La necropoli di Pantalica

Oggi Vincenzo Consolo avrebbe compiuto 89 anni. Lo ricordiamo con affetto. E anche da Berlino lo scrittore e poeta Joachim Sartorius, che a Siracusa torna come si torna a casa, gli dedica due poesie nella traduzione di Anna Maria Carpi.
su suggerimento di Etta Scollo

da Joachim Sartorius | Feb 16, 2022

Quattro poesie nella traduzione inedita di Anna Maria Carpi.

Auf der Terrasse, piazza del Precursore

für (und nach) Vincenzo Consolo

Sulla terrazza, piazza del precursore

a (e a la maniera di) Vincenzo Consolo

Davanti a noi il mare, all’altezza dei nostri occhi,

lenti vanno i pescherecci, domani

avremo sardine, sebastes o il grosso pescespada.

Lui, solo lui, al mercato avrà due garofani negli occhi,

il muso colmo di melissa al limone, le squame di basilico,

e il mercante taglierà, oh, oh, col coltellaccio

taglierà il pescespada finché non restano che testa e spada

e sangue sull’uncino. E qui io penso ai razzi colorati

che ieri al matrimonio

a San Giovannello si spararono in aria

e caddero in acqua, friggendo come pesci, friggendo

come il pescespada nella nostra cucina – domani.

Domani, al pranzo, negli odori di mirra e melissa

penseremo a Mitilene, di fronte alla costa dell’Asia Minore,

la capitale di Lesbo. E’ vero quello che diceva Cicerone,

che hanno messo una statua di Saffo nel salone cittadino di Siracusa?

Di porfido? Non sappiamo come ricomporre i frammenti,

le voci dei navigli in pezzi.

*

Die Nekropole von Pantalica

La necropoli di Pantalica

L’airone vola nei boschi e si colma le ali di spezie.

Il cielo è teso come una pelle, grigio chiaro.

Io sono il pastore che spacca i fichi.

Mi diffondo a parlare delle pecore grigie.

E ancora più bello è sopra le tombe scure.

La prima farfalla, bruna e nevosa.

Aperto in cima al monte c’è il libro

che decide  le forme del suo volo.

*

Téléphone arabe

Telefono arabo

alla memoria di Ibn Hamdis

1

Ci sono due copie del suo Divan, scritto da lui

in accurata agile calligrafia.

Un esemplare impolverato nella Biblioteca Vaticana.

L’altro nel Museo Asiatico di S. Pietroburgo.

Come ci sono pervenuti? Le poesie tarde

parlano dell’invecchiare.  Lui è morto a Palma di Mallorca,

dopo qualche peregrinazione, a settantasette anni.

2

Sino alla fine la sua chioma era riccia e scura.

Ma agli amici della corte di Siviglia pareva che si fosse cinto

il capo di un’aura bianca. Così lo chiamavano il Bianco (o il Robusto o il Saggio).

Nelle sue poesie la sua fragilità era tutt’uno col declino degli Arabi in Sicilia e Andalusia.

Da Siracusa era fuggito in nave a Sfax.

3

Fuggito alla venuta dei Normanni. La sua nave si arenò.  Nessuno

scrive della perdita del suo cuore. Lui scrive

sulla perdita di Jawhara, annegata,

delle belle nostalgiche elegie. Ancor oggi giacciono

come pelli di serpente al bordo della nostra strada.

Téléphone arabe, posta crepitante fino alle Baleari,

lungi dal Vaticano e ancora di più da S. Pietroburgo.

*

Replik

Replica

Io voglio ammirare l’estate d’estate.

Io voglio ammirare in mare il mio mare.

Voglio portare tre delfini ad Arethusa.

Siamo in quattro ad ammirare il loro dorso d’argento.

Ma sulle monete non c’è il dorso.

Solo testa e collo, in un alone d’argento.

Pound e Yeats al Museo Archeologico avevano

studiato accuratamente le collezioni.

Questa moneta è la più bella

del mondo antico, scrisse Yeats ai suoi.

Arrivarono alla conclusione cui erano arrivati già tutti.

Pound comprò una replica.

JOACHIM SARTORIUS

Joachim Sartorius, nato nel 1946 a Fürth, è cresciuto a Tunisi e vive fra Berlino e Siracusa. Poeta e traduttore di poesia americana, soprattutto di John Ashbery e Wallace Stevens. Ha pubblicato molti libri di poesia e prosa. Ha anche lavorato a diverse antologie. Il suo lavoro poetico è tradotto in quattordici lingue ed è l’editor delle versioni tedesche delle opere di Malcom Lowry e William Carlos Williams. La sua ultima pubblicazione è “Wohin mit den Augen. Gedichte” (2021). Membro del PEN per la Germania e della Deutschen Akademie für Sprache und Dichtung.

Omaggio a Vincenzo Consolo: Lunaria, nella gioia luminosa dell’illusione

data 12/04/2018


 Omaggio a Vincenzo Consolo: Lunaria, nella gioia luminosa dell’illusione

LETTERATURA E MUSICA / INCONTRO CONCERTO-RECITAL

Omaggio a Vincenzo Consolo: Lunaria, nella gioia luminosa dell’illusione

In lingua italiana con sottotitoli in francese, 70’.
Con Gianni Turchetta (voce), Etta Scollo (voce e chitarra) e Susanne Paul (violoncello e voce)

Questo concerto-recital, che rende omaggio allo scrittore Vincenzo Consolo, è stato creato a partire dal racconto eponimo di Consolo. L’opera si svolge in una Sicilia fiabesca, contemplata attraverso un caleidoscopio che mescola tutte le sfumature del barocco mediterraneo. Il protagonista, il viceré dell’isola, è un personaggio cupo e malinconico. Una notte, questo atipico sovrano sogna che la luna sia caduta dal cielo. Quello che sembra un incubo è in realtà una premonizione: in uno sperduto villaggio del regno, inesistente perfino sulle carte geografiche, la luna è veramente caduta dal cielo… Tra narrazione e peosia, il racconto scivola dall’inizio alla fine come la musica di uno spartito, scorrendo come un fiume carsico e comparendo qua e là alla luce del sole (o della luna) in occasione di veri e propri exploit melodici e coreografici: canzoni, balli, poesie la cui tensione musicale viene esaltata dalle parole dell’autore, che raccoglie le più antiche espressioni delle diverse lingue regionali.

Lo spettacolo sarà preceduto da un intervento di Gianni Turchetta, professore di letteratura all’Università di Milano e specialista della scrittura di Vincenzo Consolo, del quale ha curato l’opera completa per i Meridiani Mondadori.

vincenzo-consolo1

https://iicparigi.esteri.it/iic_parigi/it/gli_eventi/calendario/2018/04/hommage-a-vincenzo-consolo-lunaria.html

Da Lunaria

*
Questo giorno imperioso, senza fine… questa
notte, crespo che si càmola, volo di farfalla, soffio
di fantasma… E i sogni a tormentarla… (con
improvviso scatto si rizza, si mette seduto sul letto)
Porfirio, ascolta, ascolta il sogno che questa notte
m’ha buttato nel terrore. Ancor ne tremo e bagno
di sudore… Ero in cima alla torre, sulla terrazza
dell’Osservatorio dove l’Abate astronomo m’indicava
Cerere e altre stelle intorno… Quand’ecco
all’improvviso distaccasi la Luna, rotola sul
profilo del Grifone, Gibilrossa, Bellolampo, scivola
sui merli delle torri, le curve delle cupole,
le guglie, le banderuole in cima ai campanili, e
s’appressa crescendo a dismisura, fino che viene
ad adagiarsi nel giardino sopra i bastioni, tra le
palme e le voliere, grande come il rosone d’una
chiesa, e vomita scintille dal suo corpo. In quel
modo si spegne a poco a poco, annerando, mentre
pigolano gli uccelli e passiscon sfrigolando
i gelsomini, le pomelie, le aiuole d’erbe, di fiori
senza nome. Allora, guardando il cielo, vedo,
dove lei s’era divelta, un’orma, una nicchia, un
vano nero che m’attrae e dona nel contempo le
vertigini… Ancora ne risento… Porfirio, non ho
abènto. Questo tormento che non conosce alba
né tramonto, questa inedia di stagno, questa
noia greve, quest’ansia ferma, questa melanconia
amaricante…
E scivola a poco a poco, il Viceré, di nuovo dentro
il letto, fino a sparire sotto i lenzuoli.
Porfirio allora, con sibili, con schiocchi delle labbra,
lo conforta. E quindi, accompagnandosi con
una chitarriglia, così gli canta.
*
Azzurro, giallo, rosso.
Mi regalò mio padre
tre cristalli,
mia madre tre nastri
variopinti.
Mi dissero partendo:
Muoviti, figlio,
agita il ventre,
danza a campo raso,
nella luce piena.
È fredda l’ombra,
immobile serpente,
lunga la notte
dentro la foresta.