LE DUE SICILIE

Per Diario – Le Due Sicilie

PUBBLICATO IN DIARIO MESE N° UNICO SU MAFIA – ANNO VI N° 3

 DEL 19.5.2006 – COL TITOLO “LA RAGIONE E LA FOLLIA

“L’olivo e l’olivastro” è un simbolo omerico, lo si incontra nell’Odissea, è il segno della natura selvaggia, violenta, la natura dei ciclopi, e quello della coltura e della cultura,della civiltà perfezionata del regno di Alcinoo. E l’olivo,l’albero sacro ad Atena, la dea della ragione, ricompare per tutto il poema, fino al ritorno dell’eroe nella sua Itaca. “La radice dell’Odissea è un albero di olivo” dice Paul Claudel. Ora, questo simbolo dell’olivo e dell’olivastro, della civiltà e della inciviltà, oltre a potersi applicare a questo nostro mondo, alla sua storia passata e presente, mi è sembrato si attagliasse particolarmente alla mia terra, alla Sicilia, in cui insieme “dallo stesso ceppo”, sono sempre cresciute, fiorite, civiltà e barbarie, ragione e follia, mitezza e violenza, nobiltà e ignominia. Mi è sembrato che perfettamente si attagliasse quel simbolo così tanto alla Sicilia che ho  voluto intitolare appunto un mio libro L’olivo e l’olivastro.

All’olivo, alla civiltà, alla dignità umana appartiene la Sicilia che ricorda per esempio un mio amico ultraottantenne, Ugo Minichini, il quale mi scrive da Amelia, dove risiede, la lettera che qui in parte riporto con il suo permesso:” carissimo Vincenzo, può essere che la lettura della tua prefazione al libro di Rita Borsellino sia la spinta definitiva a scrivere della mia esperienza di militante e dirigente della sinistra (il P.C.I. di allora – ndr.), il quale ha contratto, tra il ’55 e l’86, il “mal di Sicilia”.

Ho passato altri 20 anni qui in Umbria, ma quel male continua a rodermi dentro. Solo ]…] aver conosciuto Sciascia e vissuto con Pio La Torre come con un fratello, mi ha reso più lucido e forte. Ma debbo essere altrettanto grato agli zolfatari, ai braccianti che mi hanno onorato della loro stima, sino a farmi sedere al loro desco; a Salvatore Carnevale il quale, qualche settimana prima di essere trucidato alla cava di Sciara, mi presentò fieramente a sua madre, Francesca Serio che, per anni, ospitai poi a casa mia, a Palermo, e che presentai poi a Sandro Pertini…”

Rita Borsellino, Leonardo Sciascia, Pio La Torre, gli zolfatari e i braccianti, Salvatore Carnevale e la madre Francesca Serio… Altri e altri ancora si possono aggiungere a questi nomi, altri altri siciliani di alta umanità e dignità, di valore: capilega e sindacalisti, magistrati e poliziotti, umili servitori dello Stato, giornalisti e intellettuali, cacciati dalla Sicilia, costretti a emigrare, o uccisi, massacrati dall’ “olivastro”, dagli uomini ignobili della reazione, dalla mafia, dal potere politico-mafioso.

Ma su Francesca Serio vogliamo qui soffermarci, sulla madre del sindacalista Salvatore Carnevale, che il Manichini ospita a casa sua. Quella Francesca Serio di cui Carlo Levi ha tracciato un indimenticabile ritratto in Le parole sono pietre: “Così questa donna si è fatta, in un giorno: le lacrime non sono più lacrime, ma parole, e le parole sono pietre”. E annotiamo ancora che nel processo di Palermo contro i mafiosi assassini di Salvatore Carnevale, l’avvocato di parte civile, l’avvocato di Francesca Serio, era Sandro Pertini, mentre l’avvocato difensore dei presunti assassini era Giovanni Leone.

E diceva la Serio di Pertini: “ E’ un uomo giusto, un uomo giusto”. I giusti, la giustizia erano ancora le sue uniche certezze. Ah la Sicilia, la Sicilia! Quest’isola che alle masse del mondo è nota non per le lotte dei contadini e degli zolfatari, che già durante i Fasci  Socialisti del 1893-94 hanno avuto i loro martiri, non per i Salvatore Carnevale, ma per quel fenomeno aberrante, quella nebbia venefica, spessa e nera, che da sempre ha oppresso la Sicilia, che si chiama mafia, potere politico-mafioso. E l’Isola, nell’immaginario collettivo, alimentato dai media, è sempre fermo là, attanagliato nelle sue “diversità”, nel suo dialettalismo, nel suo regressivo folklore, nell’eterna coppola e lupara. Ma la mafia, certo, ha ucciso sino a ieri, è pronta a uccidere ogni momento, uccidere chi contrasta o denuncia i suoi loschi e criminosi affari, ma, al di là del “paesanismo”, ancora apparentemente rurale, dei Riina e dei Provenzano, sappiamo che la vera mafia attuale è quella delle zone più evolute delle banche e della finanza, è quella che siede (e governava fino a ieri con Berlusconi)  nei banchi del Parlamento italiano, e siede ancor più nel Parlamento regionale di Sala d’Ercole a Palermo. Totò, Totò Cuffaro, Totò Vasa-Vasa, inquisito per favoreggiamento aggravato della mafia  e per altri reati, appena eletto senatore della Repubblica alle elezioni di aprile, si presenta ancora oggi come prossimo Presidente (stupidamente chiamato Governatore) della Regione Siciliana, alle elezioni di fine maggio. Si presenta tapezzando ogni città e paese dell’Isola con enormi manifesti in cui campeggia il suo faccione dalle labruzze sorridenti con sotto la scritta: “Il presidente che ama la Sicilia e i Siciliani”. La ama sì, Totò, la Sicilia, come la ama pur standosene a Milano, il palermitano deputato europeo Marcello Dell’Utri, come la ama Gianfrancuccio Micciché di Forza Italia, già vice ministro del governo Berlusconi, come la ama l’ex fascista  ora di Alleanza Nazionale, il sindaco di Piana degli Albanesi Gaetano Cramanno, che per la sua campagna elettorale alle elezioni regionali del 28 maggio ha fatto arrivare in paese la pornostar Eva Henger, condannata a quattro anni per sfruttamento della prostituzione. Ora, al di là di moralismi, suona come oltraggio questa campagna elettorale del sindaco  di Piana degli Albanesi, il paese nel cui territorio, a Portella della Ginestra,  si è consumata la strage del 1° maggio del ’47, il paese di Nicola Barbato, il capo socialista dei Fasci Siciliani, quel Barbato di cui prese il nome di battaglia, nella guerra partigiana in Piemonte, Pompeo Colajanni, immortalato da Fenoglio ne Il partigiano Jhonny.

Sì, Totò Vasa Vasa e i suoi fratuzzi, devoti tutti di Santa Rosalia e della Madonnuzza, amano appassionatamente la Sicilia e i siciliani, l’amano perché hanno “il cuore puttanello”, come rispondeva Giuseppe Genco Russo a una domanda di Indro Montanelli, intendendo che non sapeva mai  rispondere di no alla richiesta o  supplica di qualcuno di avere un favore.

Rita Borsellino, la sorella del magistrato massacrato con i cinque uomini della scorta in via D’Amelio, candidata del centro-sinistra alle elezioni di maggio per la Presidenza della Regione, la Rita che non ha più lacrime, ma parole che sono pietre, di favori non ne fa, non ne sa fare, ma sa ridare giustizia, dignità e onore alla umiliata e disastrata Sicilia.

Milano, 2,maggio 2006                                           Vincenzo Consolo