, si udivano per la campagna ringhiare e abbaiare i primi cani: quei cani orbi, bastardi, che si avventano feroci non appena li sfiora l’odore della carne d’un cristiano.
[i] «L’Ora», 16 aprile 1966, p. 6. Stesso testo, col titolo: Per un po’ d’erba al limite del feudo, in L. Sciascia e S. Guglielmino (a cura di), Narratori di Sicilia, Milano: Mursia, 1967, pp. 429-434. Il testo del 1966 è ripreso tal quale – sotto forma di «Prima appendice del curatore», con fonte: L’Ora, 16 aprile 1966 (p. 6), autore: Vincenzo Consolo, occhiello e titolo: Tra cronaca e racconto un giorno a Tusa. Un filo d’erba ai margini del feudo, sottotitoletti redazionali inframmezzati: Il tabuto fresco di vernice, Sei donne tutte nere – in Mario Ovazza, Il caso Battaglia. Pascoli e mafia sui Nebrodi, a cura di Fernando Ciaramitaro, Palermo: Centro Studi e iniziative culturali Pio La Torre, 2008, pp. 124-126 [cfr. il precedente M. Ovazza, La mafia dei Nebrodi. Il caso Battaglia, a cura di Maurizio Rizza, Palermo: La Zisa, 1993].
«Diverso è lo scrivere». Scrittura poetica dell’impegno in Vincenzo Consolo.
Rosalba Galvagno (a cura di),«Diverso è lo scrivere». Scrittura poetica dell’impegno in Vincenzo
Consolo, introduzione di Antonio Di Grado, Biblioteca di Sinestesie, Avellino 2015.
«Giravo e giravo, per strade, vicoli, piazze dentro la città nera, nell’intrico dell’ossidiana, nella
spirale d’onice, giravo nella scacchiera di lava e marmo folgorata da una luce incandescente»: così
Vincenzo Consolo descrive il capoluogo etneo in un suo breve e rarissimo scritto, intitolato “I libri
di Catania”, ora pubblicato in appendice a un pregevole volume dal titolo “Diverso è lo scrivere.
Scrittura poetica dell’impegno in Vincenzo Consolo”, recentemente edito per la collana “Biblioteca
di Sinestesie” (Avellino 2015) per le cure di Rosalba Galvagno, docente di Letterature Comparate e
di Teoria della Letteratura presso l’Ateneo catanese, e prefato da Antonio Di Grado.
Il libro riunisce gli interventi di una giornata di studi dedicata a Consolo tenutasi nel marzo del
2013 presso il Monastero dei Benedettini, nell’ambito delle iniziative culturali promosse dal
Dipartimento di Scienze Umanistiche: in quell’occasione alcuni tra i più validi studiosi dell’opera
consoliana (Nigro, Cuevas, Galvagno, Trovato, Messina, Stazzone), si sono confrontati intorno al
tema della “scrittura”, declinandolo da prospettive differenti.
Nella sua introduzione Di Grado si sofferma su “Catarsi”, definendolo “un testo di alta e
impervia poesia, memore addirittura dei tragici greci, di Hölderlin e di Pasolini”, composto per una
produzione del Teatro Stabile di Catania di grande spessore culturale, quel “Trittico” del 1989 (che
tanto successo riscosse), costituito da tre atti scritti dai tre maggiori letterati siciliani allora viventi:
Sciascia, Bufalino e appunto Consolo.
Nel contributo di Salvatore Silvano Nigro è rintracciata, nella prosa di Consolo, una fonte
secentesca, il “Récit du sol” di Bartoli; Cuevas si sofferma sapientemente sui riferimenti ecfrastici
presenti in un libro ancora inedito, “L’ora sospesa”, interpretando il senso delle “strategie di
ambiguazione della scrittura consoliana”, ad esempio nel caso dell’“escamotage dell’ecfrasi
nascosta”. Il saggio di Rosalba Galvagno individua le “figure della verità” presenti in quattro testi
dello scrittore siciliano: due articoli di cronaca degli anni Settanta da cui emerge “l’ambiguità della
verità effettiva, così diversa da quella processuale” e dai romanzi “Il sorriso dell’ignoto marinaio” e
“Retablo”, con un interessante riferimento all’iconografia dei “Disastri” di Goya.
Salvatore C. Trovato analizza le “Scritte” presenti nel capitolo IX del “Sorriso”, mettendone in
evidenza “i caratteri regionalmente marcati verso il basso” con opportuni rilievi sulla realtà
linguistica sanfratellana; Messina ripercorre il percorso editoriale e di scrittura del libro “La mia
isola è Las Vegas”; Stazzone dimostra come l’opera di Consolo sia attraversata dal tema del
silenzio e dell’afasia, insistendo sulla “volontà di alternare spazialità e temporalità dosando
citazioni letterarie e iconiche” nei romanzi consoliani fin dalla soglia paratestuale dei titoli.
In Appendice vi è anche un sentito saluto e ricordo dell’autore di Cetti Cavallotto unitamente a
un corredo iconografico e fotografico.
I vari saggi che compongono il volume ci mostrano, quindi, come la scrittura consoliana sia
un’immensa tessitura nella quale si mescolano gli elementi più diversi: la corposità della frase, la
trasfigurazione lirica della realtà, l’engagement, l’ecfrasi, la visione della storia e della letteratura
come combinazione e stratificazione “palincestuosa”, amalgama di elementi che producono infinite
sottoscritture e infiniti richiami.
Novella Primo
Conferenza all’ Université de Lorraine ” La scrittura plurale di Vincenzo Consolo, fra sperimentalismo e meridionalismo “
CONFERENCE DE
Mr. Gianni Turchetta
(Professeur de l’Université de Milan)
“Da un luogo bellissimo e tremendo”.
La scrittura plurale di Vincenzo Consolo, fra sperimentalismo e meridionalismo
Mardi 8 mars 2016 17h30-19h15
Salle des Actes G04
Campus Lettres
ENTREE LIBRE
PRESENCE OBLIGATOIRE POUR LES ETUDIANTS D’ITALIEN
Infos : laura.toppan@univ-lorraine.fr
Université de Lorraine
Conferenza all’ Université de Strasbourg “Da un luogo bellissimo e tremendo”.
CONFERENCE
Gianni Turchetta
(Université de Milan)
“Da un luogo bellissimo e tremendo”.
La scrittura plurale di Vincenzo Consolo, fra sperimentalismo e meridionalismo
Mardi 8 mars, à 9h
Auditorium du Collège Doctoral Européen
ENTREE LIBRE
PRESENCE OBLIGATOIRE POUR LES ETUDIANTS D’ITALIEN
Infos : frabetti@unistra.fr
Université de Strasbourg
La poetica di “Accordi” in un inedito di Vincenzo Consolo
La poetica di “Accordi” in un inedito di Vincenzo Consolo
di Concetto Prestifilippo