L’ ARTE DEI BAMBINELLI CHE CONQUISTÒ PARIGI
C’ È QUALCOSA che va al di là del sentirsi legati ad un credo religioso, qualcosa come un richiamo a cui ciascun individuo misteriosamente si abbandona: è la notte di Natale. Recitava un’ antica ninnaredda, nome delle sonate e cantate natalizie: «Quantu è bedda la notti di Natali, ca parturìu Maria senza duluri! E fici un figghiu che è dignu d’ amari». Perché è proprio a notte fonda che si ripete l’ evento celebrato in ogni tempo e in ogni luogo della nascita di un bambino. «Sera dopo sera – racconta nel suo testo “Un remoto e recente presepe” Vincenzo Consolo – la cerimonia in chiesa, il rito affollato di suoni, luci, odori, figure, colori. Si snodava in questo modo la novena, si procedeva atto dopo atto, verso la conclusione del gioioso dramma, verso il Natale …». In memoria dei canti che i pastori avevano dedicato al Bambin Gesù, ogni notte in Sicilia, venivano suonate le novene da ciechi cantastorie, che già dal 16 dicembre andavano in giro, di casa in casa, per chiedere: «Chi vuol prender novena?». Questi canti cominciavano e finivano un giorno prima dei tempi liturgici dell’ avvento, tanto che si diceva: «l’ orbi fannu nasciri a lu Bamminu un jornu prima». «Molti palermitani – scrive Giuseppe Pitrè in “Spettacoli e feste popolari siciliane” – ricorderanno ancora quel piacere sentito in quella specie di dormiveglia, quando svegliati da un dolce suono si rimane incerti della realtà di esso: «Alligràtivi, pasturi/ Già ch’ è natu lu Misia;/ Bittalemmi a li fridduri/ ‘ Spostu ‘ n vrazza di Maria». Era questa una tra le ninnaredde più note, soprattutto nel palermitano. Pure i ciaramiddari, che modulavano col piffero il suono monotono della cornamusa, facevano la novena, eseguita però durante il giorno o alla sera; chi poteva permettersi poi di spendere qualche soldo in più riusciva a disporre di una piccola orchestrina composta da un violino, un contrabbasso e un flauto. La preparazione del presepe avveniva giorni o anche settimane prima della novena. Era la rappresentazione figurata di un fantastico assemblaggio di pastori, di cui esisteva una curiosa lista: «la nanna cu li puddicini, lu ricuttaru, lu furnaru, lu piscaturi…». Al centro, tra Maria e San Giuseppe, ecco «il bambinello Gesù – come scrive sempre il Pitrè – il Re della festa» e di bambini, oggetto di premio e di regalo. In via dei Bambinai, a Palermo, operavano i cirari (ceraiuoli), esperti nell’ eseguire il Bambin Gesù, raffigurato nei vari atteggiamenti: ora dormiente, ora assiso con le braccia aperte e col rosso cuore in mano, ora sdraiato in mezzo alle ghirlande, a volte rivestito di pregiati abiti in seta e ricami in oro. A volte si trattava di un exvoto raffigurante le fattezze di un bambino reale: il ritratto del figlio guarito, o del neonato tanto atteso. Alcuni di loro recavano un bigliettino con la motivazione dell’ offerta. Queste statuine tramandate di generazione in generazione sono custodite come dei numi tutelari: alcuni di questi bambini ad esempio sono andati a finire con le famiglie emigrate, in Australia, negli Stati Uniti, in Venezuela. La tradizione dei “bambiniddari”, come venivano chiamati questi maestri scultori, era molto diffusa in Sicilia. Nella seconda metà del Seicento quest’ arte ebbe una tale diffusione e popolarità che i salons parigini dell’ epoca accolsero spesso queste ricercatissime sculture.A rappresentare la Sicilia e l’ arte della ceroplastica fu il siracusano Gaetano Zummo, considerato uno dei più bravi. La cera d’ api, duttilee delicata, è una sostanza secreta dalle api, come il miele, che si riteneva fosse un dono divino. La lavorazione della cera ha dunque una forte valenza simbolica e non è un caso quindi che con essa si riproduca l’ immagine del piccolo Gesù e di «un progidio» come scrive sempre Consolo: «È il riso del Bambino di Betlemme, dei bambini di Palermo e d’ ogni luogo del mondo».