da Il sorriso dell’ignoto marinaio
L’occhio cavo dell’asino bianco
Quindi Adelasia, regina d’alabastro,
ferme le trine sullo sbuffo,
impassibile
attese che il convento si sfacesse.
Chi è, in nome di Dio?
–di solitaria badessa centenaria in clausura
domanda che si perde per le celle,
i vani enormi, gli anditi vacanti.-
Vi manda l’arcivescovo?
E fuori era il vuoto.
Vorticare di giorni e soli e acque,
venti a raffiche, a spirali,
muro d’arenaria che si sfalda,
duna che si spiana,
collina, scivolìo di pietra, consumo.
Il cardo emerge , si torce,
offre all’estremo il fiore tremulo, diafano
per l’occhio cavo dell’asino bianco.
Luce che brucia, morde,
divora lati spigoli contorni,
stempera toni macchie, scolora.
Impasta cespi, sbianca le ramaglie,
oltre la piana mobile di scaglie
orizzonti vanifica, rimescola le masse.