Il ricordo di Vincenzo Consolo nell’ultimo intervento di Cesare Segre

imagesIl ricordo di Vincenzo Consolo nell’ultimo intervento di Cesare Segre e il Meridiano Mondadori
 

Le fughe e i ritorni di Consolo Sicilia non è solo Gattopardo Allievo di Leonardo Sciascia, era agli antipodi rispetto a Tomasi di Lampedusa

Voglio subito enunciare un giudizio complessivo: Consolo è stato il maggiore scrittore italiano della sua generazione. La sua scomparsa ha turbato tutto il quadro della narrativa nel nostro Paese, rimasto senza un punto di riferimento alto e, per me, indubitabile. Il romanzo Il sorriso dell’ignoto marinaio (1976, iniziato però intorno al 1969 e poi finito pochi mesi prima dell’uscita) fu una rivelazione. L’ignoto di una splendida tavoletta di Antonello da Messina nel museo Mandralisca di Cefalù divenne, con il suo sorriso, una specie di doppio di Vincenzo Consolo. Ma accanto alla vera immagine di Consolo sono spesso apparse altre due immagini: quella di Leonardo Sciascia e quella di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Il primo, pur diversissimo nello stile, fu il maestro di Consolo per l’atteggiamento di fronte ai problemi e alle contraddizioni sempre piu laceranti della Sicilia. Il secondo ne fu l’antitesi: tanto è lontano il suo Gattopardo dal Sorriso dell’ignoto marinaio , anche se entrambi hanno come oggetto lo stesso momento storico della Sicilia, percorsa da moti risorgimentali, liberata (o occupata) dai Mille a nome dell’Italia da unire, bersaglio infine di jacqueries contadine confuse, dai contemporanei, con scoppi di banditismo. È comunque da questo confronto — si disse che Il sorriso era l’anti-Gattopardo — che si può partire per qualunque discorso su Consolo.
Ma sarà intanto utile esporre lo schema del romanzo, e di quelli che seguirono. I primi due capitoli del Sorriso ci portano in mezzo agli aristocratici e ai borghesi illuminati, fra i quali si stanno diffondendo le idee liberali e mazziniane.
Essi odiano i monarchi borbonici e sono pronti ad affrontare, se occorre, l’esilio e la morte, come accadrà dopo la fallita rivolta di Cefalù del 1857. Gli altri capitoli, dal III al IX, sono ambientati pochi anni dopo, quando la Sicilia si prepara a passare sotto il governo dei piemontesi. Questi capitoli sono tutti dedicati ai prodromi, agli sviluppi e alla tragica conclusione della rivolta popolare di Alcàra Li Fusi, scoppiata alla vigilia dello sbarco di Garibaldi. Dietro Alcàra sta forse, per Consolo, il ricordo di Bronte e della spietata repressione di Nino Bixio, descritta da Verga nel racconto Libertà . Il barone Mandralisca, possessore del ritratto di Antonello, segue la rivolta con istintiva comprensione, ma, quando essa degenera, la vede con crescente orrore, e confessa la sua incapacità di comprendere e di giudicare. La narrazione d’autore si alterna a documenti ufficiali, brani di storici locali (come Francesco Guardione) o nazionali (come le Noterelle di uno dei Mille di Giuseppe Cesare Abba), che separano tra loro le varie parti d’invenzione.
Consolo aveva gia pubblicato un romanzo, La ferita dell’aprile (1963), che al momento sfuggì all’attenzione dei critici e dei lettori. Si tratta di un Bildungsroman autobiografico, un unicum nella carriera dello scrittore (che, per parte sua, lo definiva un «poemetto narrativo»). Il romanzo narra la vita nella Sicilia del dopoguerra, fino all’occupazione dei latifondi e alla repressione ad opera dei governi democristiani.
Provando a completare il quadro dei romanzi di Consolo, siamo ben consapevoli di metterci in una posizione contraddittoria, dato che Consolo stesso ha più volte dichiarato che nel romanzo storico non credeva. Diciamo allora che, bypassando il problema, prendiamo in esame i suoi libri che esibiscono dei personaggi e una narrazione continuata.
Venne dunque Retablo (1987), con immagini di Fabrizio Clerici; il grande pittore, trasformato in personaggio settecentesco, appare nella seconda parte del romanzo, da milanese appassionato di antichità siciliane. È lui, che pure arde di un amore infelice per Teresa Blasco, la futura nonna siciliana di Manzoni, a tentar di risolvere i problemi del fraticello innamorato della prima parte della narrazione; ma intanto Consolo rende omaggio al mitico Illuminismo milanese, visto dal traguardo della contemporaneità: per esempio, dalla rivolta, che divenne poco dopo anche giudiziaria, contro il mostro della corruzione.
Si avvicina certo a un vero romanzo Nottetempo, casa per casa (1992). Il tema centrale potrebbe essere sintetizzato come «l’irrazionale e la storia», e fornirebbe argomenti alla negazione di principio del romanzo che Consolo ha fatto propria. Qui abbiamo, in singoli flash a luce radente, la ricostruzione dell’affermarsi del fascismo, negli anni Venti del secolo scorso, tra Cefalù e Palermo. Invece di raccontare questa vicenda, col rischio di ricadere nelle fauci dell’aborrito romanzo storico, Consolo evoca l’irruzione nell’isola di forme più o meno deliranti dell’irrazionale, dalla licantropia del padre di Petro, il protagonista, alle psicosi della sorella, alle esibizioni di un personaggio storico come l’inglese Aleister Crowley, inventore e officiante di riti satanici in cui alla promiscuità sessuale e alla droga si mescolano le invenzioni più stravaganti di religioni e leggende esoteriche.
Ma è più tardi Gioacchino Martinez, il protagonista di Lo spasimo di Palermo (1998) abbozzato in modo da risultare molto simile a Consolo stesso, a farci quasi toccare con mano, una ad una, tutte le disillusioni di un siciliano che, fuggito disdegnoso dalla sua isola, trova in Lombardia situazioni che generano in lui analoghi sentimenti di rifiuto e di condanna.
Tutti i romanzi appena ricordati, se ordinati in base alla cronologia dei fatti descritti o allusi, compongono, per momenti decisivi, una storia della Sicilia degli ultimi 250 anni. Ma dalla mia grossolana rassegna tassonomico-cronologica resta fuori uno dei lavori più mirabili di Consolo, Lunaria (1985). In esso c’è un abbandono pieno all’invenzione. Invenzione tematica e invenzione formale. Il libro non è certo un romanzo, ma appartiene piuttosto a un «genere che non esiste», a un conato di teatralità divertita fra entremés alla spagnola e teatrino delle marionette. Si sa che molta elaborazione di Consolo è «letteratura sulla letteratura». Ebbene, in Lunaria la falsariga è costituita da un racconto di Lucio Piccolo, L’esequie della luna (1967), con cui Consolo si pone felicemente in gara, non dimenticando naturalmente Leopardi. Voglio evocare un aneddoto sintomatico. Quando Consolo mi mise tra le mani il meraviglioso libretto, e io mostrai di riconoscerne alcune fonti, invece di chiudersi nell’enigma mi procurò la fotocopia dei testi cui più si era ispirato, lieto che io ripercorressi i suoi itinerari. Mai come in questo caso la letteratura cresce su se stessa, e se ne vanta. Il lettore deve partecipare, come in un gioco, all’invenzione dello scrittore.
Il mio percorso sembrerebbe aver trascurato i molti scritti di Consolo di carattere saggistico o polemico. Ma in fondo no, se pensiamo che molti o moltissimi dei suoi saggi (raccolti in volumi come L’olivo e l’olivastro , del 1994, Le pietre di Pantalica , del 1988, Di qua dal faro , del 1999) possono essere visti, per tornare a un’etichetta un tempo di gran moda, come i correlativi oggettivi dei suoi romanzi. Perché al centro dei saggi c’è sempre la Sicilia, le sue contraddizioni e i suoi mali visti con disperata frustrante insistenza, con passione e con sarcasmo da un siciliano che fugge e ritorna incessantemente: solo che qui lo stile, non gravato dalla necessità di reggere qualche complesso intreccio finzionale, può piegarsi a un’evocazione quasi impassibile delle bellezze naturali e delle ricchezze archeologiche e artistiche dell’isola, deva state forse irrimediabilmente.

Cesare Segre Lunedì 19 Gennaio, 2015 CORRIERE DELLA SERA

Le fughe e i ritorni di Consolo Sicilia non è solo Gattopardo

 

Nottetempo L’irrazionale e la storia s’incontrano, tra riti satanici, licantropia e leggende esoteriche.Allievo di Leonardo Sciascia, era agli antipodi rispetto a Tomasi di Lampedusa La ribellione di Alcàra Li Fusi è seguita con una comprensione che diventa crescente orrore

Voglio subito enunciare un giudizio complessivo: Consolo è stato il maggiore scrittore italiano della sua generazione. La sua scomparsa ha turbato tutto il quadro della narrativa nel nostro Paese, rimasto senza un punto di riferimento alto e, per me, indubitabile. Il romanzo Il sorriso dell’ignoto marinaio (1976, iniziato però intorno al 1969 e poi finito pochi mesi prima dell’uscita) fu una rivelazione. L’ignoto di una splendida tavoletta di Antonello da Messina nel museo Mandralisca di Cefalù divenne, con il suo sorriso, una specie di doppio di Vincenzo Consolo. Ma accanto alla vera immagine di Consolo sono spesso apparse altre due immagini: quella di Leonardo Sciascia e quella di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Il primo, pur diversissimo nello stile, fu il maestro di Consolo per l’atteggiamento di fronte ai problemi e alle contraddizioni sempre più laceranti della Sicilia. Il secondo ne fu l’antitesi: tanto è lontano il suo Gattopardo dal Sorriso dell’ignoto marinaio , anche se entrambi hanno come oggetto lo stesso momento storico della Sicilia, percorsa da moti risorgimentali, liberata (o occupata) dai Mille a nome dell’Italia da unire, bersaglio infine di jacqueries contadine confuse, dai contemporanei, con scoppi di banditismo. È comunque da questo confronto , si disse che Il sorriso era l’anti-Gattopardo , che si può partire per qualunque discorso su Consolo. Ma sarà intanto utile esporre lo schema del romanzo, e di quelli che seguirono. I primi due capitoli del Sorriso ci portano in mezzo agli aristocratici e ai borghesi illuminati, fra i quali si stanno diffondendo le idee liberali e mazziniane.Essi odiano i monarchi borbonici e sono pronti ad affrontare, se occorre, l’esilio e la morte, come accadrà dopo la fallita rivolta di Cefalù del 1857. Gli altri capitoli, dal III al IX, sono ambientati pochi anni dopo, quando la Sicilia si prepara a passare sotto il governo dei piemontesi. Questi capitoli sono tutti dedicati ai prodromi, agli sviluppi e alla tragica conclusione della rivolta popolare di Alcàra Li Fusi, scoppiata alla vigilia dello sbarco di Garibaldi. Dietro Alcàra sta forse, per Consolo, il ricordo di Bronte e della spietata repressione di Nino Bixio, descritta da Verga nel racconto Libertà . Il barone Mandralisca, possessore del ritratto di Antonello, segue la rivolta con istintiva comprensione, ma, quando essa degenera, la vede con crescente orrore, e confessa la sua incapacità di comprendere e di giudicare. La narrazione d?autore si alterna a documenti ufficiali, brani di storici locali (come Francesco Guardione) o nazionali (come le Noterelle di uno dei Mille di Giuseppe Cesare Abba), che separano tra loro le varie parti d’invenzione.Consolo aveva gia pubblicato un romanzo, La ferita dell?aprile (1963), che al momento sfuggì all’attenzione dei critici e dei lettori. Si tratta di un Bildungsroman autobiografico, un unicum nella carriera dello scrittore (che, per parte sua, lo definiva un «poemetto narrativo»). Il romanzo narra la vita nella Sicilia del dopoguerra, fino all?occupazione dei latifondi e alla repressione ad opera dei governi democristiani.Provando a completare il quadro dei romanzi di Consolo, siamo ben consapevoli di metterci in una posizione contraddittoria, dato che Consolo stesso ha più volte dichiarato che nel romanzo storico non credeva. Diciamo allora che, bypassando il problema, prendiamo in esame i suoi libri che esibiscono dei personaggi e una narrazione continuata.Venne dunque Retablo (1987), con immagini di Fabrizio Clerici; il grande pittore, trasformato in personaggio settecentesco, appare nella seconda parte del romanzo, da milanese appassionato di antichità siciliane. È lui, che pure arde di un amore infelice per Teresa Blasco, la futura nonna siciliana di Manzoni, a tentar di risolvere i problemi del fraticello innamorato della prima parte della narrazione; ma intanto Consolo rende omaggio al mitico Illuminismo milanese, visto dal traguardo della contemporaneità: per esempio, dalla rivolta, che divenne poco dopo anche giudiziaria, contro il mostro della corruzione.Si avvicina certo a un vero romanzo Nottetempo, casa per casa (1992). Il tema centrale potrebbe essere sintetizzato come «l’irrazionale e la storia», e fornirebbe argomenti alla negazione di principio del romanzo che Consolo ha fatto propria. Qui abbiamo, in singoli flash a luce radente, la ricostruzione dell’affermarsi del fascismo, negli anni Venti del secolo scorso, tra Cefalù e Palermo. Invece di raccontare questa vicenda, col rischio di ricadere nelle fauci dell’aborrito romanzo storico, Consolo evoca l’irruzione nell’isola di forme più o meno deliranti dell’irrazionale, dalla licantropia del padre di Petro, il protagonista, alle psicosi della sorella, alle esibizioni di un personaggio storico come l’inglese Aleister Crowley, inventore e officiante di riti satanici in cui alla promiscuità sessuale e alla droga si mescolano le invenzioni più stravaganti di religioni e leggende esoteriche.Ma è più tardi Gioacchino Martinez, il protagonista di Lo spasimo di Palermo (1998) abbozzato in modo da risultare molto simile a Consolo stesso, a farci quasi toccare con mano, una ad una, tutte le disillusioni di un siciliano che, fuggito disdegnoso dalla sua isola, trova in Lombardia situazioni che generano in lui analoghi sentimenti di rifiuto e di condanna. Tutti i romanzi appena ricordati, se ordinati in base alla cronologia dei fatti descritti o allusi, compongono, per momenti decisivi, una storia della Sicilia degli ultimi 250 anni. Ma dalla mia grossolana rassegna tassonomico-cronologica resta fuori uno dei lavori più mirabili di Consolo, Lunaria (1985). In esso c’è un abbandono pieno all?invenzione. Invenzione tematica e invenzione formale. Il libro non è certo un romanzo, ma appartiene piuttosto a un «genere che non esiste», a un conato di teatralità divertita fra entremés alla spagnola e teatrino delle marionette. Si sa che molta elaborazione di Consolo è «letteratura sulla letteratura». Ebbene, in Lunaria la falsariga è costituita da un racconto di Lucio Piccolo, L’esequie della luna (1967), con cui Consolo si pone felicemente in gara, non dimenticando naturalmente Leopardi. Voglio evocare un aneddoto sintomatico. Quando Consolo mi mise tra le mani il meraviglioso libretto, e io mostrai di riconoscerne alcune fonti, invece di chiudersi nell’enigma mi procurò la fotocopia dei testi cui più si era ispirato, lieto che io ripercorressi i suoi itinerari. Mai come in questo caso la letteratura cresce su se stessa, e se ne vanta. Il lettore deve partecipare, come in un gioco, all’invenzione dello scrittore.Il mio percorso sembrerebbe aver trascurato i molti scritti di Consolo di carattere saggistico o polemico. Ma in fondo no, se pensiamo che molti o moltissimi dei suoi saggi (raccolti in volumi come L’olivo e l’olivastro , del 1994, Le pietre di Pantalica , del 1988, Di qua dal faro , del 1999) possono essere visti, per tornare a un’etichetta un tempo di gran moda, come i correlativi oggettivi dei suoi romanzi. Perché al centro dei saggi c’è sempre la Sicilia, le sue contraddizioni e i suoi mali visti con disperata frustrante insistenza, con passione e con sarcasmo da un siciliano che fugge e ritorna incessantemente: solo che qui lo stile, non gravato dalla necessità di reggere qualche complesso intreccio finzionale, può piegarsi a un’evocazione quasi impassibile delle bellezze naturali e delle ricchezze archeologiche e artistiche dell’isola, deva state forse irrimediabilmente.

Segre Cesare

 

Retablo, Consolo

 

Consolo, Retablo

Rosalia. Rosa e lia. Rosa che ha inebriato, rosa che ha confuso, rosa che ha sventato, rosa che ha roso, il mio cervello s’è mangiato. Rosa che non è rosa, rosa che è datura, gelsomino, balico e viola…Rosa che punto m’ha, ahi!, con la sua spina velenosa in su nel cuore.

“Retablo” è un termine spagnolo che serve a designare una grande pala d’altare che può essere un dittico o un trittico e che è caratterizzato da una grande complessità di materiali e stili figurativi. Nessuna definizione migliore per questo romanzo, che è un piccolo gioiello per stile, temi e suggestioni sapientemente organizzati su un intreccio di diversi piani narrativi. Due (meglio sarebbe dire tre, forse) i protagonisti. Ambientato nel Settecento, è la storia dell’aristocratico pittore Fabrizio Clerici, che fugge da Milano e dall’amata donna Teresa per perdersi in un fantasmagorico viaggio in Sicilia, e del suo casuale compagno di viaggio, il frate siciliano Isidoro, che ha perso tutto a causa della travolgente passione per la popolana Rosalia. E proprio Rosalia, uno degli oggetti del romanzo, sarà colei che, a sorpresa, darà la chiave per comprendere (avere la visione d’insieme di) questo Retablo, questa composizione.

Grande parte del romanzo è occupata dal diario del Clerici, che annota le caratteristiche delle bellezze della Sicilia, meravigliato dall’inestimabile valore delle opere dell’antichità classica che ovunque si impongono allo sguardo ed ai sensi. Ma questo diario non è solo una collezione di appunti, ma anche, e soprattutto, una lunga e pacata dichiarazione d’amore (deluso) per donna Teresa, e poi un’occasione per riflettere sui rapporti fra arte e vita, fra verità e menzogna, fra l’aspirazione ad una pace superiore e l’incredibile tragicità dell’esistenza, fra l’aspirazione alla serenità e l’attrazione che esercitano il mondo ed i sensi. E così si assiste, da un lato, all’aspirazione del Clerici che insegue l’arte, la pittura e la scultura come mezzi per abbandonare questo mondo, l’eterno divenire e l’insopportabile caoticità che lo contraddistinguono e così accedere ad una condizione “metafisica” che gli possa finalmente permettere di affrancarsi dal tempo, dallo spazio e dalle passioni; mentre, dall’altro, si è messi di fronte ad Isidoro che, al contrario, viene strappato alla stasi ed alla pace della fede e della vita monastica per cadere (o salire?) nel vortice di passioni brucianti che infiammano il corpo e la ragione stessa fino a condurre ad una diversa estasi, lì dove il confine stesso fra passione e follia perde consistenza.

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Ma è davvero possibile accedere ad un grado di realtà superiore, fatto di algida bellezza senza contaminazioni, turbamento? Ed è davvero possibile pensare che qui ed ora si sia calati in un mondo che è solo folle divenire e bruttura e dolore, un mondo vuoto di bellezza, tanto che non vi si possa rinvenire nulla (che non sia opera d’arte) di splendente? La ricerca e il fine del Clerici si scontrano con l’impossibilità di tracciare una linea netta fra due realtà del tutto opposte, di diverso grado ed ordine. Qualcosa di diverso e nuovo appare. È nel mondo la linfa vitale che porta all’arte e la rende possibile, è nel suo caotico divenire, nel magma delle passioni, nell’irrazionalità dell’uomo, nella ferocia delle relazioni umane, nell’ingiustizia sociale la molla e la condizione di possibilità della bellezza, così come della verità e della (momentanea) quiete.

O mia Medusa, mia Sfinge, mia Europa, mia Persefone, mio sogno e mio pensiero, cos’è mai questa terribile, meravigliosa e oscura vita, questo duro enigma che l’uomo sempre ha declinato in mito, in racconto favoloso, leggendario, per cercar di rispecchiarla, di decifrarla per allusione, per metafora? E qui tremo, pavento, poiché mi pare di toccare il cuore della metafora, e qui come mai mi pare di veder la vita, di capirla e amarla, di amare questa terra come fosse mia, la terra mia, la terra d’ogni uomo, d’amare voi, e disperatamente…

O ancora di più: l’arte stessa non vale più della vita, dato che è la vita stessa il materiale senza cui l’arte sarebbe impossibile. Questa l’estrema riflessione del Clerici quando, per di non far affondare la barca su cui stanno viaggiando, è costretto a gettare in mare una statua antica e d’inestimabile valore.

Ma tu, squisita fattura d’uomo, fiore d’estrema civiltà, estrema arte, tu, com’ogni arte, non vali la vita, un fiato del più volgare o incolto, più debole o sgraziato uomo.

L’arte, infine, sarebbe il prodotto della sofferenza dell’uomo che, attraverso questo suo stesso prodotto, potrà infine comprendere qualcosa del suo dolore, così come della sua condizione. L’opera d’arte, dunque, come immagine riflessa, come doppio identico ed estraneo che mostra all’uomo quel che è. La vita genera l’arte, così come l’arte permette di comprendere (di ritornare con nuovi occhi) quella vita che l’ha generata.

Il viaggio, l’amore, la morte, il volto ambiguo della natura…questi e molti altri temi si intrecciano in questo magnifico lavoro che è destinatario, forse, dell’augurio che il Clerici indirizza al proprio diario, nel momento in cui lo dedica all’amata donna Teresa: “acciocché resti un dono singolare e ancora che non venga sopraffatto nella valanga di libri e di libresse privi d’anima…”. Ecco, tale augurio pare al tempo stesso esaudito e tradito. Esaudito perché Retablo è (così come altri scritti di Consolo) un libro che per stile ed equilibrio ha del miracoloso e che per questo non può di certo esser confuso con altri, privi d’anima. Tradito, perché sopraffatto dalla valanga di romanzi che l’hanno relegato a piacere per (troppi) pochi lettori; tradito perché travolto dalla valanga di libri ben inferiori, scritti che (in generale) non sono grande letteratura e che (in particolare) poco o nulla colgono ed hanno da dire della Sicilia e delle sue abissali profondità. In questo senso, non si può che lasciare la parola ad un grande scrittore siciliano. Leonardo Sciascia.

“Per quel che si svolge e per come è scritto, questo racconto è come un miracolo: il che, per altro esattamente si conviene alla parola “Retablo”, di solito I “retablos” in pittura rappresentano sequenze di fatti miracolosi”

Tommaso Aramaico
17 gennaio 2015 blog tommasoaramaico

Carlos Freire dans la Sicile de Vincenzo Consolo

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I luoghi letterari di Vincenzo Consolo raccontati dalle immagini del fotografo brasiliano Carlos Freire. Le foto, scattate durante un lungo tour assieme allo scrittore, da Sant’Agata di Palermo a Cefalù, da Pantalica a Palermo, saranno esposte a Parigi, in una galleria di Saint Germain, illustrate dalle didascalie tratte dai romanzi, e faranno poi parte di un libro.
L’articolo di Tano Gullo sul giornale di oggi (foto Carlos Freire)

Lunaria Nella gioia luminosa dell’ inganno

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Dalla favola teatrale di Vincenzo Consolo
Questo progetto è un omaggio alla memoria del grande scrittore contemporaneo Vincenzo Consolo, di recente scomparso. L’omaggio vuole anche dare seguito all’idea, nata durante un mio incontro con l’autore alcuni anni fa, di uno sviluppo delle potenzialità musicali del racconto. Il racconto, che prende spunto dal frammento lirico “spavento notturno” di Giacomo Leopardi (ma soprattutto, per esplicita ammissione dell’autore, è ispirato dal testo “L’esequie della luna” (1967) del poeta e amico Lucio Piccolo), è ambientato in una Sicilia fantastica, contemplata attraverso un caleidoscopio che combina tutte le tinte del barocco mediterraneo. Sospesa tra narrativa e lirismo, l’intera tessitura del racconto si dispiega quale vera e propria partitura il cui dato musicale scorre sottotraccia come un fiume carsico, emergendo qua e la alla luce del sole (o piuttosto della luna) in occasione di veri e propri episodi melodici e coreutici: canzoni, danze, poesie la cui tensione musicale è esaltata dall’uso di una lingua “personale” dell’autore, che compendia le più antiche radici degli svariati idiomi regionali. E’ dunque proprio la lettura di questa partitura che si è voluta realizzare con questo progetto.

ETTA SCOLLO Mercoledì 3 Dicembre 2014

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ETTA SCOLLO
Mercoledì 3 Dicembre 2014
Catania, Cine Tatro Odeon – ore 21.15

ETTA SCOLLO
LUNARIA
Dalla favola teatrale di Vincenzo Consolo

Etta Scollo voce, chitarra

Susanne Paul violoncello

Sebastiano Scollo liuto

Fabio Tricomi mandolino, tiorba, percussioni

Giuliano Scarpinato voce recitante

CORO DOULCE MÉMOIRE

Bruna D’Amico direzione

LUNARIA
Dalla favola teatrale di Vincenzo Consolo
Questo progetto è un omaggio alla memoria del grande scrittore contemporaneo Vincenzo Consolo, di recente scomparso. L’omaggio vuole anche dare seguito all’idea, nata durante un mio incontro con l’autore alcuni anni fa, di uno sviluppo delle potenzialità musicali del racconto. Il racconto, che prende spunto dal frammento lirico “spavento notturno” di Giacomo Leopardi (ma soprattutto, per esplicita ammissione dell’autore, è ispirato dal testo “L’esequie della luna” (1967) del poeta e amico Lucio Piccolo), è ambientato in una Sicilia fantastica, contemplata attraverso un caleidoscopio che combina tutte le tinte del barocco mediterraneo. Sospesa tra narrativa e lirismo, l’intera tessitura del racconto si dispiega quale vera e propria partitura il cui dato musicale scorre sottotraccia come un fiume carsico, emergendo qua e la alla luce del sole (o piuttosto della luna) in occasione di veri e propri episodi melodici e coreutici: canzoni, danze, poesie la cui tensione musicale è esaltata dall’uso di una lingua “personale” dell’autore, che compendia le più antiche radici degli svariati idiomi regionali. E’ dunque proprio la lettura di questa partitura che si è voluta realizzare con questo progetto.

Storie dell’Arte : il sorriso

« Tutta l’espressione di quel volto era fissata, per sempre, nell’increspatura sottile, mobile, fuggevole dell’ironia, velo sublime d’aspro pudore con cui gli esseri intelligenti coprono la pietà. »
Il sorriso dell’ ignoto marinaio

« Il Mandralisca si trovò di fronte un uomo con uno strano sorriso sulle labbra. Un sorriso ironico, pungente e nello stesso tempo amaro, di uno che molto sa e molto ha visto, sa del presente e intuisce del futuro; di uno che si difende dal dolore della conoscenza e da un moto continuo di pietà. E gli occhi aveva piccoli e puntuti, sotto l’arco nero delle sopracciglia. Due pieghe gli solcavano il viso duro, agli angoli della bocca, come a chiudere e ancora accentuare quel sorriso. »
Vincenzo Consolo