Ma che fai, voli? – diceva Vincenzo aprendomi la porta e provocando la mia reazione. Allora sollevavo e agitavo goffamente i gomiti fischiettando il cinguettìo di un canarino. Un reciproco gioco infantile che alludeva al settecentesco carillon con gabbietta e due uccellini sgargianti che in gioventù aveva acquistato in un mercatino di Palermo. Mostrarlo, azionarne il gioioso meccanismo che animava i due uccellini in effusioni a scatti e in canterini richiami d’amore, lo rallegrava.
Dopo averlo conosciuto, furono frequenti le sue telefonate per invitarmi a trascorrere una mattinata o un pomeriggio insieme, ed io, emozionato e lusingato mettevo le ali alla bicicletta ed ero già lì a far squillare il campanello di casa sua .
Mattinate e pomeriggi indimenticabili, durante i quali l’uomo Vincenzo -che mi schiudeva l’intimità del suo mondo privato- e lo scrittore Consolo, -che mi aveva ammaliato con il prodigioso libro “Retablo” – si lasciavano conoscere sempre più in profondità, consegnandomi dei suoi due volti un’unica immagine coerente di sé..
Nel 2001 a Catania, al termine di una sua conferenza, mi ero presentato per conoscerlo, infervorato com’ero dalla convinzione, che il suo “Retablo” e il mio “Pellegrinaggio d’amore: dalla Passione alla Coscienza” seppure nella differenza dei reciproci destini e dei rispettivi linguaggi, presentavano somiglianze significative e lusinghiere: la Sicilia che faceva da sfondo, il tema dell’amore impossibile in Isidoro e Rosalia profuso anche in altri personaggi, il viaggio del pittore Clerici simile a un pellegrinaggio passionale la cui meta sarà l’accettazione, la Coscienza. E non costituiva forse un ideale Retablo di ispanica tradizione l’insieme dei miei 32 Altari laici costruiti con i legni delle vecchie barche dei pescatori e dei migranti?
Metterlo a conoscenza della mia ricerca artistica nella quale si intrecciavano pittura, scultura e scrittura, era l’inevitabile premessa per osare di confessargli il desiderio di un suo breve commento scritto.
Fra le trenta righe battute a macchina e corrette a mano che mi consegnò, trovai una pietruzza che da allora considero preziosa, un’espressione sintetica e limpida, una ritmata combinazione di tre aggettivi e un sostantivo : “un materico e poetico poema narrativo”, parole che in me producevano lo stesso effetto della vernice lucida spennellata sopra la pittura opaca, o della cera spalmata che disvela le venature del legno.
Con quell’ illuminante frammento di scrittura, Vincenzo mi aveva istruito su me stesso; e non dimentico l’intento a lui esposto di cimentarmi un giorno nell’omaggio di un grande Retablo per illustrare e onorare il suo Retablo di parole.