Capire il carattere di un uomo con estrema lucidità attraverso sguardi e parole

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Destini è un bel titolo: potrebbe funzionare da epigrafe per tutta l’opera di Corrado Stajano (nella foto). Perché Stajano non ha fatto altro, nella sua vita di giornalista-scrittore, che andare a caccia di destini, specie quando i destini individuali si incrociano con quelli collettivi. E questi ritratti che vanno dagli anni Settanta a oggi ne sono la testimonianza più abbagliante. Sono vite che gli stanno molto a cuore: vite di italiani illustri e non illustri che Stajano sa ricostruire grazie alla capacità di ascolto e di osservazione del dettaglio, ma anche alla sensibilità per la visione d’insieme. Nulla gli sfugge, la tonalità di una voce, un gesto, uno sguardo, un oggetto, un capriccio del carattere, la ritrosia di padre David Maria Turoldo nel mettere le scarpe ai suoi «piedoni da gigante», il giaccone foderato d’agnello tanto caro a Peppino Fiori, il buco nel mento di Paolo Volponi, la poltroncina bianca su cui siede il poeta-traduttore Agostino Richelmy. Dal minimo al massimo, la narrazione di Stajano sa allargarsi dalla macro-fotografia al panorama più ampio, storico e naturale: l’incipit del profilo dedicato all’amico Vincenzo Consolo è una sfolgorante descrizione del mare lontano e del paesaggio etneo di vigne «rotto soltanto dai cimiteri di lava nera…». Precisione e limpidezza della scrittura fanno il resto. Non so quanti, giornalisti e/o scrittori, oggi raggiungano queste vette. Leggere i Destini è entrare in una flora fitta di richiami, di connessioni colte ma senza esibizione di cultura e tanto meno di quell’egotismo «brillante» cui siamo abituati; e ciò anche quando la presenza dell’autore-narratore è palpabile, perché tutto è filtrato dalla sua prospettiva mai neutrale e dalla sua partecipazione umana. Le vite individuali così ravvicinate e salvate dall?oblio si saldano con la storia civile italiana del dopoguerra, con gli intrecci di amicizie, solidarietà, inimicizie. Sicché seguiamo la tragica storia di Richelmy e inciampiamo nella voce euforica di Mario Soldati, al fianco di Turoldo troviamo il frate Camillo De Piaz, con Terzani incrociamo Olivetti, Italo Pietra, Mattioli. Un «mondo perduto» che solo la testimonianza di un grande narratore per fortuna può mantenere in vita a futura memoria.

Di Stefano Paolo

(03 ottobre 2014) – Corriere della Sera