Rilanciare l’impegno civile di Vincenzo Consolo

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Rilanciare l’impegno civile di Vincenzo Consolo
Ricordando a tre anni dalla scomparsa
Vincenzo Consolo a S.Agata di Militello,
suo paese natale, è stato facile
sottolineare l’impegno sociale e politico
di uno dei grandi scrittori del novecento.
Ho avuto modo di conoscere da vicino
Consolo negli ultimi anni della sua vita,
quando ebbe modo di entrare in stretto
contatto con il Centro Studi Pio La Torre
e con le sue attività. Grazie a questa
frequentazione e alla mia personale
insistenza, Consolo nel 2009 ha scritto
un atto unico dedicato a “Pio La Torre,
orgoglio di Sicilia” rimasto tra i pochi testi teatrali dell’autore. Testo donato al Centro, che
lo ha pubblicato e che oggi viene recitato nelle scuole italiane collegate alle attività
educative antimafiose del Centro. Quell’atto unico servì all’autore, come ebbe modo di
dirmi, per colmare un vuoto che gli pesava.
Fino ad allora non aveva avuto modo di scrivere nulla su Pio, suo amico, perciò avvertiva
un personale debito morale verso l’amico ucciso dalla mafia. L’omaggio reso alle vittime di
mafia servì a Consolo a ripercorrere il filo del suo impegno antimafia dal dopoguerra sino
alle stragi degli anni ’90. Infatti nell’atto unico, dalla Strage di Portella al Sacco di Palermo,
cioè dalla storia del movimento contadino alla mafia urbana del boom edilizio, descritti
drammaticamente da una voce narrante, Consolo richiama la sua visione storica e
democratica della Sicilia contrapposta a quella meccanicistica di Tomasi di Lampedusa,
autore de “Il Gattopardo” che ignorava il ruolo della mafia nella difesa del feudo e a quella
fatalista di Giovanni Verga. L’atto unico si chiude infatti nel modo seguente: “I veri nobili
non sono, no, i Leoni e i Gattopardi, questi parassiti della storia, ma veri nobili sono stati e
sono tutti quelli che hanno lottato e lottano in Sicilia, pagando spesso con la vita il rispetto
della democrazia, dei diritti e della dignità umana. I veri nobili sono i Pio La Torre, i
Rosario Di Salvo, i Giovanni Falcone e i Paolo Borsellino e tutti coloro che hanno lottato e
sacrificato la loro vita per la libertà, la giustizia e il rispetto dei diritti di tutti”.
Nel corso della sua vita e dei suoi scritti, Consolo ha affrontato il tema della mafia. Il tema
si rintraccia quando riferisce del soldato italo-americano delle truppe Alleate sbarcate in
Sicilia nel luglio 1943 che si presenta a casa dei Consolo presentandosi come fidanzato di
una figlia di una loro cugina emigrata negli Usa. La parente, avuta notizia del fatto, scrive
allarmata per avvertire i suoi parenti che è tutto falso perché quel soldato è un gregario
della “Mano nera”.
Sempre nel 1943, alla fine dell’estate, Consolo ragazzino segue il padre commerciante
che va alla ricerca di derrate alimentari sino a Villalba dove potrebbe comprare le
lenticchie, pagando il pizzo, solo con il consenso di un signore grasso e ben vestito (Don
Calò?). Il padre rifiutò di pagare, perse la possibilità di guadagno ma diede un esempio di
rifiuto della mafia la cui presenza è avvertita da Vincenzo per la prima volta.
Successivamente ne sentirà parlare, ancora giovinetto, dal grande capo dei comunisti
siciliani, Girolamo Li Causi, in un comizio qualche anno dopo a Sant’Agata. Ricordando il
suo esser nato in un luogo poco segnato dalla storia, invaso dalla natura, dove non c’è
stata una forte presenza arabo-normanna con tracce greco-bizantina più leggibili che
sicuramente ha influito sulla identità di scrittore che per tutta la vita è impegnato a
conciliare i due poli – quello logico illuminista di Leonardo Sciascia e quello lirico puro di
Lucio Piccolo. Sciascia era un illuminista liberale, dice Consolo, mentre di sé stesso parla
come di uno che aveva creduto nel cambiamento radicale della società, secondo un
orientamento marxista. Stimolato dalla lettura di Sciascia, Carlo Levi, Danilo Dolci, Rocco
Scotellaro, degli altri scrittori meridionalisti, Consolo entra in conflitto sia con i codici
linguistici imposti sia con il “Potere”. Vincenzo appare un moderno Odisseo in continua
ricerca di sé stesso, vive la crisi della propria identità e vede i propri miti sfaldarsi, da
quello della società contadina a quello della civiltà industriale, in quella Milano, del boom
del dopoguerra dove si è trasferito attratto dagli inviti dei Vittorini, dei Calvino a esplorare
la nuova società industriale.
Il filo conduttore dello scrittore è l’ininterrotta riflessione sulla società siciliana e le sue
ingiustizie, le ferite, le umiliazioni subìte dalla sua terra.. La narrazione del passato, serve
a Consolo per leggere e interpretare il presente. La Sicilia contadina e umana di una volta
è rievocata in Retablo e nelle Pietre di Pantalica, mentre nel suo primo libro “La Ferita
dell’Aprile” descrive il viaggio simbolico linguistico del giovane sanfratellano, Scavone,
che viene sulla costa dove impara il siciliano e poi, con gli studi, l’italiano. L’olivo e
l’olivastrotratteggia la tragedia dell’emigrazione dopo il terremoto del Belice, che richiama
quella che stiamo vivendo in questi anni nel Mediterraneo.
In tutti i suoi scritti Consolo esplora il mondo degli umili, perché la sua letteratura è uno
strumento di ragionamento sulla realtà concreta interrogandosi alla maniera di Bertolt
Brecht, su chi “paga le spese del nostro progresso”, visto che l’Occidente prospera sulle
miserie dei tre quarti del mondo. Quell’esule errante che cerca la sua Itaca si trova di
fronte la grande minaccia della cancellazione della sua identità di cittadino della
globalizzazione, “grande bottega del mondo”.
Queste riflessioni esistenziali hanno accompagnato per tutta la vita Vincenzo Consolo,
sino alla fine, sino al suo ultimo scritto che il Centro Studi La Torre ha avuto l’onore di
pubblicare per espresso suo desiderio, rimanendogli per sempre grato.

di Vito Lo Monaco

Intervento durante la presentazione del Meridiano dedicato allo scrittore ” Omaggio a Vincenzo Consolo ” 7 marzo 2015 a Sant’Agata di Militello
successivamente pubblicato dalla rivista  articolo21 – 9 marzo 2015